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Recensione Maurizio Pallante

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Il discorso sulla decrescita

Maurizio Pallante Il discorso sulla decrescita
Maurizio Pallante Il discorso sulla decrescita

L'uomo non è un transito di cibo. Questa frase non è mia, bensì di Leonardo Da Vinci. Una frase che diventa un monito pensando alla nostra situazione attuale. Una frase che viene tramutata nello slogan anticapitalista di Ferretti, Produci-Consuma-Crepa, estremista da una parte, essenziale dall'altra. Perchè è inutile negarlo: siamo diventati transito di cibo. Il nostro imperativo è comprare, senza più riflettere su quale azione politica ci sia celata nel nostro gesto di estrarre denaro dal portafoglio. L'umanità è in pericolo e per vedere questo epilogo non è necessario contrapporre qualche secolo tra noi e il futuro. Bastano poche decine di anni. Non abbiamo tempo per rimediare, eppure dobbiamo sforzarci di farlo.
Sto parlando, in un modo del tutto confuso ma che rispecchia fedelmente lo stato d'incoscienza dei più, di questa corsa irrefrenabile verso la crescita economica. Crescita impossibile, in quanto la natura non può più donarci le materie prime che ci servono e assorbire i nostri rifiuti, crescita esibita come simbolo di un miglioramento economico millantato, in quanto non più ottenibile nella concretezza.
Maurio Pallante, incontrato allo spazio La Feltrinelli della Galleria Alberto Sordi qui a Roma lo scorso 19 di settembre, ha presentato il suo ultimo lavoro sulla teoria della decrescita, composto da un cd audio di poco più di un'ora e da un piccolo fascicolo che trascrive l'intero discorso. Un riassunto delle azioni e dei pensieri che ogni persona che abbia una minima voglia di vedere l'umanità sopravvivere a questa folle corsa verso un baratro senza fondo deve compiere.
Si parte da un presupposto basilare: non tutte le merci sono beni e non tutti i beni sono merci. Le merci sono prodotti o servizi scambiati con denaro e per la crescita economica solo esse contano, in quanto il Pil ne misura il valore monetario in un anno. A rigor di logica, dice Pallante, un ingorgo di tre ore in autostrada sarebbe un aiuto per la crescita economica dello stato in quanto si utilizza una maggiore quantità della merce benzina. Di conseguenza, dovrebbe aumentare anche la felicità di colui che è imbottigliato. In realtà, il tizio sarebbe molto più felice da un'altra parte, anche se questo comporterebbe una diminuzione del Pil.
Il punto è proprio questo: l'aumento del Pil è inversamente proporzionale alla nostra serenità. Ci hanno fatto il lavaggio del cervello convincendoci che comprare è bello e moderno. Acquistare il pane dal panettiere è più consigliabile, per la maggior parte delle persone, di prepararlo in casa: si risparmia molto tempo. Tempo per cosa? Per lavorare, in realtà. Si è calcolato che, in media, un uomo lavora ben cinque mesi l'anno solo per mantenere la propria automobile. Automobile che utilizza, per la maggior parte delle occasioni, per raggiungere il posto di lavoro. Un paradosso che ci porta dritti dritti al non-sense che abbiamo impugnato per vivere: possedere è essere ricchi. Più hai più sei. In realtà, siamo solo il prodotto di un consumismo sfrenato: nessuno di noi, senza acquistare, sa più fare. Questa perdita di manualità e di conoscenze rappresenta il vero dramma della società attuale. Ormai siamo talmente abituati a concepire la ricchezza come un valore in denaro da non riuscire a immaginare una realtà diversa. Povero è chi, nei paesi avanzati come il nostro, può comprare la metà di quello che un cittadino medio riesce ad acquistare. Nel terzo mondo, invece, è definito povero chi vive con meno di un dollaro al giorno. Questo in un mondo di perfetti analfabeti, senza più alcuna conoscenza. Se imparassimo tutti a creare, dal cibo ai vestiti a qualsiasi altra cosa realizzabile manualmente dall'individuo, il concetto di ricchezza sarebbe ribaltato. Non è povero chi ha meno di un dollaro al giorno, povero è chi non ha vestiti, cibo, materiale per scaldarsi. Chi non ha le cose basilari per vivere. Chi è più povero tra una persona che deve comprare ogni tipo di cibo ed una che non lo deve fare perchè, per esempio, coltiva frutta e verdura? Sicuramente la prima, in quanto, senza i soldi, morirebbe di fame. Ma non si tratta solo di dare finalmene un giusto valore alle cose, togliendo il concetto di prezzo. Si tratta anche di, appunto, perseguire una dimunuzione del Pil. Merci che vengono trasportate per tutto il mondo, creando intasamenti, utilizzo di petrolio, inquinamento. Pallante pone sempre un esempio semplice e chiarificatore: la produzione di yogurt. Autoprodurre lo yogurt costa pochissimo. Se con un euro, forse, riusciamo ad acquistare un barattolino di yogurt, con molto meno potremmo prepararne un litro. Non è questione solo di prezzo: le proprietà di uno yogurt fatto in casa sono qualitativamente migliori di quelli comprati. Strano a dirsi ma la maggior parte di quelli trovati nei supermercati sono privi di fermenti vivi e quindi non sono yogurt. Siamo talmente convinti che comprare sia più moderno di fare che vediamo tutto come una perdita di tempo. Ma non finisce qui. Non andando a comprare lo yogurt al supermercato non si innescano una serie di meccanismi suicidi. Scrive Pallante nel suo lavoro precedente, “La decrescita felice”: “Se il numero di coloro che si autoproducono lo yogurt crescesse in misura rilevante diminuirebbe la domanda di yogurt prodotto industrialmente. Di conseguenza, le industrie del settore dovrebbero ridurre i loro addetti e gli ordini di vasetti di plastica, coperchietti di alluminio e cartoncini stampati per le confezioni. Le aziende che fabbricano questi prodotti dovrebbero a loro volta sfoltire il numero degli occupati e diminuirebbe anche il numero dei camion che portano su e giù per l'Italia gli yogurt, i vasetti di plastica, i coperchietti di alluminio e i cartoncini stampati delle confezioni. Toccherebbe allora alle aziende di logistica licenziare e ridurre gli ordini di carburante per l'autotrasporto. L'eccesso di produzione si estenderebbe quindi alle raffinerie, che sarebbero costrette a licenziare e diminuire le importazioni di petrolio”. Il pezzo va avanti per un'altra mezza pagina. Tutto questo dalla semplice eliminazione della produzione dello yogurt. Chi parla di disoccupazione, per altro, deve anche comprendere l'obiettivo finale della decrescita: dimuire il tempo del lavoro SALARIATO per aumentare quello dedicato a ciò che non è definito lavoro, in quanto non remunerato. Non è necessario lavorare otto ore al giorno per avere tutto quello che siamo abituati ad acquistare. Lavorandone la metà potremmo lo stesso ottenere ciò di cui abbiamo bisogno in quanto, nel tempo risparmiato, avremmo imparato a produrcelo. In poche parole, si tratta di un aumento della produzione per autoconsumo con la logica diminuzione della produzione mercificata.
Questo non solo per migliorare il nostro stato di benessere mentale e fisico, ma soprattutto per evitare che la nostra razza si estingua. Perchè questa non è una scelta, oramai è un passo obbligato. Se continuassimo a produrre di più perseguendo il superfluo, il mondo entro pochi anni imploderebbe. Lo possiamo già vedere coi nostri occhi: nell'ultimo secolo la temperatura si è alzata di un solo grado. Con le conseguenze devastanti che conosciamo.
A chi afferma che Maurizio Pallante e la sua cricca vogliono riportare indietro la civiltà dell'uomo, basta fare l'esempio del riscaldamento. Ogni anno consumiamo petrolio per riscaldare le nostre case, credendo che vivere a gennaio in maglietta a maniche corte sia “figo”, “moderno”. Quando invece è solo stupido. L'obiettivo dovrebbe essere quello di costruire case autoriscaldanti, senza bisogno di riscaldamento. La domanda che Pallante pone è: per costruire questo tipo di case c'è bisogno di più o di meno tecnologia? Naturalmente, di più.
Questo è il punto. Adottare uno stile di vita nuovo, più a misura d'uomo, dove si riscotruiscano i rapporti con le persone scambiando beni autoprodotti, senza l'utilizzo del baratto, bensì come gesto “d'amore”. D'amore per il prossimo, per se stessi, per il mondo in cui viviamo. Utilizzare la tecnologia per migliorare, non per peggiorare. Non serve comprare un cellulare all'anno, serve semmai costruire un cellulare che non si rompa facilmente. Non si parla di rinunce, bensì di scelte. Pallante dice – ed io non posso che essere d'accordo – di non aver rinunciato alla tv, bensì di aver scelto di non averla. Senza sentirne minimamente la mancanza. Così vale per tutto quanto: non ha alcun senso il consumismo sfrenato, non ha senso lavorare ogni giorno 10 ore per mantenere un'automobile che ci porta solo a lavorare.
Tutto questo e molto altro ancora. Purtroppo riassumere in poche righe questo grande progetto della decrescita è pressochè impossibile.
Quel che è certo è che attuarlo ci rende più felici. E migliori. Ma, soprattutto, ci conduce all'unica via per la salvezza. Per saperne di più visitate anche il sito www.decrescitafelice.it

Di alicesu

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