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Recensione Antonio Mazziotta

Antonio Mazziotta

Il Buio alla Finestra - Spigoli e Culture

 Quello che ti può salvare… è avere una buona storia da raccontare… (Alessandro Baricco, Novecento)
In questo suo primo romanzo, Antonio Mazziotta riscopre, privilegiandola, la dimensione del racconto, attraverso una sorta di dialogo -una conversazione quasi segreta, fatta di parole, sguardi, gesti ed anche silenzi- tra due amiche, Gioia e Tania, legate da profondo affetto (...erano cresciute insieme come fossero sorelle… Quei giorni avevano ricamato, un disegno uguale e indelebile, un tatuaggio inciso nel profondo delle loro vite), ma molto diverse fra loro: la prima fa il suo ingresso nel mondo in punta di piedi, arrossendo, mentre la seconda morde la vita con spontaneità ed irruenza; inoltre,"... il loro stesso aspetto fisico ne era la prova più evidente, metteva in risalto i loro colori con determinazione e li faceva contrastare in maniera troppo visibile. L’una era chiara di carnagione e dall’aspetto oltremodo acerbo, l’altra dalla pelle quasi abbronzata, che, come una farfalla dai colori intensi, catturava gli sguardi."
Gioia ama, fin da bambina, i libri e, soprattutto, le poesie o, meglio, le “lettere al mondo”, di Emily Dickinson, desidera ardentemente e riesce a realizzare il suo sogno di divenire avvocato per difendere i diritti di tutti. Tania, invece, è fermamente convinta "...che dentro quella carta stampata si trovino delle definizioni eccellenti dell’amore, ma non l’amore, per il semplice fatto che bisogna sperimentarlo sulla propria pelle"; ella si dedica totalmente al suo lavoro -"..si diceva che presto avrebbe aperto un salone di acconciature tutto suo"- e, cosa più importante, è consapevole del fatto che per la riuscita dei suoi progetti tutto dipende, esclusivamente, da lei.
Ma, le differenze tra le due donne non finiscono qui: fra le altre cose, ad esempio, Gioia si innamora e poi sposa Andrea, anch’egli avvocato, conosciuto ai tempi dell’Università (..quel ragazzo del caffè, dallo sguardo così insistente, pieno di curiosità ma allo stesso modo dolce e timido che le aveva fatto battere forte il cuore e sentire un misto di emozione e paura) e con cui condivide la propria esistenza, fino a quando la malattia la strappa via da lui:."... Gioia conosceva ogni impercettibile espressione del suo volto, anche la più nascosta, ogni leggera inflessione della voce, il significato di ogni piccolo gesto delle mani, la postura del corpo. Insieme avevano trovato la magia di quell’intesa perfetta e condividevano lo stesso sentire, a tal punto che avrebbero potuto benissimo fare a meno delle parole… I loro animi sempre più sereni, uniti, avevano sviluppato un nuovo modo di guardare, riuscivano a vedere."
Al contrario, l’amore di Tania verso quell’uomo del quale non avrebbe mai più pronunciato il nome era stato contraccambiato da orribili maltrattamenti. Tuttavia, dopo la vergogna e la sconfitta per il fallimento del suo matrimonio, quel naufragio impetuoso che aveva strappato violentemente le certezze della sua vita, quest’ultima le offre un’altra opportunità: l’incontro con Paolo, "...un ragazzo tanto intelligente quanto sensibile, con un senso spiccato per l’ironia che gli permetteva di affrontare qualunque cosa con un sorriso e con una leggerezza spensierata, ma solo all’apparenza. Le sue giornate erano completamente assorbite dai libri, per poter diventare un buon medico. Egli amava follemente quella bellissima ragazza ed era certo che quegli aspetti del suo carattere impulsivi e spesso artefatti, altro non fossero che una richiesta disperata di aiuto, ma soprattutto di quell’amore che non aveva mai ricevuto e solo lui, pazientemente, le avrebbe dato....
Infatti, sullo sfondo o, meglio, ad un livello più profondo, si gioca l’eterna partita tra “eros” (amore) e “thanatos” (morte), forze continuamente contrapposte ed in balia, anch’esse, dei desideri bizzarri e dispotici dei due più potenti tiranni del mondo, il Tempo e il Caso… sovrani assoluti.
Alla fine, però, l’amore vince la morte e dura in eterno: "Quel potente sortilegio che è l’amore…quel tutto che poteva ogni cosa, capace di dominare col suo mistero ogni natura corruttibile per sempre; capace di unire i corpi con un vincolo energico in questo strano viaggio nel mondo, ma più ancora capace di unire indissolubilmente lo spirito per l’eternità." Una verità (come la morte) ..."che ora si era rivelata, dilatata, palesando una incommensurabile irrealtà, così vera e così reale."
Le storie e le vicende descritte, dunque, risultano “efficaci”, perché potrebbero appartenere a ciascuno di noi e suscitare le medesime sensazioni di fragilità, insicurezza, sconforto, attesa. Ogni fatto, anche minimo o considerato banale, costituisce per la maggior parte di noi una vera e propria storia da raccontare, degna di nota e considerazione; ognuna è degna di essere narrata.
In questo romanzo, tuttavia, non avviene solamente una rivalutazione di ciò che viene raccontato e di chi racconta, ma anche una sorta di riscatto per chi ascolta, poiché il fatto stesso di raccontare esprime un’esigenza, una richiesta di senso in eludibile per ogni essere umano che, nondimeno, acquista significato soltanto se c’è qualcuno che ascolta: il ruolo dell’ascoltatore è un compito alquanto arduo e difficoltoso, quasi pericoloso… Nessuno di noi è in grado di vedere che effetto facciano i propri occhi, neppure davanti a uno specchio.
E’ possibile rilevare tale aspetto anche dall’uso preponderante dei verbi coniugati all’imperfetto, il tempo del racconto, del fiabesco “C’era una volta…”.
La storia o, più correttamente, la molteplicità di storie narrate nel testo si snoda lungo trenta capitoli, frammenti di vita che, seppur con diversi balzi temporali, ricoprono un arco di circa vent’anni -dai primi anni Ottanta (quelli che più tardi vennero definiti “gli anni di fango”… del declino dei sindacati, della degenerazione della classe politica, della spesa pubblica e della lotta dello Stato alla criminalità, ma soprattutto della crisi delle ideologie politiche del Paese. In cui si avvertiva, pur sopportando le contrarietà del quotidiano, un’euforia collettiva, fiduciosa in quel futuro che porgeva una nuova ricchezza, incredibilmente fruibile e in modo semplice da ognuno), fino ai giorni nostri- ed uno spazio che appare, al contempo, vasto e circoscritto: si parte da Modena -la loro città (terra d’origine delle protagoniste)- per poi attraversare Bologna, Reggio Emilia e giungere a Parma, quella città dal nome morbido, divisa in due da un corso d’acqua leggero, ricca di storia e monumenti ma soprattutto di speranze.
Ciò nonostante, il tempo del racconto risulta, continuamente, dilatato da minuziose descrizioni ricche di particolari, che riescono a coinvolgere tutti i sensi: L’aria fresca e quella luce cangiante sempre più intensa le avevano fedelmente trasmesso un buon umore rinnovato… la stazione emanava un odore di ferro umido, plastica e inchiostro… quel silenzio era un rumore insostenibile.
La parte finale del romanzo, invece, è occupata da un lungo flash-back -è il tempo di arrendersi irrimediabilmente ai ricordi che tutto a un tratto si erano svelati premonitori di quel futuro inevitabile- in cui compare un elemento dominante, anche a livello lessicale, una sorta di filo rosso: la finestra, il nostro occhio privato sul mondo esterno, da cui far entrare la luce e con la quale escludere l’oscurità, il buio (Quella notte il buio sarebbe rimasto alla finestra).

La scheda di Daniela Frondiani

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