| Biografia Gabriele Mandel |
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Giovedì 1 luglio è venuto a mancare Gabriele Mandel Khan, vicario della confraternita sufi Jerrahi Halveti in Italia. Personalità poliedrica dal grande carisma. Mohsen Mouelhi, Mahmoud Asfa, Paolo Branca e Izzedin Elzir lo ricordano.
di Elena Dini
Una personalità indubbiamente poliedrica e piena di carisma. Questo risulta chiaro anche solo dando una rapida letta alla biografia di Gabriele Mandel Khan, scomparso a Milano il 1° luglio dopo una lunga malattia che lo aveva debilitato. Ma per molti, Mandel Khan, khalifa (vicario generale, ndr) in Italia della Confraternita sufi Jerrahi Halveti, era ben di più.
“Era il mio maestro, il mio professore, la mia guida spirituale – commenta al telefono Mohsen Mouelhi, vice vicario in Italia della confraternita sufi che ha conosciuto Gabriele Mandel Khan 43 anni fa -. E' lui che mi ha plasmato insegnandomi la pulizia del cuore. Ci ha insegnato a non attaccarci al mondo perchè ne facciamo parte ma non dobbiamo esserne posseduti. L'ultimo vestito che portiamo noi musulmani – prosegue Mouelhi – è un lenzuolo nella tomba. E' senza tasche perchè non porti niente con te”.
Gabriele Mandel Khan è nato nel 1924 a Bologna all'interno di una famiglia nella quale l'arte era di casa: papà Jusuf Roberto Mandel era scrittore e docente universitario e mamma Carlotta era anche lei scrittrice. Anche la passione per la spiritualità è un dono di famiglia. L'interesse per il sufismo sembra nascere proprio grazie allo zio Keki Efendi khan-i Hetimandel rûd, capo dei sufi in Afghanistan.
Mandel Khan comincia la sua carriera artistica diplomandosi in violino e armonia al Consevatorio di Vicenza. Dopo la drammatica e difficile esperienza del carcere e della tortura durante la Seconda Guerra Mondiale, il vicario sufi si laurea in lingue e lettere classiche prima e in psicologia e medicina successivamente. Accanto all'attività accademica, all'insegnamento universitario e alla pubblicazione di oltre 200 libri, non è venuta mai meno una passione per l'arte che ha saputo spaziare da un settore all'altro: pittura, incisione, ceramica.
“Condensava nella sua arte un significato simbolico e spirituale trasmesso in un linguaggio universale - ricorda il professore Paolo Branca dell'Università Cattolica di Milano -. Era un grandissimo divulgatore, sempre disponibile per le conferenze. Non si faceva problemi ad andare anche in posti modesti e non diceva di no a nessuno. Il suo era uno spirito giovanile sostenuto da un grande entusiasmo”.
Alla commemorazione che ha avuto luogo venerdì scorso, 2 luglio, nella Casa della Cultura Islamica di Via Padova a Milano, erano presenti in molti. “Abbiamo tenuto un incontro dopo la sua sepoltuta – racconta Mahmoud Asfa della Casa della Cultura Islamica – e abbiamo invitato molte personalità che lo conoscevano. Tutti hanno parlato di lui. Non solo la comunità musulmana ma tutta la comunità milanese ha perso una grande figura che ha dato molto nel campo del dialogo e della convivenza fra le religioni”. Mahmoud Asfa conosce da tempo il maestro sufi che andava a pregare spesso nella moschea del suo centro e con il quale si fermava a parlare dopo la preghiera. C'è un ricordo particolare che si porterà dietro: “è lui che ha fatto personalmente la nicchia del mihrab della nostra moschea e ce l'ha regalata. Fino a che ci sarà il nostro centro la nicchia sarà lì a testimoniare il suo operato. E' un ricordo bellissimo per tutti noi”.
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