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Recensione Salvo Sottile

Salvo Sottile

Maqeda

Salvo Sottile, Maqeda.
Di RosaMaria Crisafi

Maqeda è la metafora di una salvezza possibile, una sorta di gioco d’azzardo, che Filippo, il protagonista, si ritrova a giocare con la mafia.
Attraverso un viaggio nella memoria, un tuffo nel passato, ripercorre i mille personaggi da lui interpretati nella sua vita, in una Palermo “difficile”, quella degli anni ’70, che dà a Filippo una sola possibilità: “Decidere come e quando calare il sipario”.
Chi è “Maqeda”? E’ il soprannome che il boss Don Tano Galati dà al protagonista dopo averlo marchiato con un bacio davanti l’Ucciardone, in riferimento a qualcosa che sarebbe successo in via Maqueda, la famosa via perpendicolare alla via Vittorio Emanuele di Palermo.
La Palermo descritta nel romanzo non è quella che vissuta dal giornalista, poiché non era ancora nato, un’epoca in cui era arduo muovere i primi passi da giornalista, una Palermo di luci e ombre, ammaliante e violenta. Tuttavia Maqeda è un romanzo che può scrivere solo un siciliano perché i fatti di fantasia si intrecciano con i fatti reali: la mafia. Lui stesso ricorda di aver vissuto gli anni difficili della morte di Falcone e Borsellino.
Filippo, il protagonista, è un uomo che sfata il mito dei siciliani “che si piangono addosso”, non è un eroe, ma indosserà piuttosto gli abiti del mafioso, parlerà come un mafioso e alla fine dimostrerà di essere faber fortunae suae. Il protagonista potrebbe infatti diventare un tossicomane, un mafioso ma quando toccherà il fondo, cadendo nella trappola della mafia e vivendo l’esperienza dell’Ucciardone, proprio in carcere inizierà la sua salvezza. Nei mesi trascorsi in quel luogo imparerà a cucinare e, una volta riacquistata la libertà, diventerà chef.
Funzione catartica hanno le donne nella vita di Filippo, che rappresentano un po’ il percorso di crescita verso la salvezza dal male verso il bene. Ma la catarsi sarà raggiunta grazie alla Sicilia, con i suoi odori e sapori e con la sua sacralità che rappresenta la salvezza, una Sicilia che come Filippo “ce la può fare…”.

Di RosaMaria Crisafi

Di Sosuccia

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