Nel piccolo quartiere raccontato da Giosuč Calaciura sembra concentrarsi l'energia esplosiva di un'intera cittą. E solo una manciata di viuzze nel cuore di Palermo ma ne contiene tutto il carattere, l'oscuritą, la violenza e la bellezza. Qui si rispecchia, si deforma ogni vizio e virtł, cuore e budella, come fosse un condensato di vita, una versione raggrumata e forte di sapori palesi e occulti, pubblici e privati. Qui vivono Mimmo e Cristofaro, amici fraterni, compagni di scuola e complici di fughe; Carmela la prostituta e Celeste, sua figlia, che porta in nome il colore del perdono; Totņ il rapinatore che tiene la pistola nella calza perché - cosģ si dice - č pił difficile da usare. Qui si allevano cavalli per le corse e si truccano le bilance delle salumerie, mentre l'ululato del traghetto che parte verso il Continente si confonde con i lamenti causati dai pugni di un padre ubriaco. Da un lato c'č il mare, col suo vento che scombina gli odori in vortici ballerini, portando fragranza di carne nelle case di chi carne non mangia mai. Dall'altro c'č la piana distesa della metropoli, coi suoi negozi, le signore benestanti, la legge e le guardie. Nei vicoli il profumo del pane sfornato due volte al giorno suscita un tale stupore che ciascuno si segna con la croce. E puņ capitare che le forze dell'ordine cingano in assalto il quartiere fino a presidiarne gli ingressi, come in un assedio medievale. Sembra tutto fantastico e inventato, e invece nell'immaginazione di questa storia, nella lingua che la racconta, nel suo ritmo frenetico, domina la veritą. Quella difficile, contraddittoria, di una cittą che non puņ soffocare le sue viscere, il suo cuore, perché lģ si č posata la sua anima, lģ si intravedono i miracoli e la meraviglia di ogni giorno, la fierezza e l'efferatezza dell'antico, del presente, e la speranza del futuro. |