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La morte a Venezia (Einaudi tascabili. Classici)


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Una Venezia estiva ammorbata da una peste incombente ospita l'inquieto Gustav Aschenbach, famoso scrittore tedesco che ha costruito vita e opera sulla più ostinata fedeltà ai canoni classici dell'etica e dell'estetica. Un sottile impulso lo scuote nel momento in cui compare sulla spiaggia del Lido la spietata bellezza di Tadzio, un ragazzo polacco. Un unico gioco di sguardi, la vergogna della propria decrepitezza, la scelta di imbellettarsi per nasconderla, sono i passi che scandiscono la vicenda. In pieno Novecento, Thomas Mann ha colto e rappresentato la grande cultura borghese in via di dissoluzione, in un'opera emblematica che fonde la perfezione formale con la rappresentazione degli aspetti patologici di quella crisi.
 
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Un racconto straordinariamente complesso. Un racconto nel quale si segue con fiato corto Thomas Mann che via via snocciola non solo una storia, ma un intero pensiero che abbraccia le arti, la bellezza, la perdizione, la filosofia. Lo si segue ora a fatica, ora delicatamente, godendo di tanto in tanto del condividere qualcosa che si avvicina alla reciproca comprensione, mentre il suo personaggio, Gustav von Aschenbach, il suo artista, viene condotto brutalmente sulla via della perdizione, di quella morte tristemente ed enigmaticamente annunciata. E vi condotto proprio quando, allinizio, proprio sul bordo, il fato o forse un nume gli invia un segnale di vita, di viaggio, lo richiama al movimento, allesaltazione dello spostamento, del vivere, un vivere che, da artista che attraverso labnegazione allarte espia la colpa dellarte stessa, si arbitrariamente precluso per inseguire la bellezza perfetta, quella che per Mann la sola legittima, larte che frutto di intenso lavoro e non nasce da una subitanea, spontanea e presto svanita passione per le cose umane.


Dunque, si snoda in unottantina di densissime pagine non solo quel viaggio verso la perdizione, verso la preannunciata morte, ma un percorso verso la perdizione morale che si consuma dellamore peccaminoso per il giovane Tadzio e il pensiero di Mann a proposito dellarte, accennato e mai approfondito in Tristano e Tonio Krger . Gli artisti di Mann sono artisti che espiano una colpa, la colpa dellarte. Mann ne riconosce la distanza, la distanza da ci che umano, da ci che la norma. Tonio Krger ne ritrova le tracce, redimendosi in parte senza mai, per, ricucire lo strappo che si venuto creando, nel proprio stesso corpo, fra luomo e lartista. Detlev Spinell ne forse la caricatura, un artista che lavora di penna e di parole gustose, ma che perde dignit e baldanza quando, non pi protetto da una disciplina che quasi trattiene e doma il suo essere artista e lo lascia in balia delle sue innate debolezze, si trova ad affrontare una situazione reale. Allora, quasi si avverte un qualcosa che potremmo definire critica a proposito dellarte? Forse, forse unespiazione autobiografia di un artista che si redime per legittimare il persistere dellazione delittuosa (larte, linseguimento della bellezza). Morte a Venezia, parlando in questi termini, potrebbe essere, nonostante sia ad essi precedente, il compimento degli altri due racconti. Un pensiero che trova la propria completezza solo in Morte a Venezia, nel quale si manifesta, dopo un lungo e articolato percorso, nel richiamare le figure di Seneca e Fedro, il vecchio e il fanciullo, e nellammissione eterea e definitiva insieme della condizione dellartista, questo suo procedere inevitabilmente verso la perdizione e la morte. Malattia, morte come arte. Questa continua metafora.


Illuminanti risultano i toni, a questo proposito. Come cambieranno poi in Tristano e Tonio Krger, luno lirico e laltro retorico (ironico), come saranno lievi e frizzanti, come risulter omogeneo e solido il monocromatismo di questi due racconti successivi. In Morte a Venezia i toni mutano, seguono il percorso verso il degrado (morale e fisico). La piattezza e la calma opprimente delle prima pagine, pagine di stasi, di preludio al moto, al cambiamento, alla brusca virata, toni man mano pi caldi e seducenti, man mano che procede in Aschenbach il puro sentimento, man mano che esso si abbellisce, man mano che esso diventa arte (come si ripete la parola bellezza a mettere in evidenza quanto sia effimera, quanto sia eterea, quanto sia poco umana, quanto sia poetica, quanto non esista eguale). Poi si abbrutisce, si brutalizza in un delirio quasi scomposto, in cui qui e l ancora si avvertono le liriche parole di Seneca, man mano che della perdizione del corpo e della mente si avvertono le avvisaglie (crudele, Mann non fa che sottolineare il contrario fra vecchio e bello), man mano che lartista si corrompe e abbandona la morale, perch votandosi al bello non pu farne a meno.


Il linguaggio, cos snodato, ora delicato, ora brutale, ora barocco, sempre molto metaforico, molto ricco, molto bello.


Che dire? Lho letto inseguendo Mann, cercandolo tra le pagine del racconto. Ma si pu leggere anche solo gustandolo, gustandosi il magnifico climax, il magnifico srotolarsi del racconto, delle sue fitte trame e dei suoi significati, delle sue quasi allegoriche metafore. Alcuni passaggi meritano una lettura che sia tutta cuore.


Bello, intenso, complesso, profondo.



Hellionor

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