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Linea Gotica

Ai più il nome Cristoforo Moscioni Negri dirà poco, ma quando un amico mi ha consigliato di leggere un libro originale e senza retorica sulla guerra partigiana, citandomi il titolo e l’autore, ho pensato subito che questo doppio cognome non mi era nuovo e che l’avevo già letto da qualche parte. Ho riflettuto un po’ e poi è sbucato dalla memoria il capolavoro di Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve; infatti, il sottotenente Cristoforo Moscioni Negri era un compagno d’armi, durante la campagna di Russia, del grande scrittore di Asiago. Del resto, la pubblicazione del suo primo libro, I lunghi fucili, dove si parla appunto della tragica sorte dell’Armir, fu propiziata da Rigoni Stern, che presentò l’opera all’editore Einaudi, opera si cui conto di tornare in argomento non appena letta.


Fatta questa opportuna premessa, dico subito che Linea Gotica è un libro di estremo interesse, perché sono le memorie di Moscioni Negri del periodo intercorrente fra i giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943 e l’avvenuta liberazione delle Marche e di Pesaro, lasso di tempo durante il quale operò nelle formazioni partigiane.


Non starò a raccontare i numerosi episodi di questa guerra per bande, in cui la figura dell’autore è di primo piano, essendo stato comandante di una brigata Garibaldi, ma preferisco soffermarmi sulla valenza storico-politica del testo, peraltro caratterizzato da una scrittura asciutta, raramente incline a ceselli letterari – ma quando ci sono risultano opportuni e pregevoli -, e che mi ricorda un po’ il Cesare Pavese de La luna e i falò.


L’importanza del libro sta in ben altro, cioè è costituita dall’analisi dell’autore dei motivi che l’hanno spinto ad aderire alla Resistenza, compendiati sinteticamente nella completa sfiducia nei confronti del regime fascista e dei nostri comandi militari per la disfatta subita in Russia, nonché nell’amara constatazione dell’incapacità del Re e dei suoi generali di organizzare almeno l’armistizio, con tutte le conseguenze che si ebbero.


C’è da dire anche che l’uomo Moscioni ha un alto senso dell’onore e non può quindi che criticare il disinteresse degli anglo-americani per le formazioni partigiane, mal viste, anche se le stesse dimostravano valore e ampia disponibilità di collaborazione.


Inoltre, e questo è tanto più importante nell’imminenza della ricorrenza del XXV aprile, l’autore marchigiano dimostra lungimiranza nel prendere atto che, a liberazione avvenuta, ritornarono in auge e al posto di comando i vecchi antifascisti che, con il loro comportamento passivo, molto avevano contribuito all’ascesa di Mussolini; a questi si unirono ben presto i soliti profittatori, che avevano fatto lauti affari durante il fascismo e sotto l’occupazione tedesca,  nonché figure notoriamente di spicco nel ventennio, insomma si era combattuto e sofferto  solo per sollevare un vero e proprio polverone senza che nulla cambiasse.


E così lo spirito della Resistenza, le sue speranze, i suoi ideali cominciarono subito a disperdersi, affondando nella palude putrida del dopoguerra grazie al vecchio ordine che riprendeva i posti di comando.


Ai giovani che avevano combattuto, che sognavano un’Italia nuova e diversa, non rimase altro che constatare con amarezza che l’avevano fatto invano.


E il senso dell’onore di Moscioni non è quello retorico che si richiama in tante cerimonie, ma è la dignità offesa di ogni essere umano che si sente considerato una semplice pedina di un gioco, per lo più sporco, realizzato da pochi altri.


Linea Gotica è un libro assolutamente da leggere.


 

Di Renzo.Montagnoli

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