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Recensione Massimo Maugeri

Massimo Maugeri

Presentazione del libro "Identità distorte"

Catania, teatro Valentino 07/05/2005

Interventi dei relatori

Sintesi dell’intervento della poetessa Lorenza Giusto

Avevo già letto dello stesso autore due racconti pubblicati sulla rivista letteraria Lunarionuovo e ne ero rimasta colpita per lo stile, per l’immediatezza e l’originalità del contenuto. Identità Distorte è un’altra cosa. Comincio subito con un aggettivo: avvincente. La lettura di questo romanzo è estremamente avvincente. Uno di quei romanzi da cui il lettore non riesce a staccarsi una volta iniziato, per molte ragioni. La trama complessa e che appare all’inizio aggrovigliata e misteriosa, trascina immediatamente nel vortice della narrazione. Il lettore inizialmente confuso comprende mano a mano come invece tutti gli elementi, gli avvenimenti, la psicologia dei personaggi e la relazione tra essi siano studiati, ponderati e ricercati. (…)
Nulla è trascurato. Massimo Maugeri elabora una ricetta senza dimenticare neanche uno degli ingredienti o degli aromi per concludere fino all’ultima pagina con armonia. Ma all’armonia della lettura, come dicevo, avvincente e coinvolgente, si unisce una grande amarezza per le riflessioni e le sensazioni finali che l’autore sa trasmettere in maniera forte. Riflessioni amare, tristi sulla società e sul mondo in cui viviamo. Una società frivola che cura l’apparenza, una società in cui il potere e il denaro la fanno da padroni. Una società che perde i suoi vecchi valori ma non ne acquista altri. Una società che diventa una giungla di regole in fondo finte e virtuali e che crea identità distorte, appunto, individui schizofrenici e sdoppiati nella loro essenza. Individui che non sono quello che appaiono. (…)
Identità distorte è una specie di thriller e nello stesso tempo non lo è. (…)
Ha alcune delle caratteristiche del thriller, c’è il crimine che rappresenta la rottura di un ordine costituito; ma mentre nel romanzo giallo l’ordine viene ripristinato qui non accade. Per questa ragione potrebbe avere anche le caratteristiche del Noir: atmosfere cupe, misteriose e inquietanti. Potrebbe essere anche un romanzo sociale: è forte, come dicevo, la sua visione di una società priva di valori e che sacrifica le libertà individuali. Ancora si potrebbe definire un romanzo psicologico per come i personaggi sono trattati con cura meticolosa, e l’autore ama spaziare nel lato oscuro della psiche, tra le ombre minacciose dei vicoli mentali, con personaggi che si innalzano o calano nelle tenebre.
Nella frenesia di una ricerca definitoria non dimentichiamoci della cosa più importante: la scrittura. E così come in qualunque forma di espressione artistica, in letteratura, quando la scrittura è buona, quando un autore ha qualcosa da dire e lo sa fare coinvolgendo l’interlocutore allora siamo davanti a una buona opera.
Sono molti i temi e gli argomenti che in questo romanzo possono stimolare il lettore. Il tema della follia, ad esempio, tema antico nella letteratura. (…)
La follia in letteratura è una forma di libertà, un modo per narrare l’esistenza di qualcosa che va al di là delle regole convenzionali, per innalzare una polemica contro la “conformità-a-tutti-i-costi” e contro il rifiuto per il diverso. Il diverso è nell’uomo, è dentro di noi, è il lato oscuro dell'inconscio. E’ il nostro "doppio", tanto caro alla letteratura del 900. Il doppio a volte addirittura ci può condurre alla follia.
C’è il tema dell’assurdo, legato nel romanzo al tema sociale. L’assurdo è rappresentato infatti dalla Società e dai suoi sistemi che spesso diventano per gli esseri umani prigioni virtuali. Individui legati e invischiati, loro malgrado e senza che abbiano potuto quasi rendersene conto, in meccanismi distruttivi dei loro reali desideri interiori. L’assurdo allora diventa nel romanzo una denuncia e una speranza di rinascita.
Ma la cosa che più mi ha colpito è il modo in cui l’autore delinea i suoi personaggi.
Massimo Maugeri svela a poco a poco tutti i segreti e i misteri di ogni personaggio e questi si trasformano lentamente assumendo sembianze diverse. Il processo di metamorfosi si estende anche all’intera struttura narrativa che si trasforma anch’essa insieme ai personaggi. Un segreto forse lo posso in parte rivelare: il personaggio più importante del romanzo in realtà non è presente nel romanzo, cioè non appare. Anzi, non esiste. (…)
E’ onnisciente e infallibile e nessuno lo ha visto di persona.
E’ quello che Massimo Maugeri definisce il controllo del potere, più o meno mediatizzato (o multimediatizzato) da parte di organismi o entità che tentano di fare rientrare in un ordine precostituito la pubblica opinione, invocando lo spettro della Crisi, della Guerra, talvolta realmente provocandola, spaventando le persone cosiddette «normali», facendole sprofondare nelle angosce e trepidazioni, imponendo come Realtà un ambiente di vita falsificato. (…)
Contro un'oppressione dalle molteplici sfaccettature, variabile a seconda dei luoghi, ma che minaccia da sempre l'umanità, l’autore ci invita a individuare tutte le forme di complicità interiore.
Se c'è una speranza, non va riposta in questa o quella categoria sociale o idealizzata, in questo o quel gruppo umano sacralizzato, e meno ancora in qualche individuo carismatico. Se una speranza c'è, non può che essere nell'uomo. La riconquista dell'uomo si fa ogni giorno su se stessi. Questa è la lezione del romanzo.
Il vero «anti-Grande Fratello» è l'uomo comune.
Chi sono io? è quindi il grido di questa società. Unica grande voce composta da tante singole voci. Ma dove risiede l’io? Se ce lo chiediamo scopriremo che risiede nel cuore. Il chiedersi "Chi sono io" distrugge ogni altro pensiero e così comincia la rinascita. Tutto passa solo l’amore resta, dice il nostro autore.


Sintesi dell’intervento del poeta Elio DiStefano

Questo romanzo è in apparenza un thriller: un intreccio fittissimo e avvincente di vite e di destini oscuri drammaticamente intrecciati fra loro in un’indissolubile trama segnata da strane coincidenze tanto inquietanti da portare tutti i protagonisti sull’orlo della follia. Il ritmo serrato delle vicende insieme con la fluidità del tempo è elemento essenziale di quella parte del testo che riguarda l’intreccio: i tempi e i luoghi in cui si svolgono le vicende non presentano una precisa scansione, tanto da avviluppare la mente del lettore in una matassa sempre più intricata in cui sogno e realtà, incubo e tragedia sono presenti con la medesima forza viva e cogente. Spesso l’autore ricorre alla tecnica del discorso diretto libero, che segnala, insieme con il corsivo della scrittura, l’irruzione dell’irrazionale nella realtà, sotto forma di flusso di coscienza, incontrollato fluire di ricordi o affiorare di incubi. La struttura ricorda molto una sceneggiatura cinematografica, con dei cambiamenti improvvisi di scenario e d’azione che arrivano proprio nel momento in cui di una vicenda si sta per vedere lo sviluppo: per mantenere viva la tensione l’autore sospende la narrazione e riparte da un altro punto, esattamente come avviene in un avvincente film di cui la tensione è elemento fondante. Ma qui c’è di più.
Quello che riscatta l’opera e la salva dall’essere meramente un thriller è quel progressivo allargamento della visuale che si realizza nel momento-clou, in cui lo scioglimento delle vicende al loro livello fattuale fa scoprire al lettore non solo le vere motivazioni della distorsione delle identità cui sono sottoposti alcuni protagonisti, ma anche l’esistenza di un progetto (perversamente chiamato missione) che trascende i singoli protagonisti della vicenda per allargarsi progressivamente a tutta l’umanità. Alla fine, quando le fila della vicenda si riannodano e tutto riceve una spiegazione, proprio allora sorgono i dubbi nella mente del lettore. E’ questo il momento in cui io come lettore ho avuto la più forte sensazione di essere coinvolto in quanto essere libero che nell’estrinsecazione della propria volontà esercita la sua libertà, quella libertà che, si veda o no l’essere umano nell’ottica della Creazione, è una sua caratteristica e un suo diritto irrinunciabile. (…)
Tutto questo riporta alla mente precedenti illustri, in primis “1984” di George Orwell, ma mentre nel romanzo di Orwell la disumanizzazione era affidata alla progressiva scarnificazione del linguaggio e quindi del pensiero, qui si va ancora più a fondo, poiché si mette in pericolo il libero arbitrio, che è anche dominio, conoscenza e manifestazione di sé stessi. (…)
In una realtà deturpata dal potere, la voce della Verità, quella luminosa, non può che essere affidata agli stati alterati della coscienza, come il sogno e il delirio, perché da un lato essi la fanno apparire come distorta, e dall’altro solo in quello stato può affiorare (in vino veritas). (…)
Così è per Lidia Crivi. (…). Lidia dice che le giornate stupende non vengono da sé, ma si costruiscono con pazienza e amore, imparando a stare al proprio posto. Questa è la morale che vuole insegnare a Lara, mentre, presa da un raptus di odio, tenta di ucciderla con il bastone che già fu del padre. Le parole di Lidia sono permeate di rabbia e di un mal represso odio verso un ruolo femminile di cui decanta a parole la nobiltà e il valore, ma nei fatti vomita contro la giovane tutto l’odio che ha verso di lei per essere riuscita ad incarnare un modello di donna libera che lei non ha potuto essere a causa dell’educazione repressiva che ha ricevuto, permeata di sofferenza e di abusi taciuti per amore del buon nome (ricordiamo la madre che le dice di essere orgogliosa di suo padre perché è un uomo importante, malgrado nella vita non sia altro che un pervertito).
Il senso più profondo di quest’opera è nelle pagine in corsivo, nei deliri, nei pensieri apparentemente assurdi e nelle pagine segrete in cui manager e dirigenti d’azienda scoprono il lato fragile della propria pasta umana, quello capace ancora di sognare, di sperare, capace di poesia. E mi riferisco in primis a quella che segretamente e quasi con vergogna coltivava Valerio Giordano, una delle quali diventa un leit-motiv del romanzo, un’immagine-pilota, una serie di parole-chiave di un’umanità abusata, soffocata, distorta, ma mai distrutta, a partire dalle sue radici biologiche consegnate a quel femminile che da questo romanzo esce a testa alta, depositario di una “missione” diametralmente opposta a quella affidata agli uomini: gli uni schiavi del potere che distrugge e deforma, le altre depositarie di una vita che è l’ultimo bene cui l’umanità non può rinunciare. Nella sua funzione generativa, la donna è portatrice di un tesoro così prezioso che il veleno del potere non lo può intaccare minimamente. E’ in effetti la sacralità della vita che viene sottesa in questo. La poesia, dicevo, come capacità di costruire con la forza dell’immaginazione un mondo diverso, più nobile, più pulito, la poesia come valvola di sfogo di un’esistenza votata a un dio cattivo che chiede tutto senza dare. (…)
La soluzione di tutto è nelle parole di una mendicante che dona un foglietto a Lara all’uscita del cimitero: tutto passa, solo l’amore resta. “Tutto passa” era il leit motiv di una poesia di Valerio, ritrovata fra le sue carte dopo la morte, che rappresenta un vero e proprio testamento spirituale, o almeno così suona alle orecchie di Lara che legge i versi: ma in quei versi non c’è la soluzione, la soluzione è nel foglietto della mendicante, pieno di frasi tratte dal Vangelo, dimenticato come le parole di Giovanni Paolo II incise sulla lapide commemorativa in Piazza Duomo: “CATANIA, ALZATI: RIVESTITI DI LUCE”, una luce che non è solo un monito per Catania, ma per l’umanità tutta che deve ritrovare la forza e la motivazione per guardare avanti e costruire un’identità che corrisponda alla sua vocazione originaria: la vocazione all’Amore. Citare Giovanni Paolo II oggi suona come un solare squillo di tromba che ci desta dal torpore di una notte dello spirito che pare senza uscita; così non era probabilmente qualche tempo fa, quando fu composta l’opera. Allora l’autore si poteva permettere di dire senza tema d’errare che quelle parole erano per pochi eletti e che, al di fuori, nessuno le capiva. Oggi, credo, dopo quel due aprile, l’efficacia carismatica della missione apostolica di questo grande Papa si è rivelata così palesemente che nessuno più può metterla in ombra. Naturalmente i frutti dello Spirito si colgono sempre dopo un po’ di tempo, e allora si avvalora quel detto di Gesù secondo cui dal frutto si conosce l’albero.

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