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Biografia Emil Nolde
Emil Nolde
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Joseph Paul Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, conosceva bene e apprezzava gli espressionisti. Considerava Edward Munch il genio artistico del Nord, e in un suo romanzo del 1929, “Michael”, faceva dire al protagonista: «la struttura interna del nostro decennio è espressionista sin nell’anima. Noi contemporanei siamo tutti degli Espressionisti». Eppure proprio su questo terreno perse una battaglia importante contro il suo rivale Alfred Rosenberg, l’autore del testo razzista “Il mito del XX secolo”, che alla ricerca astratta dell’avanguardia espressionista preferiva un’arte naturalista e populista. Con l’appoggio di Hitler, indifferente e ostile all’espressionismo, Rosenberg sconfisse il potente avversario Goebbels. La sua vittoria fu suggellata dalla famigerata mostra sull’arte “degenerata”, inaugurata dal Führer a Monaco di Baviera il 19 luglio 1937. I musei tedeschi vennero epurati di quanto non strettamente “ariano” e “germanico”. Una volta operata la scrematura, le opere condannate vennero esposte all’interno di una mostra itinerante. Gli espressionisti furono i più bersagliati: Barlach, Beckmann, Chagall, Dix, Ernst, Grosz, Kandinsky, Klee, Kokoschka, Marc, Munch. La mostra attirò una moltitudine di visitatori. Anche Goebbels si recò a visitare l’esposizione a Berlino nel 1938. Ma tenne l’impermeabile allacciato e il cappello in testa, infastidito dal successo del rivale Rosenberg. Fra gli artisti “degenerati” c’era anche Emil Nolde, che Goebbels aveva posto accanto a Munch in una ideale linea in grado di risalire «ai fondamenti nordici dell’arte razziale». A Emil Nold il Grand Palais di Parigi dedica una sontuosa esposizione (si concluderà il 19 gennaio), ricca di opere di varia natura: dipinti, disegni ad inchiostro, incisioni su legno e acquerelli, spazianti nell’arco intero della sua multiforme ricerca artistica. Emil Nolde, nato nel 1867 nel villaggio tedesco di Nolde, al confine con la Danimarca, in realtà si chiamava Emil Hansen; ma preferì farsi chiamare come la sua terra amata. L’esposizione segue cronologicamente la produzione di Nolde, dai primi passi pittorici sino alla morte avvenuta nel 1956, illustrando in maniera esemplare il tortuoso itinerario di quello che oggi viene considerato fra i più grandi (se non il più grande) esponenti dell’espressionismo tedesco. Gli anni della formazione di Nolde sono contrassegnati da uno stile non ancora pienamente definito e da una serie di incontri. L’arte egizia e Goya; lo stile grottesco e l’impressionismo. Con il passare del tempo i suoi colori aumentano di intensità e il tratto pittorico si incanala verso la potenza e il contrasto dei colori propri dell’espressionismo di Munch. Espressionismo che cerca però di filtrare e attenuare, mescolandovi lo stile di Paul Gaugain e Vincent Van Gogh, la cui influenza segna visibilmente la pittura di Nolde. Ma il vero passaggio determinante nella vita artistica di Nolde, come ricorda egli stesso nelle sue memorie, avviene tra il 1902 e il 1914, quando si trova a stretto contatto con “Die Brücke”, il gruppo originario degli espressionisti tedeschi a Dresda. Se nel dipinto “Primavera della camera” (1904), centrato sul corpo di una donna intenta a leggere davanti ad una finestra, ancora si percepiscono le contaminazioni dell’impressionismo e di Van Gogh, nei vari dipinti dedicati ai caffè e cabaret, composti tra il 1910 e il 1911 a Berlino, dove Nolde si è trasferito, si nota un passaggio epocale. La Belle Époque parigina della donna dal volto delicato, dai tratti gentili e dagli abiti di colori tenui ritratta da Edgar Degas nel 1875, immagine splendente e rassicurante di una civiltà ordinata, prospera e marcata della gioia di vivere, in Nolde si trasforma. Ne è un chiarissimo esempio il ritratto di una donna seduta al tavolo di un caffè berlinese (1911): il suo volto è scavato e il mento affilato, lo sguardo torvo, gli occhi e le sopracciglia simili a profonde ferite nere. Più che un volto di donna è una maschera pesantemente truccata. La bellezza dei volti impressionisti si è volatilizzata, mutando nel cupo e inquietante ritratto di Berlino capitale delle contraddizioni e anticipazione della rovina di un mondo che sta correndo troppo rapidamente verso l’abisso. Di questo periodo il capolavoro di Nolde è “La vita di Cristo” (1911-1912), opera di grandi dimensioni (220×570 cm.), composta da una crocifissione centrale e da otto pannelli (quattro per lato) raffiguranti episodi cristologici, dai Re Magi alla Resurrezione. Un critico di Nolde definì l’opera il risultato artistico di un “malato”. In realtà Nolde metteva su tela la malattia del proprio tempo. Il suo sguardo “perturbante” dava libero sfogo alla mostruosità del quotidiano evocata dalle avanguardie nel loro insieme, non solo dall’espressionismo, che avrebbe dovuto mandare in mille pezzi l’ordine borghese e religioso dell’Occidente. Non a caso Nietzsche, il filosofo in piena sintonia con lo spirito dell’avanguardia, aveva scritto: «abbiamo l’arte per non perire a causa della verità». Ma Nolde seppe vivere il proprio tempo espressionista trascendendolo, per non rimanere ingabbiato in una forma fissa. Il lungo viaggio compiuto tra il 1913 e il 1914, che lo portò verso i mari del Sud, sino alla Nuova Guinea, alla scoperta dell’arte primitiva, colorò di misticismo la sua pittura, così come aveva indicato Kandinsky nella ricerca dello spirituale nell’arte (da non confondersi con la religione; ma da intendersi come il recupero dell’autenticità dell’uomo, unica misura dell’esistenza), anticipando il lavoro di Jean-Michel Basquiat sulla “mostruosità” della New York anni Ottanta. Il nazismo decide che l’arte di Emil Nolde è “degenerata”. E gli impedisce di dipingere. Pur se Nolde si era dichiarato favorevole ad Hitler e disposto ad impegnarsi nella edificazione di una autentica arte tedesca. Gli espressionisti avevano giocato col fuoco. Avevano invocato una rivoluzione artistica, una lotta senza tregua alla borghesia e al mondo imperiale guglielmino prima, e liberale weimariano poi, considerato decadente e corruttore delle arti. Adesso la rivoluzione era arrivata davvero. E stava divorando gli artisti che l’avevano incessantemente predicata.

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