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Recensione Paola Mastrocola

Paola Mastrocola

Intervista

di VERA SCHIAVAZZI

Paola Mastrocola
Un mestiere che non c'è più, quello dell'insegnante. Un patrimonio, la letteratura, che sta per scomparire. E una nuova generazione di giovani incapaci di leggere un "vero" libro o di elaborare un testo. Non è la profezia di un guru americano o di uno studioso di tendenze, ma il grido di dolore di un'italianissima scrittrice-professoressa, Paola Mastrocola, che un mese dopo aver vinto il Premio Campiello col suo "Una barca nel bosco" torna in libreria con un pamphlet che farà discutere, "La scuola raccontata al mio cane" (Guanda).

Mastrocola, che cosa ha portato, secondo lei, la scuola italiana sull'orlo del tracollo?
"L'era dei 'recuperi', dei 'crediti', dei 'piani formativi', dei 'progetti', tutte parole che non esprimono nulla se non una generale tendenza a non insegnare da un lato e a non studiare dall'altro. Fino a non molti anni fa, in prima liceo scientifico, il primo giorno leggevo Virgilio, naturalmente in latino e con la metrica. Molti ragazzi non capivano, ma l'importante non era questo: avremmo studiato nuovamente quel testo negli anni successivi. L'essenziale era comunicare loro l'aspirazione a qualcosa di alto, di grande. Adesso, le circolari raccomandano di non fare lezione per almeno una settimana, dedicata invece all'accoglienza, a far conoscere l'edificio, a parlar d'altro...".

E i risultati?
"Autori come Tolstoj, Dostoievskj, Proust, lo stesso Montale, tra poco non saranno più conosciuti da nessuno. Al loro posto i ragazzi leggono 'Piccoli brividi', o, quando va bene, Stephen King o Wilbur Smith. Noi (Paola Mastrocola ha 48 anni, ndr) saremo l'ultima generazione a soffrire per questo. I miei colleghi più giovani già sono quasi immuni, i prossimi non se ne accorgeranno neppure. Anche perché il bello di certe letture è poterle condividere, parlarne con altri, alludervi, citarle. Altrimenti, ti senti un isolato che non sa reggere la conversazione del sabato sera".

Nel suo libro, ad un certo punto, parla del '68. Poi cita ministri del centrodestra e del centrosinistra autori di riforme criticabili. La deriva della scuola italiana ha una matrice politica?
"Non direi. Io non ho partecipato al '68 e ai movimenti che ne sono nati prima perché ero troppo giovane, poi perché preferivo scrivere poesie. Ma non per questo rimpiango la scuola d'élite che il '68 voleva, giustamente, cambiare. Ma a distanza di anni bisogna constatare che si è raggiunto il risultato opposto: diplomiamo ragazzi che non sanno ragionare e che troveranno un posto di lavoro solo se i genitori li aiutano. Oggi un ragazzo povero dovrebbe chiedere una scuola più severa, che lo aiuti a crescere e ad emergere se è bravo e se studia. Altrimenti, per lui, la scuola è una gigantesca truffa. Lo stesso per i cosiddetti 'valori': non servono corsi di educazione alimentare o stradale dentro l'orario scolastico, servirebbe invece che la scuola facesse il suo mestiere. Non serve neppure il cinema: io adoro quest'arte, ma la si deve avvicinare fuori dalla scuola, non proiettare 'Il gladiatore' e saltare Ungaretti nel programma... Un tempo pensavo che se uno studia Montale con passione difficilmente si drogherà. Lo penso ancora".

Qual è la sua scuola ideale?
"Una scuola utopica, dove ogni ragazzo, finite le lezioni e magari il pranzo consumato con i compagni abbia una piccola stanza tutta per sé dove starsene da solo, in pace, per almeno 3 ore, con la sola compagnia di penne, libri, quaderni e caso mai di un gatto che rilassa e rende sereni. Un'utopia, certo. Ma ai ragazzi di oggi manca molto la solitudine, il vuoto, lo studio individuale. Se non glielo restituiamo, perderemo la possibilità di farli imparare davvero. E, tutti, disperderemo il patrimonio di cultura che invece la scuola dovrebbe conservare".

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