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Biografia Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli
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Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, Forlì 31 dicembre 1855 - Castelvecchio di Braga, Bologna 6 aprile 1912) è stato uno dei maggiori poeti italiani di fine ottocento.

La poesia di Pascoli è caratterizzata da una metrica formale con endecasillabi sonetti e terzine coordinati con grande semplicità. Nonostante la classicità della forma esterna, Pascoli ha saputo rinnovare la poesia nei suoi contenuti, toccando temi fino ad allora trascurati dai grandi poeti, capace di far capire nella sua prosa il piacere delle cose più semplici viste con la sensibilità infantile che ogni uomo porta dentro di sé.

Pascoli è sempre stato nella vita un personaggio malinconico, rassegnato alle sofferenze della vita e alle ingiustizie della società, convinto che la società che predominava in quel periodo fosse troppo forte per essere vinta. Nonostante ciò seppe conservare un senso profondo di umanità e di fratellanza.

Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna (provincia di Forlì), quarto di dieci fratelli.
Il padre Ruggero era amministratore della tenuta La Torre dei principi di Torlonia. L'ambiente famigliare, di tipo patriarcale e tradizionalmente legato ai valori della cultura agreste, gli garantì fino all'età di dodici anni serenità e sicurezza: poté così frequentare il liceo Raffaello di Urbino, assai rinomato negli stati pontifici e nella vicina Romagna, regione di antiche tradizioni umanistiche.


La morte del padre

Il 10 agosto del 1867 il padre Ruggero venne assassinato con una fucilata mentre tornava a casa da Cesena. Le ragioni e gli autori del delitto rimasero per sempre oscuri, almeno ufficialmente. Ma il trauma lasciò segni profondi nella vita di Giovanni. La famiglia cominciò dapprima a perdere il proprio status economico e poi a subire una serie impressionante di altri lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la madre e la sorella Margherita, nel '71 il fratello Luigi e nel '76 il fratello maggiore Giacomo, che aveva tentato di ricostituire il nucleo famigliare. Pascoli dovette lasciare il liceo di Urbino, ma poté continuare gli studi a Firenze grazie all'interessamento di un suo professore.


I primi componimenti occasionali

Al periodo degli studi liceali risalgono alcuni componimenti d'occasione, in versi, che vanno visti alla luce delle esercitazioni retoriche in uso a quel tempo negli istituti religiosi. Ma sicuramente la fantasia di Pascoli cominciava già a elaborare, a livelli profondi, tutte quelle impressioni sentimentali e ambientali che le tragedie famigliari avevano scaricato su di lui..


La biografia della sorella Maria

Nella biografia lasciataci dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, il futuro poeta ci viene presentato come un ragazzo solido e vivace, il cui carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni infatti le sue reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e a cercare i mezzi per gli studi universitari, nonché nel puntiglio, sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre.


Il punto di rottura

Il punto di rottura avvenne con la detenzione nel carcere di Bologna, in seguito a una retata della polizia tra i socialisti che avevano organizzato una manifestazione contro il governo per la condanna dell'anarchico Filippo Passanante. L'isolamento forzato - dopo la goliardica esperienza dell'università e dell'impegno politico nei movimenti della sinistra - lo costrinse forse a riflettere su di sé. È da qui che cominciò quella che la critica storica ha registrato come la regressione infantile di Pascoli.


Il "microcosmo" pascoliano

Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti; mentre la campagna appare sempre più come il "paradiso perduto" dei valori morali e culturali, la città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente materiale.

Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante come Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra.

I "luoghi" poetici della "terra", del "borgo", dell'"umile popolo" che ricorrono fino agli anni del secondo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria lontana, che l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del tutto.
Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive.

Costretto dalla sua professione di docente universitario a lavorare in città, anche se non proprio in metropoli tentacolari (Bologna, Firenze e Messina, ad esempio), egli non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una "via di fuga" verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Addirittura si può dire che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica, nella poesia pascoliana: egli, in un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì in tutta la sua produzione letteraria l'unico grande tema, una specie di microcosmo chiuso su se stesso, come se il poeta avesse bisogno di difenderlo da un minaccioso disordine esterno che però rimase innominato e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre.

Sull'ambiguo e tormentato rapporto con le sorelle - il "nido" famigliare che ben presto divenne "tutto il mondo" della poesia di Pascoli - ha scritto parole di estrema chiarezza il poeta Mario Luzi: «Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte.
Per il Pascoli si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto.

Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli.

In pratica il Pascoli difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto: non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Garfagnana dove può oltre tutto mimetizzarsi con la natura.» [M. Luzi, Giovanni Pascoli].


La formazione letteraria

La fase cruciale della formazione letteraria di Pascoli va fatta risalire ai nove anni trascorsi a Bologna come studente alla Facoltà di Lettere (1873 - 1882). Allievo di Carducci, Pascoli visse nella cerchia ristretta dell'ambiente creatosi attorno al grande poeta gli anni più movimentati della sua vita.

Qui, protetto comunque dalla naturale dipendenza tra maestro e allievo, Pascoli non ebbe bisogno di alzare barriere nei confronti della realtà, dovendo limitarsi a seguire gli indirizzi e i modelli del suo corso di studi: i classici, la filologia, la letteratura italiana.

Nel '75 perse la borsa di studio e con essa l'unico mezzo di sostentamento su cui poteva contare. La frustrazione e i disagi materiali lo spinsero verso il movimento socialista in quella che fu l'unica breve parentesi politica della sua vita. Nel 1879 venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere; l'ulteriore senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del maestro Carducci e al compimento degli studi con una tesi sul poeta Poesia greca Alceo.


La lettura dei testi scientifici

Ai margini degli studi veri e propri, egli comunque condusse una vasta esplorazione del mondo letterario e anche scientifico straniero, attraverso le riviste francesi specializzate come la «Revue des deux Mondes», che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura dei testi scientifico-naturalistici di Jules Michelet, Jean-Henry Fabre e Maurice Maeterlinck.

Tali testi utilizzavano la descrizione naturalistica - la vita degli insetti soprattutto, per quell'attrazione per il microcosmo così caratteristica del romanticismo decadente di fine Ottocento - in chiave poetica; l'osservazione era aggiornata sulle più recenti acquisizioni scientifiche dovute al perfezionamento del microscopio e della sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile lirico in cui dominava il senso della meraviglia e della fantasia.


L'atteggiamento positivista

Era un atteggiamento positivista "romanticheggiante" che tendeva a vedere nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano.
Coerentemente con questi interessi, vi fu anche quello per la cosiddetta "filosofia dell'inconscio" del tedesco Eduard von Hartmann, l'opera che aprì quella linea di interpretazione della psicologia in senso anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana.


L'interesse per il mondo dell'infanzia

È evidente in queste letture - come in quella successiva dell'opera dell'inglese James Sully sulla "psicologia dei bambini" - un'attrazione di Pascoli verso il "mondo piccolo" dei fenomeni naturali e psicologicamente elementari che tanto fortemente caratterizzò tutta la sua poesia. E non solo la sua.

Per tutto l'Ottocento la cultura europea aveva coltivato un particolare culto per il mondo dell'infanzia, dapprima in un senso pedagogico e culturale più generico, poi, verso la fine del secolo, con un più accentuato intendimento psicologico.

I Romantici avevano paragonato, sulla scia di Vico e di Rousseau, l'infanzia allo stato primordiale "di natura" dell'umanità, inteso come una sorta di età dell'oro.
Verso gli anni '80 si cominciò invece ad analizzare in modo più realistico e scientifico la psicologia dell'infanzia, portando l'attenzione sul bambino come individuo in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento.

La letteratura per l'infanzia aveva prodotto in meno di un secolo una quantità considerevole di libri che costituirono la vera letteratura di massa fino alla fine dell'Ottocento.


La letteratura per bambini

Libri per i bambini, come le innumerevoli raccolte di fiabe - dei fratelli Grimm (1822), di H.C. Andersen (1872), di Ruskin (1851), Oscar WildeWilde (1888), Maurice Maeterlinck (1909); o come i capolavori di Carroll, Alice nel paese delle meraviglie (1865). Libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi di Jiules Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. O libri sull'infanzia, dall'intento moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot (1878), Il piccolo Lord Faunthleroy di F.H. Burnett (1886), Piccole donne di Alcott (1869) e i celeberrimi Cuore di De Amicis (1886) e Pinocchio di Carlo Collodi!Collodi (1887).


La poetica del fanciullino

Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la teoria pascoliana della poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del "Fanciullino",ai riflessi di un vasto ambiente culturale europeo che era assolutamente maturo per accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui egli seppe cogliere un gusto diffuso e un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia mancava dall'epoca di Leopardi.


La poesia come "mondo" che protegge dal mondo

Dopo la laurea conseguita a Bologna nel 1882 ebbe inizio la sua carriera di professore di latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Qui volle vicino a sé le due sorelle minori Ida e Maria, con le quali tentò di ricostituire il primitivo nucleo famigliare. Dal '87 al '95 insegnò a Livorno.

Intanto iniziava la collaborazione con la rivista «Vita nuova», su cui uscirono le prime poesie di Myricae (la raccolta continuò a rinnovarsi in cinque edizioni fino al 1900).
Vinse inoltre per ben tredici volte di seguito la medaglia d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto Veianus e coi successivi Carmina. Nel '94 fu chiamato a Roma per collaborare col Ministero della pubblica istruzione; nella capitale pubblicò la prima versione dei Poemi conviviali (Gog e Magog).

Nel 1895 si trasferì con la sorella Maria nella casa di Castelvecchio, che divenne la sua residenza stabile.
Le trasformazioni politiche e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe bellica europea e all'avvento del Fascismo gettarono progressivamente Pascoli, già emotivamente provato dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione famigliare, in una condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati.

Nel '99 scrisse al pittore De Witt: «C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c'è gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci dall'immutabile destino».

In questa contrapposizione tra l'esteriorità della vita sociale (e cittadina) e l'interiorità dell'esistenza famigliare (e agreste) si racchiude l'idea dominante - accanto a quella della morte - della poesia pascoliana.
Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Garfagnana vicino al borgo medievale di Barga, Pascoli non "uscì" più (psicologicamente parlando) fino alla morte.
Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando nel 1905 di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Università di Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un "centro", rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.
Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure e i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni umane. A questo "recinto" poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di Chiabrera.

La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da Pascoli - mescolanza di novenari e quinari e quaternari nello stesso componimento, e così via - è stata interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i Simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche del primo Novecento proclamavano nei confronti della spontaneità espressiva.

Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni del 1911, i Poemi italici e i Poemi del Risorgimento, postumi; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa tenuto nel 1911 in occasione di una manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio (1903). Il "mondo" di Pascoli è tutto lì: la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati.

«Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae (diciamo cesti o stipe) autunnali» (Dalla Prefazione di Pascoli ai Canti di Castelvecchio.)


Myricae

Nel 1891 esce la prima edizione di Myricae, una raccolta di poesie definite dallo stesso Pascoli modeste, che racchiudono temi familiari e campestri. L'anno seguente vince la prima medaglia d'oro in un concorso di poesia latina ad Amsterdam (premio che vincerà per altre dodici volte).

Dal 1897 al 1903 insegna latino all'università di Messina, e col ricavato della vendita di alcune medaglie d'oro vinte nei concorsi, compra una casa a Castelvecchio. Nel 1905 assume la cattedra di letteratura all'università di Bologna succedendo a Carducci.


Il poeta e il "fanciullino"

Uno dei tratti salienti per i quali Pascoli è passato alla storia della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da egli stesso così bene esplicitata appunto nello scritto omonimo apparso sulla rivista " Il Marzocco " nel 1897.

In tale scritto, Pascoli dà una definione assolutamente compiuta - almeno secondo il suo punto di vista - della poesia, vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. Poesia quindi non come ragione o, peggio, come semplice logos, ma come possibilità di attribuire significati alle cose che ci circondano, viste da un punto di vista assolutamente soggettivo.

Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei popoli".

Nel 1912 muore a causa di un cancro all'addome a Bologna e viene sepolto nel cimitero di Castelvecchio di Barga.

Da Wikipedia

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