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Un giallo di raffinata costruzione che tuttavia non un giallo o almeno, come tale, del tutto atipico: questo il bellissimo romanzo di Sciascia A ciascuno il suo. Del resto Italo Calvino, in una lettera a Sciascia del novembre del 1965, scriveva: Ho letto il tuo giallo che non un giallo, con la passione con cui si leggono i gialli, e in pi il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi come viene dimostrata limpossibilit del romanzo giallo nellambiente siciliano. La vicenda di quelle che appassionano il lettore per arrivare alla soluzione, ma le descrizioni dei personaggi, delle atmosfere, degli ambienti prioritaria, quasi che Sciascia volesse far sapere che in un simile contesto tutto ci che avviene non per caso e rientra in una normalit dettata dalla sempre presente associazione mafiosa. La trama, con linvestigatore improvvisato, questo professor Laurana che ha un vizio mortale per il luogo dove vive, cio la curiosit, peraltro avvincente, ma ripeto che quel che conta lo sfondo, con la vita di piccola provincia, il circolo dei notabili, la connivenza, magari obbligata, con le attivit di malaffare. Ne esce un quadro di una Sicilia racchiusa in uno schema di ordinaria struttura malavitosa tale da considerarla normale, in una rarefatta atmosfera di consapevole impossibilit di cambiare le cose. Labilit narrativa di Sciascia si conferma anche in questo romanzo, con una realt che ci viene rappresentata nella sua autentica e ambigua consistenza, ricorrendo ad allusioni, a parole dette e non dette, a personaggi descritti magistralmente. Lo sfondo costituito appunto dalla precisa analisi dellanimo siciliano, dalla naturale presenza della vita e della morte, dal radicato concetto dellindissolubilit della propriet e dalle pulsioni erotiche, che prorompono diventando piacevoli sensi di colpa. Il professor Laurana ha il torto di essere vittima di un sistema che non pu perdonargli la difformit a uno schema precostituito e immutabile nel tempo, sebbene lui non abbia lintenzione di scardinarlo. Del resto laffermazione che chiude il romanzo, per bocca del parroco di SantAnna, un prete con poca vocazione, dimostra inequivocabilmente che il pragmatismo pu arrivare in un simile ambiente allassurdo di considerare del tutto normale, perch ormai consolidato, il castello di connivenze, anche solo omertose, con il potere mafioso. Infatti, alla confidenza che si appresta a fare con tutte le dovute cautele il commendator Zerillo e relativa alla figura del professor Laurana, il sacerdote risponde secco, a troncare la discussione: Era un cretino. A ciascuno il suo un romanzo di tale qualit che ne ritengo indispensabile la lettura. Renzo.Montagnoli
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