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Recensione Jorge L. Borges

Jorge L. Borges

LABIRINTI DELLO SPIRITO

Di Piergiorgio Odifreddi

In Scandali della ragione abbiamo ricostruito brevemente il sistema filosofico di Borges, isolando nei paradossi e nell'infinito il nucleo della sua posizione metafisica.

Certamente non è necessario ricordare che un tale privilegio della logica(o, più generalmente, della matematica) fornisce soltanto una possibile chiave di interpretazione, parziale come qualunque altra, dell'opera di Borges1.

Chiave comunque non ingiustificata, visto che egli stesso confidò a Herbert Simon2 nel 1971 che "molte delle mie idee le ho prese da libri di logica e di matematica che ho letto, ma che in realtà non ho compreso perfettamente; non sono mai stato in grado di capire completamente questi libri".

Altrettanto certamente non si può scordare che egli non fu un pensatore di professione, bensì un letterato. E' dunque doveroso, oltre che piacevole, curiosare nella sua vasta produzione, alla ricerca dei momenti in cui la logica si affaccia alla superficie della letteratura.

Proponiamo qui una nostra scelta, che il lettore interessato è sollecitato ad integrare o (meglio ancora) impugnare. In ogni caso, per l'inevitabile carattere di collage del presente lavoro, ne sconsigliamo una lettura sistematica, suggerendo invece una scorsa che si soffermi su (eventuali) punti di interesse.



Critica reale

Iniziamo dall'attività critica, forse la più vicina al pensiero puro. Borges ha lasciato un gran numero di saggi3, in cui ha toccato un'enorme varietà di autori: per dirla con Umberto Eco (vedi nota 1), egli "sembra aver letto tutto (e anche di più, visto che ha recensito libri inesistenti)".

Va da sé che tale affermazione non è da prendere letteralmente, ma Borges sembra aver trovato un senso in cui essa può essere considerata vera: "che cosa si è letto? Appena qualche pagina, e del mondo si sono avute solo alcune visioni. Ma si può pensare che in queste son comprese le altre, che platonicamente si sono viste tutte le cose e letti tutti i libri", perché "i temi della letteratura in fondo sono scarsi" e "ogni generazione riscrive nel dialetto della sua epoca quello che è già stato scritto" (Conversazioni, p. 23).

Borges fu un gran sacerdote del culto dei libri (a cui dedicò un saggio ed una conversazione omonimi4): la sua vita fu "consacrata meno a vivere che a leggere" (I.969 e I.1267), e la sua memoria registrò più i libri che lesse che le cose accadutegli (Altre conversazioni, p. 92, 115 e 192, e Ultime conversazioni, p. 73). Egli si spinse al punto di affermare che l'uomo è ciò che legge, non ciò che scrive: "menino vanto altri delle pagine che hanno scritte; il mio orgoglio sta in quelle che ho lette" (II.359 e II.731).

Tale affermazione rivela una vera e propria mistica della lettura: essa si manifestò nelle credenze che la differenza fra autori e lettori sia "banale e fortuita" (I.9), che fra di essi si instauri "un dialogo, una forma di relazione" (I.1058), "una collaborazione e quasi una complicità" (II.207), e che "i buoni lettori siano cigni anche più tenebrosi e rari che i buoni autori" (I.441). In una parola, che la lettura sia un atto creativo (Conversazioni, p. 153).

In effetti, molti dei saggi critici di Borges contengono osservazioni altamente originali, e tessono legami inaspettati fra libri, autori ed argomenti disparati. Ovviamente, ci interesseremo qui soltanto di quelli che presentano aspetti logici.



a) Kafka

Gli esempi più tipici di come Borges usò paradossi e infinito a scopi critici si trovano forse nei suoi saggi su Kafka5. Egli scoprì6 che "la freccia e Achille sono i primi personaggi kafkiani della letteratura" (I.1007), e che il pathos dei romanzi di Kafka "nasce precisamente dal numero infinito di ostacoli che fermano e tornano a fermare i loro identici eroi". Dal parallelo con i paradossi di Zenone, Borges deduce poi l'inevitabile incompletezza di tali romanzi: "Kafka non li terminò perché era fondamentale che fossero interminabili".

Come Zenone non enumera tutti i punti, così Kafka non ha alcun bisogno di enumerare tutte le vicissitudini: "ci basti sapere che esse sono infinite come l'Inferno" (II.858).

Borges nota che il motivo dell'infinito domina non solo i romanzi, ma anche i racconti di Kafka: "nel più memorabile di tutti, La costruzione della muraglia cinese, del 1919, l'infinito è molteplice: per arrestare l'avvicinarsi di eserciti infinitamente lontani, un imperatore infinitamente remoto nel tempo e nello spazio comanda che infinite generazioni costruiscano una muraglia infinita che circoscriva il suo infinito impero" (II.858).

Sul piano estetico, il giudizio di Borges è esplicito: "l'opera di Kafka fa parte della memoria dell'umanità", ed egli è "il grande scrittore classico di questo secolo tormentato", che "sopravviverà a questa epoca e alle sue semplificazioni" (Conversazioni, p. 96). E' interessante contrastare tale opinione con quella di Moravia: egli credeva invece che sia Borges che Kafka, non a caso citati in un solo respiro, fossero "per la borghesia occidentale quello che gli americani chiamano fad, cioè una moda passeggera basata su alcuni luoghi comuni" (Alberto Moravia e Alain Elkann, Vita di Moravia, Bompiani, 1990, p. 199)7.



b) Pascal

In due saggi su Pascal8, Borges concentra la sua attenzione sulla "sfera infinita il cui centro sta dappertutto e la cui superficie in nessun luogo" (I.999), seguendone le vicissitudini nei secoli e notando come la stessa metafora sia servita dapprima per definire il Creatore (Alain de Lille) e poi la Creazione, in senso esultante (Giordano Bruno) o angoscioso (Pascal).

Una modifica apparentemente inessenziale e forse involontaria ("una sfera il cui centro esatto è qualsiasi punto, e la cui superficie è inaccessibile", I.681) permetterà a Borges di esprimere l'infinità della Biblioteca di Babele in modo non soltanto figurato, come nella precedente versione che non ha sostanza(perché una superficie che non sta in nessun luogo semplicemente non esiste), ma perfettamente consistente. Una tale sfera è infatti ben nota ai matematici, che hanno scoperto nell'ottocento come essa permetta di modellare una geometria (detta iperbolica) in cui le parallele ad una retta data passanti per un punto sono non una soltanto (come in quella euclidea che si studia nelle scuole), ma infinite. Si noti come la condizione che qualunque punto sia il centro, anch'essa paradossale a prima vista, in realtà significa soltanto che non ci sono punti privilegiati, ed è ad esempio soddisfatta dal comune spazio cartesiano, in cui ogni punto può essere scelto come l'origine(e dunque il 'centro') di un sistema di coordinate.



c) Cervantes

A Cervantes ed il Don Chisciotte Borges dedicò vari saggi e conversazioni, ed essi gli ispirarono racconti e poesie9. In particolare, nel Don Chisciotte egli riuscì a scovare alcuni begli esempi delle sue ossessioni.
Nel Capitolo 6 della prima parte "il parroco e il barbiere passano in rassegna la biblioteca di Don Chisciotte; sorprendentemente, uno dei libri esaminati è la Galatea di Cervantes", ed "il barbiere, sogno di Cervantes o forma di un sogno di Cervantes, giudica Cervantes" come scrittore (I.950).

Nella seconda parte i protagonisti hanno letto la prima ed essi sono dunque, allo stesso tempo, lettori del Don Chisciotte (I.951). Borges considera questi come esempi imperfetti di un'inversione inquietante che, nelle rigorose formulazioni delle letterature orientali esaminate più oltre, fornirà una prova del carattere ideale del mondo.

In un'altra direzione, nel Capitolo 51 della seconda parte appare una delle "innumerevoli versioni che non mutano metodo, ma soltanto protagonisti e favola" del paradosso del mentitore (I.424). In essa una legge richiede ai passanti che vogliono attraversare un ponte di dichiararne il motivo, e ne permette il passaggio se essi dichiarano il vero, mentre li condanna all'impiccagione se essi dichiarano il falso: che cosa si deve fare quando un passante dichiari di voler attraversare il ponte perché vuole essere condannato in base a tale legge?10 La salomonica ed appropriatamente paradossale soluzione di Sancho Panza deve aver pienamente soddisfatto Borges: si lasci passare la parte di quel passante che ha detto la verità, e si impicchi quella che ha mentito.



d) Dante

All'opera di Dante l'aggettivo infinito si addice, secondo Borges, sia per il tema che per la lettura (II.1284, Conversazioni, pp. 179 e 181): egli lo amò tanto da dedicargli un intero libro di pensieri (oltre a conversazioni, saggi sparsi e poesie)11, e da progettare di mettersi nei suoi panni per cercare di capire che libro degno di lui Dante avrebbe potuto scrivere dopo la Divina Commedia12. Non abbiamo notizia della realizzazione effettiva di un tale racconto, annunciato da Borges (in Conversazioni, p. 180, e Altre conversazioni, p. 211) soltanto un paio di anni prima della sua morte.

Borges trovò una delle più poetiche rappresentazioni dell'infinito nel curioso verso dolce color d'orïental zaffiro, "in cui Dante per definire il cielo orientale invoca una pietra orientale, una pietra limpida nel cui nome si trova, per un caso fortunato, l'Oriente" (I.567). Suggerendo "il colore dell'Oriente mediante uno zaffiro il cui nome comprende l'Oriente" egli "insinua così un gioco reciproco che può ben essere infinito" (II.1294).

Borges crede di trovare la stessa circolarità anche nel verso di Browning O lyric Love, half angel and half bird: "il poeta dice di Elizabeth Barrett, che è morta, che è metà angelo e metà uccello, ma l'angelo è già per metà uccello, e si propone così una suddivisione che può essere interminabile" (II.1294).

Ma qui egli prende un abbaglio: la povera Elizabeth deve accontentarsi di essere per tre quarti uccello, senza circolarità. D'altra parte, non c'era bisogno di andare troppo lontano per trovare altri esempi di circolarità in versi. Dante stesso ne fornisce almeno tre, alla fine del Paradiso: i nove cerchi angelici ruotano intorno all'Empireo, un punto che pare inchiuso da quel ch'elli 'nchiude (XXX,12); San Bernardo si rivolge alla Madonna chiamandola vergine madre, figlia del tuo figlio (XXXIII, 1), e prosegue dicendo che 'l suo fattore non disdegno di farsi sua fattura (XXXIII, 5-6). Non deve pero sorprendere che essi siano sfuggiti a Borges, poiché egli stesso definì la sua erudizione dantesca "scarsa" (Altre conversazioni, p. 211)13.



e) Letterature orientali

Viaggiando nel tempo e nello spazio, Borges scoprì l'infinito anche nella letteratura orientale, a partire da quella araba delle Mille e una notte: un libro che va "dipanando una serie infinita di atti impersonali compiuti da uno qualunque o da nessuno" (II.791). Egli ne ricorda la notte centrale, "dove la regina Shahrazad (per una magica distrazione del copista) si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte, a rischio di tornare un'altra volta alla notte in cui racconta, e così all'infinito" (I.698). "In quella notte il re ode dalla bocca della regina la propria storia. Ode il principio della storia, che comprende tutte le altre, e anche - in modo mostruoso - se stessa.

Intuisce chiaramente il lettore la vasta possibilità di codesta interpolazione, il curioso pericolo che nasconde? Che la regina persista e l'immobile re udrà per sempre la tronca storia delle Mille e una notte, ora infinita e circolare" (I.951)14.

Proseguendo verso l'Oriente, Borges scopre un procedimento analogo nel Ramayana di Valmiki, classico della letteratura indiana: "nel libro finale i figli di Rama, che non sanno chi sia il loro padre, cercano rifugio in una selva, dove un asceta insegna loro a leggere. Il maestro è, stranamente, Valmiki; il libro sul quale studiano, il Ramayana" (I.951).

Una volta imparata la lezione, non è difficile proseguire da soli sul cammino tracciato da Borges. Così, per rimanere in India, una lettura dell'altro grande classico, il Mahabarata di Vyasa, ci rivela un espediente simile, addirittura iterato tre volte. La storia scritta inizia con un narratore che incontra un amico, e gli racconta il Mahabarata, che ha appena sentito altrove; la storia orale narra del poeta Vyasa che dapprima compone il Mahabarata nella sua mente, e poi lo detta al dio Ganesh, con un secondo inizio; la storia dettata tratta di un re che incontra Vyasa, e si fa raccontare l'epopea della sua famiglia, che è appunto il Mahabarata, con un terzo inizio. E Vyasa è uno dei protagonisti dell'epopea, così come della storia dettata e della prima storia orale, oltre che autore del libro stesso.

Spingendoci all'estremo Oriente, anche nella prosa cinese (che stranamente non sembra aver occupato un posto di rilievo nelle letture di Borges) incontriamo lo stesso trucco: nel capolavoro della prosa Ching, Il sogno della camera rossa, il protagonista Pao-Yü fa agli inizi un sogno, in cui la Fata dell'Improvviso Risveglio gli fa vivere in anticipo gli avvenimenti del romanzo, e gli fa cantare dalle sue ancelle le canzoni de Il sogno della camera rossa.

A scanso di equivoci, Borges nota che questi giuochi di strane ambiguità non sono caratteristici delle letterature orientali. Ad esempio, nel Don Chisciotte (come abbiamo visto in precedenza) Cervantes vi si avvicina due volte, facendo leggere un suo precedente libro ad un personaggio della prima parte, e la seconda parte ai personaggi della prima; nell'Amleto si rappresenta una tragedia che è pressappoco la stessa di Amleto;15 nell'Iliade Elena ricama una doppia veste di porpora che rappresenta la storia del poema (I.951). Ma in tutti questi casi la corrispondenza è imperfetta, e questo ne diminuisce l'efficacia.

Nelle situazioni al limite a cui vengono spinti dal coraggio orientale, questi artifici letterari acquistano invece un carattere distruttivo della realtà analogo a quello attribuito ai paradossi: "tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di una finzione possono essere lettori o spettatori, noi, loro lettori o spettatori, possiamo essere fittizi" (I.952).16



Critica fantastica

Non c'era motivo, ovviamente, perché Borges si limitasse alla critica di autori esistenti, ed alcune delle sue recensioni combinano il saggio critico e l'opera di fantasia17. Esse sono dunque la naturale cerniera fra le nostre analisi del primo e della seconda.

Il metodo di Borges ("fingere che questi libri esistano già, e presentarne un riassunto, un commentario", I.621) si può far risalire a Liu Shilong, letterato cinese dell'epoca Ming. Nel Giardino inesistente egli ha osservato come la maggior parte dei giardini celebri del passato fosse scomparsa, e sopravvivesse solo nelle descrizioni: ci si poteva allora risparmiare lo stadio iniziale dell'esistenza reale, e passare direttamente a quella letteraria. Nel suo racconto egli descrive dunque un giardino di fantasia, che sarebbe diventato tanto reale nella memoria storica quanto quelli che erano effettivamente esistiti.

Borges avrebbe certamente amato questo riferimento: egli ha infatti citato a più riprese Omero, secondo cui "gli dei tessono sventure perché alle future generazioni non manchino argomenti da cantare",18 e Mallarmé, secondo cui Tout aboutit à un livre (I.386, I.410, I.1010, II.1387, Conversazioni, p. 130, Altre conversazioni, p. 136).



a) Libri identici

Borges è tornato a più riprese al paradosso di scrittori che, in modi singolarmente diversi, producono opere verbalmente identiche ad altre già esistenti.
Esso esemplifica il procedimento mediante il quale percepiamo, attraverso l'identità di due eventi, da un lato l'eternità, e dall'altro la disintegrazione del tempo e la sua illusorietà.

A scanso di equivoci, l'identità verbale di due opere non ne comporta l'uguaglianza: un modello non ha precedenti, ammette libertà di composizione, è impresa legata al momento storico della sua composizione; una copia invece deve coincidere col modello, esclude qualsiasi arbitrio e invenzione, è un anacronismo (benché deliberato).

Su tali basi Borges realizza effetti esilaranti nel paragone di due brani identici, mostrando come uno sia "quasi infinitamente più ricco" dell'altro, e trovando "altrettanto vivido il contrasto degli stili" (I.656). La morale è, ovviamente, che "una letteratura differisce da un'altra, successiva o precedente, meno per il testo che per il modo in cui è letta" (I.1058).

Degli autori fittizi di Borges il più noto è Pierre Menard, "la cui ambizione era di produrre alcune pagine che coincidessero - parola per parola e riga per riga - con quelle di Miguel de Cervantes". Egli riesce a "restare Pierre Menard e giungere al Chisciotte attraverso le esperienze di Pierre Menard", riscrivendone due interi capitoli (I.653)19.

Un intero gruppo di artisti inesistenti (non soltanto scrittori, ma anche pittori, scultori, architetti, sarti e cuochi) si trova nelle Cronache di Bustos Domecq, da cui sono tratti gli esempi seguenti.

César Paladión, "con fecondità quasi sovrumana" si annette in rapida successione varie opere (fra cui Dagli Appennini alle Ande e La capanna dello zio Tom), secondo il principio che, così come prima di lui "l'unità letteraria che gli autori accoglievano dall'eredità comune era la parola, o tutt'al più la frase bell'e fatta", egli poteva annettersi, "per così dire, un opus completo", senza naturalmente essere esentato "dall'ardua fatica della creazione poetica", "di scandagliare nelle profondità della sua anima e di pubblicare libri che la esprimessero" (pp. 4-6).

Vilaseco pubblica sette opere che "salvo i titoli erano esattamente la stessa", "provando una volta di più che, nonostante le minuzie che sogliono sviare il pigmeo, l'Arte è una ed unica" (p. 71).

Il critico Hilario Lambkin Formento arriva alla pubblicazione delle tre cantiche della Divina Commedia dopo insoddisfacenti tentativi di schematizzazione, intuendo infine che "la descrizione del poema, per essere perfetta, doveva coincidere parola per parola con il poema" (p. 24). La sua attenzione era stata catturata dalla "mappa a grandezza naturale" che, per contenere perfettamente tutti i particolari di un terreno, deve coincidere col terreno stesso (citata da Borges anche altrove, ad esempio in I.952 e I.1253).20

Può essere interessante notare che tale idea è brillante ma errata. La difficoltà sta nel non aver notato che le descrizioni non devono essere necessariamente esplicite: ad esempio, "il numero costituito da un 1 seguito da novecentomila 0" si può perfettamente descrivere implicitamente (e lo abbiamo appena fatto) in modo molto più breve della descrizione esplicita del numero stesso, che consiste nello scriverne le cifre (ed è lunga quanto un libro di 300 pagine).

Questa semplice osservazione sta alla base della moderna teoria dell'informazione, e fa giustizia non solo di giochi letterari come quelli di Borges, ma anche di difficoltà filosofiche come quelle in cui si imbatte Cartesio, quando credette che la riproduzione fosse impossibile senza miracoli. Il suo ragionamento era che per poter riprodurre qualcosa si deve contenerne un modello, e si può dunque riprodurre soltanto qualcosa di meno complicato; in particolare, l'autoriproduzione (ad esempio, di esseri umani da esseri umani) è impossibile senza un intervento divino. Watson e Crick hanno spiegato, negli anni '50, il meccanismo mediante il quale la riproduzione avviene, senza scomodare Lui, seguendo l'informazione codificata, appunto implicitamente, nel DNA.



b) Libri infiniti

Una serie di saggi (ne Il giardino dei sentieri che si biforcano e Il libro di sabbia) vagheggia libri immaginari, le cui caratteristiche riflettono l'infinito in svariati modi.

Anzitutto, Borges sogna un'opera a percorsi multipli, che lascia prefigurare "infinite storie, infinitamente ramificate" (I.677). Egli ha bisogno qui di tredici capitoli (una conclusione e tre possibili antecedenti, ciascuno con tre possibili antecedenti) per creare nove possibili storie, di tre capitoli ciascuna, ma Raymond Queneau ha fatto molto meglio: ha pubblicato, non solo sognato, un libro di dieci pagine soltanto con, come dice il suo titolo, centomila miliardi di poemi (Cent mille milliards de poèmes, Gallimard, 1961).

Ogni pagina contiene un sonetto di quattordici versi, ed è tagliata in strisce orizzontali, ciascuna contenente un verso: le possibili combinazioni sono dunque 1014, appunto centomila miliardi. Su tale "macchina infernale" (secondo Calvino), che fornisce lettura ininterrotta per quasi duecento milioni di anni, vedi R. Queneau, Segni, cifre e lettere, Einaudi, 1981, pp. 50-51.

In due occasioni Borges gioca con libri infiniti in potenza:


* "un gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro completo delle pareti" di una camera circolare, e di cui poi si apprende che "questo libro ciclico è Dio" (La biblioteca di Babele, I.681);
* un volume ciclico, "la cui ultima pagina fosse identica alla prima, con la possibilità di continuare indefinitamente" (Il giardino dei sentieri che si biforcano, I.697).



Joyce ha effettivamente usato in Finnegans Wake un simile artificio, concludendo il libro con la prima metà di una frase (A way a long a last a loved a long the), la cui seconda metà ne costituisce l'inizio (riverrun, past Eve and Adam's ...): poiché è nota l'influenza del pensiero di Vico sull'ultimo Joyce, l'artificio citato è probabilmente un riferimento ai corsi e ricorsi della storia, che nel nostro contesto ricordano la dottrina dell'Eterno Ritorno, e la possibilità di un tempo circolare.21

Non potevano ovviamente mancare libri che sono infiniti in atto:


* un volume "composto di un numero infinito di fogli infinitamente sottili", la cui plausibilità fisica è suggerita dal principio di Cavalieri ("ogni corpo solido è la sovrapposizione di un numero infinito di piani"), e che, benché potendo contenere in linea di principio tutti i libri possibili, "non sarebbe comodo: ogni foglio apparente si sdoppierebbe in altri simili, e l'inconcepibile foglio centrale non avrebbe rovescio" (La biblioteca di Babele, I.689);
* un libro che non ha "ne principio ne fine", le cui pagine sono numerate in modo arbitrario con numeri arabi, e recano piccole illustrazioni ad intervalli di duemila pagine l'una dall'altra (Il libro di sabbia, II.648).



Tali libri, benché entrambi infiniti, sono sostanzialmente differenti nell'ordinamento delle loro pagine: nel primo esse sono disposte in ordine cosiddetto denso (tale che fra due elementi ne esiste sempre un altro), ad esempio come in un intervallo di numeri razionali o, più probabilmente (a causa della citazione del principio di Cavalieri), reali; nel secondo esse sono disposte in un ordine discreto (tale che ogni elemento ha un successore immediato) senza primo ne ultimo elemento, come negli interi relativi ..., -2, -1, 0, 1, 2,...(a causa del fatto che si parla di distanza di duemila pagine).

Infine, Borges sogna una enciclopedia le cui voci hanno "una fine, ma non principio" (Atene, II.1351). L'ordinamento delle pagine è qui piuttosto complicato, e rivela le frequentazioni matematiche di Borges. Più precisamente, a ciascuna voce corrisponde una serie di pagine ordinate come gli interi relativi negativi ..., -2, -1, 0, e tale serie è ripetuta tante volte quante sono le voci (che nel testo sembrano essere quelle solite di ogni enciclopedia, in particolare un numero finito).



c) Libri minimali

L'infinito è presente, in modo più sottile, anche nelle letterature del risparmio, sorta di buchi neri in cui una sterminata massa semantica implode in un minuscolo volume sintattico. In ordine crescente di densità:


* racconti polizieschi in cui "ogni intralcio intermedio ci viene risparmiato", e si passa direttamente dall'enigma alla sua soluzione, omettendo il resoconto sull'indagine (Sei problemi per Don Isidro Parodi, p. 7);
* libri della cui stesura originaria rimangono solo parole sparse scelte a caso, ed alcune scene non sono neppure scritte, per non doverle poi cancellare (Quel che manca non fa danno, Cronache di Bustos Domecq, p. 67);
* poemi di una sola riga, che si assaporano "come fossero una preghiera segreta o una bestemmia", e che si pagano con la vita (II.617);
* poeti che non definiscono più ogni fatto che accende il loro canto, ma lo cifrano "in una sola parola, che è la Parola", e "corrisponde a un solo oggetto, l'oggetto poetico creato dall'autore" (I.630, I.1157 e II.622);
* libri consistenti di una sola parola, il cui vantaggio è di poter coincidere rigorosamente con il loro titolo (Cronache di Bustos Domecq, p. 31).



Calvino ha fatto notare come l'economia dell'espressione sia in realtà una delle caratteristiche di Borges stesso, e la ragione primaria dell'adesione da essa suscitata22. Ovviamente, essa è anche una caratteristica di Calvino, che ha pure vagheggiato una collezione di racconti di una sola frase, o di una sola riga, citando un esempio di Augusto Monterroso: "Quando si sveglio, il dinosauro era ancora lì"23.



d) La Biblioteca di Babele

Avendo cercato di esaurire i libri possibili analiticamente, con descrizioni individuali, era inevitabile che Borges passasse alla sintesi, esaminandone la totalità. Egli ha così creato La Biblioteca di Babele: uno dei suoi racconti più noti, benché egli lo definisse "un vano tentativo di rifare Kafka" (Conversazioni, p. 176).

L'idea su cui esso si basa era stata anticipata da Kurd Lasswitz che, alla fine del secolo XIX, "gioco con l'opprimente fantasia di una biblioteca universale, che registrasse tutte le variazioni dei venti e più simboli ortografici, ossia quanto è dato esprimere in tutte le lingue". Così facendo egli esagerò "una tendenza che è comune: fare della metafisica, e delle arti, una sorta di giuoco delle combinazioni" (I.1057).

Ad un tale giuoco Borges non poté sottrarsi, benché con intenti satirici, ed egli descrisse la sua Biblioteca con precisione matematica. Anzitutto, "ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga di quaranta lettere" (I.681). In secondo luogo, "il numero dei simboli ortografici è di venticinque" (I.682). Da ultimo, "non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identici" (I.683), ed essa contiene "tutte le possibili combinazioni" (I.684).

Con questi dati a disposizione èì possibile valutare il numero ("anche se vastissimo, non infinito", I.684) di volumi che essa contiene: esso si ottiene calcolando le possibili combinazioni (con ripetizioni) di 25 simboli su 410 x 40 x 40 posti, cioè
25656.000 10900.000

Tale numero mostruoso24 ci pone immediatamente di fronte al problema centrale della nostra epoca: come accedere alla goccia di informazione utile, sperduta in un oceano di pseudoinformazione o, peggio, di controinformazione?

Ad esempio, "ai libri di apologia e di profezia che giustificano per sempre gli atti di ciascun uomo dell'universo e serbano arcani prodigiosi per il suo futuro", e non invece a "qualche perfida variante" (I.684)?

Anche la fantasia sfrenata di Borges non può andare oltre le due strade ovvie: o dimenticare completamente la Biblioteca, e darsi "a mescolare lettere e simboli, fino a costruire, per un improbabile dono del caso, questi libri canonici", o "sbarazzarsi delle opere inutili" (I.685). Egli evidenzia dunque il fatto che, nella Biblioteca così come nella cultura dei mass media e della CNN, il problema none più ottenere l'informazione, bensì sottrarvisi o liberarsene.

La morale di Borgese esplicita, è valida anche per altri suoi divertimenti (fra cui quelli sui libri identici citati sopra): "se la letteratura non fosse che un'algebra verbale, chiunque potrebbe produrre qualunque libro, a forza di tentare variazioni". Invece "la letteratura none esauribile, per la sufficiente e semplice ragione che un solo libro non lo è": trascendendo il suo aspetto verbale, esso "è il dialogo che intavola col suo lettore", e "tale dialogo è infinito" (I.1058).



Racconti

Borges è conosciuto dal grande pubblico come scrittore di racconti fantastici, di un genere unico.25 Molti sono già stati citati perché trattano, direttamente o indirettamente, di libri, in accordo con la sua visione secondo cui sia l'universo che il paradiso sono una biblioteca (I.680 e I.1171), un viaggio la ricerca di un libro (I.680), e l'uomo un "imperfetto bibliotecario"26 (I.681).

Ne ricordiamo qui altri, in cui i temi filosofici di cui ci siamo occupati diventano spunti di ispirazione artistica.

a) L'infinito

L'infinito compare direttamente in qualcuno dei racconti di Borges. Infiniti sono infatti:

* il numero dei sorteggi de La lotteria di Babilonia: "gli ignoranti suppongono che infiniti sorteggi richiedano un tempo infinito; basta, in realtà, che il tempo sia infinitamente divisibile, come insegna la famosa parabola della Gara con la Tartaruga" (I.671);
* La Biblioteca di Babele, "illimitata e periodica" (I.688);
* il proposito in Funes, o della memoria: un uomo che non dimentica nulla, "scontento che per il 33 in cifre arabe ci volessero due segni e due parole, in luogo d'una sola parola ed un solo segno", si dedica al progetto di "un vocabolario infinito per la serie naturale dei numeri"27(I.713);
* il labirinto del Minotauro ne La casa di Asterione, che ha infinite porte ed è grande come il mondo (I.821);
* l'annidamento dei sogni ne La scrittura del Dio, in cui un sacerdote azteco si sveglia da un incubo nel quale la sabbia lo soffoca, ma una voce gli dice: "Non ti sei destato alla veglia ma ad un sogno precedente. Questo sogno è dentro un altro, e così all'infinito, che è il numero dei granelli di sabbia. La strada che dovrai percorrere all'indietro è interminabile e morrai prima di esserti veramente destato" (I.860).28



Altre volte l'infinito è suggerito indirettamente da oggetti che lo ricordano o lo generano (la sabbia, i labirinti, i cerchi), spesso mescolati fra loro:

* in Abenjacan il Bojari, ucciso nel suo labirinto questo "aveva la forma di un circolo, ma la sua area era tanto estesa che non ci si accorgeva quasi della curvatura"29 (I.864);
* ne I due re e i due labirinti è il deserto stesso ad essere considerato come un labirinto, "dove non ci sono scale da salire, ne porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo" (I.873);
* ne L'uroboros si ricorda che "Eraclito aveva detto che nella circonferenza il principio e la fine sono un solo punto", e che il serpente che si morde la coda (tecnicamente chiamato uroboros, e abusato come simbolo dagli alchimisti) è "l'immagine che meglio può illustrare questa infinitezza" (Manuale di zoologia fantastica, p. 154).

Ovviamente, Borges non si sentì vincolato dalla realtà, ed immaginò egli stesso un oggetto infinito fantastico, ne L'aleph. Esso è "uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti", "il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli" (I.894), e come ogni oggetto infinito genera un regresso senza fine: Borges vede "nell'Aleph la terra e nella terra di nuovo l'Aleph e nell'Aleph la terra" (I.899). Geometricamente, esso appare come una piccola sfera di due o tre centimetri di diametro, e ricorda esplicitamente quell'altra sfera, da noi già incontrata in precedenza, il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo (I.897). Linguisticamente, il suo nome richiama l'uso della lettera , che nella teoria degli insiemi viene usata per indicare numeri infiniti (I.900): "i vasti numeri che un uomo immortale non raggiungerebbe nemmeno se consumasse le sue eternità contando, e le cui dinastie immaginarie hanno come cifre le lettere dell'alfabeto ebraico" (II.1255).30



b) Il tempo

In Scandali della ragione abbiamo citato alcune delle idee scientifiche sul tempo che, a nostro avviso, avrebbero interessato Borges. La nostra supposizione era suffragata dal fatto che di ciascuna di tale idee egli ha fatto uso in suoi racconti. Ricordiamo qui alcuni esempi:

* la relatività della durata di un evento ne Il miracolo segreto: un condannato all'esecuzione percepisce, per un miracolo di Dio, il tempo tra lo sparo e l'arrivo della pallottola come se fosse un intero anno, così da poter terminare un dramma a cui stava lavorando (I.745);
* il tempo circolare ne L'immortale: a causa della limitatezza delle esperienze umane, "in un tempo infinito ad ogni uomo accadono tutte le cose", e "l'impossibile è non comporre, almeno una volta, l'Odissea" (I.784);
* il viaggio nel tempo ne L'altro, 25 agosto 1983 e Utopia di un uomo che è stanco: nel primo Borges incontra da vecchio se stesso da giovane (II.563); nel secondo egli incontra a sessantun anni se stesso a ottantaquattro, nel giorno del suo suicidio (II.1121); nel terzo il protagonista torna dal futuro con un quadro "che qualcuno dipingerà, fra migliaia di anni, con materiali oggi sparsi sul pianeta"31 (II.631);
* il tempo ramificato ne Il giardino dei sentieri che si biforcano: "si creano diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano", "una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli, . . . che s'accostano, si biforcano, si tagliano o s'ignorano per secoli" (I.700);
* il tempo in divenire ne L'altra morte: Dio, che può modificare la percezione del passato, sebbene non il passato stesso, agisce sulle memorie di coloro che hanno conosciuto un codardo, e modificandole trasforma il ricordo collettivo di una codardia in uno di eroismo32 (I.828).



c) La realtà

L'ipotesi idealista si può sintetizzare dicendo che la realtà è un sogno, e che qualcuno ci sogna. Borges ha usato quest'immagine più di una volta:

* ne Le rovine circolari un mago, dopo lunghi anni di tentativi, genera un essere sognandolo, ma si accorge nel momento della sua morte di essere lui stesso il sogno di qualcun altro (I.665);33
* ne Lo Zahir la realtà si dissolve nel sogno quando un oggetto indimenticabile monopolizza i pensieri (I.856), mostrando come per sperimentare l'irrealtà della vita sia sufficiente vivere un'ossessione;
* in Un problema un re dell'Indostan "intuisce davanti al cadavere del nemico che uccidere e generare sono atti divini o magici che manifestamente trascendono la condizione umana", e comprende in quell'istante che sia lui che il morto sono illusori (I.1139);
* in Everything and nothing Dio rivela a Shakespeare che Lui stesso non è altro che sogno, così come il mondo ed i personaggi di Shakespeare(I.1161);
* in Scacchiera II i pezzi credono di godere del libero arbitrio, il giocatore che li muove crede altrettanto, e così il Dio che muove il giocatore(I.1179), ma in realtà la serie dei livelli è infinita (Altre conversazioni, p. 141, Ultime conversazioni, p. 75);
* ne L'altro e 25 agosto 1983, i già citati rapporti sui due viaggi nel tempo che Borges fece per incontrare se stesso in altre età, gli incontri sono reali ma almeno uno dei due sogna, e "l'importante è accertare se c'è un solo uomo che sogna o due che si sognano"34 (II.571, II.1123).

Un altro procedimento di cui Borges ha fatto uso per mettere in forse la realtà e quello di identificare gli opposti o gli uguali, rispettivamente come contrapposizioni o duplicazioni fittizie:

* ne I teologi uno di essi fa condannare l'altro al rogo, ma quando compare dinanzi a Dio questi li confonde ("per l'insondabile divinità ortodosso e eretico, aborritore e aborrito, accusatore e vittima erano una sola persona", I.803);
* nella Storia del guerriero e della prigioniera un barbaro (che abbraccia la causa di Ravenna assediata), e una donna europea (che milletrecento anni dopo sceglie il deserto argentino), sono visti come due facce di una stessa medaglia, uguali per Dio (I.808);
* ne Il sogno di Coleridge, similmente, un palazzo (costruito dall'imperatore mogul Kublai Khan nel secolo XIII, sulla base di un sogno), ed un poema sullo stesso palazzo (scritto dal poeta inglese Coleridge nel secolo XVII, anch'esso sulla base di un sogno), vengono identificati come "un archetipo non ancora rivelato agli uomini, che sta entrando gradatamente nel mondo" (I.923).



Da ultimo, la realtà viene messa in forse da oggetti inconcepibili, che sfidano le leggi fisiche. Alcuni esempi sono già stati citati (i libri infiniti, l'Aleph, lo Zahir), ma essi non esauriscono lo spettro della fantasia di Borges:

* ne Il disco il re dei Secgens muore per difendere il possesso del disco di Odino, l'unica cosa sulla terra che abbia un solo lato (II.647), e che altro non è che il cerchio euclideo (I.654);35
* in Tigri azzurre un professore di logica si imbatte in India in pietre che "distruggono la scienza matematica" perché, nonostante il loro peso sia costante, il loro numero è indefinito e instabile36 (II.1142). Una simile ipotesi di distruzione è prospettata da Wittgenstein nelle Osservazioni sopra i fondamenti della matematica (Einaudi, 1967, v.40).



Tutti i racconti precedenti sono coltellate nel ventre del realismo, ma l'apoteosi dell'idealismo di Borges si trova in Tlön, Uqbar, Orbis Tertius. Il mondo duale di Tlön costituito da fatti e non da oggetti (I.629), la scienza vi è impossibile, la metafisica è praticata come "ramo della letteratura fantastica" (I.631), l'aritmetica è basata sulla nozione di numero indefinito, la geometria sul concetto di superficie e non su quello di punto (I.634), il linguaggio su verbi o aggettivi e non su sostantivi (I.629). Le basi idealiste su cui tale universo si regge sono inutilmente poste in discussione dal sofisma delle monete di rame (I.632, vedi Scandali della ragione), così come i paradossi di Zenone sfidano senza speranza il realismo nel nostro.

Forse insoddisfatto della (per lui) insufficiente irrealtà di Tlön, Borges decise di raddoppiarla: in un poscritto37 egli spiegò che Tlön è un universo inesistente anche nella finzione letteraria, oggetto soltanto di una colossale opera di descrizione da parte di una società segreta: dunque "intrusione del mondo fantastico nel mondo reale" (I.638).

Così modificato il racconto è, per sua ammissione, il più ambizioso di Borges (I.XC): esso racchiude in forma artistica le sue idee filosofiche sul tempo e la realtà, e come sintesi del suo pensiero è dunque un'appropriata conclusione della nostra analisi.

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