Biografia Franco Ferrucci |
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Franco Ferrucci, italiano nato a Pisa (1936) e italianista che insegna a New York, aveva pubblicato da Einaudi nel 1986 “Il mondo creato”, vasto romanzo di gusto anglosassone in cui è narratore il creatore. É il Dio biblico che si racconta, mescolandosi all’esistenza degli umani e alle “esistenze fantomatiche” che essi hanno creato al di là del suo volere; il diavolo, naturalmente. Ora Ferrucci ristampa un romanzo, o poema, che è già stato fra i suoi maggiori successi; anzi lo riscrive in una minuziosa revisione, con accenni protratti fino all’attualità recente e inserti anche notevoli. L’aggiornamento e il rilancio hanno buoni motivi. Alcuni dipendono da Ferrucci stesso, dal suo persistente interesse per i miti di fondazione e gli archetipi (memorabile il saggio del 1974 su Omero, L’assedio e il ritorno), dall’attitudine a muoversi con uno sguardo planetario che abbraccia in poche righe vicende immani, a scrivere appunto come Dio, rendendo accettabile la grandiosità esagerata, dell’assunto grazie alla tecnica dell’abbassamento ironico adatto a un Dio debole. Un’altra ragione può trovarsi inoltre nel fenomeno di carattere generale che investe la nostra cultura, nell’andare del nostro tempo e nel paradosso per cui, nonostante la dichiarata secolarizzazione, di Dio discorrono i giornali ogni mattina. É fatale tuttavia che il Dio del Mondo creato sia un personaggio della modernità. Un inetto dunque, un pasticcione, uno sperimentatore al quale sfuggono di mano gli esperimenti, un dio dell’imperfezione che cerca e non trova ascoltatori (gli interpreti accreditati, vedi Agostino qui vanamente inseguito, si ostinano infatti a celebrarne l’onnipotenza e le misteriose finalità). Nella nuova edizione l’ultimo, esplicativo capitolo è cresciuto da quattro a diciotto pagine, spia di un’aumentata cura o preoccupazione dell’autore nel commentarsi e nel rendere espliciti i propri convincimenti. Così apprendiamo che “il credere e il non credere” fanno parte della stessa ricerca “di dare un senso alla vita”; e che “quando il genere umano se ne andrà” anche Dio se ne andrà con lui. Ma la malinconia di questo libro assai bello non viene dalla sentenziosa e un po' scontata conclusione, bensì dall’apparire e scomparire di mille vite a perdere, di cose e animali, teologi, lucertole, e imperfettissime talpe mosche bisce.
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