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Claire Clairmont

Quando termino la lettura di un libro e mi sento scosso profondamente, so di aver avuto per le mani una perla rara; se poi questo stato emozionale si ripresenta dopo alcuni giorni al solo riaffiorare di alcune immagini o situazioni che ho ritenuto particolarmente significative e provo un turbamento interiore che gradualmente si scioglie in un senso di serenità, sono consapevole che quanto ho letto è un’autentica opera d’arte, un capolavoro che rimarrà sempre dentro di me.


A essere del tutto sincero, prima della lettura nutrivo il timore di potermi trovare di fronte a un feuilleton, insomma a un romanzo d’appendice, in questo indotto dal poco che sapevo della protagonista, sorellastra di Mary Shelley e quindi cognata del poeta, amante di Lord Byron, da cui ebbe Allegra, una figlia morta in tenera età. La vicenda di Percy Shelley, perito in un naufragio, e del poeta baronetto inglese morto di meningite a Missolungi, unita a quella della prematura scomparsa della bimba lasciavano infatti presagire una narrazione volta a commuovere facilmente il lettore, non rivestendo la figura di Claire Clairmont un interesse particolare, se non quello di essere stata privata dei suoi più stretti affetti ancora in età giovanile.


Per fortuna mi sbagliavo, e anche di molto, perché la protagonista principale è una donna di eccezionali qualità, forse non versata per la poesia, ma testimone di fatti, di eventi importanti, lei stessa attrice e vittima dei medesimi, condannata a vivere moltissimi anni con il suo dolore, una figura che si riassume nell’epitaffio che lei volle fosse scolpito sulla lapide della sua tomba nel cimitero di Antella: Passò la vita soffrendo, espiando non solo le proprie colpe ma anche le proprie virtù.


Scomparsa dal ricordo, a differenza di Percy e Mary Shelley e di Lord Byron, Claire Clairmont è tornata a vivere in questo meraviglioso romanzo di Marco Tornar che ha sollevato i veli dell’oblio, realizzando ciò che unisce i morti ai vivi, quella memoria che diventa patrimonio comune, che ci permette di volgerci all’indietro e di saper proseguire in avanti.


L’autore è l’io narrante, sia nel momento in cui percorre il viaggio alla ricerca dei luoghi di questa memoria, sia quando si cala nei panni di Edward Silsbee, ricco americano, docente universitario, che nella seconda metà del XIX secolo viene in Italia e si reca a Firenze con la speranza di avere un colloquio con l’unica che ancora sia in grado di dire qualche cosa di nuovo sui coniugi Shelley e su Byron.


Così si svolge la vicenda, in una tensione sottile, quasi evanescente, ma sempre presente, e come in un palcoscenico l’apertura del sipario rivela gli attori, qui si scostano progressivamente drappi polverosi per svelare una vita e un personaggio straordinario.


L’atmosfera di quell’epoca, la luce di Firenze nelle stagioni, la passione amorosa che divampa fra Edward e Georgina, pronipote di Claire, i dialoghi, spesso monologhi, fra l’americano e la protagonista, uno spaccato di vita sociale in un’Italia nel periodo immediatamente successivo all’unità, il funerale di Shelley sono un grande esercizio di stile da cui traspare la natura poetica di Tornar, che riesce a mantenere per tutta la narrazione un ritmo equilibrato, proprio di una cosa del passato, come una fotografia ingiallita la cui osservazione ci porta poco a poco a scoprire e a definire i soggetti ritratti.


In un italiano estremamente preciso e corretto, sempre più raro oggi, pagina dopo pagina si passa da un’iniziale curiosità alla necessità di conoscere, anche perché sapere  di Claire Clairmont vuol dire scoprire un passato che è nostro patrimonio, significa riflettere sull’esistenza e sulle tante domande che inconsapevolmente ci poniamo.


A un certo punto del romanzo Claire dice: Penserei volentieri che la mia memoria possa non perdersi nell’oblio com’è accaduto alla mia vita; ebbene questo suo desiderio si è realizzato grazie a Marco Tornar, che ci ha fatto dono di un libro di stupefacente bellezza.


 


 

Di Renzo.Montagnoli

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