Autore Topic: Scienza, coscienza e conoscenza  (Letto 17984 volte)

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #15 il: Ottobre 29, 2012, 10:53:45 »
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La concezione greca dell’anima fu modificata dallo scambio culturale con l’ebraismo.

Filone di Alessandria (d’Egitto) noto anche come Filone l'Ebreo o Filone Alessandrino (20 a. C. – 45 d. C.), contemporaneo di Gesù di Nazaret e di Paolo di Tarso, fu il filosofo che nei suoi elaborati fece confluire la fede ebraica e la filosofia greca. Interpretò l’Antico Testamento secondo la filosofia platonica e nel   “demiurgo” teorizzato da Platone nel “Timeo”  “vide” l’ebraico Dio creatore.

Filone si servì delle categorie filosofiche greche per esprimere i contenuti dottrinali nella “Torah” ( =Legge), i libri del Pentateuco. L’Alessandrino era convinto dell’esistenza del Dio trascendente che crea dal nulla tutte le cose come dono per l’umanità e l’Uomo è il suo  più importante prodotto.

Anche per Filone l’individuo è composto da anima e corpo, ma  nell’anima  distingue l’intelletto, che considera “guida dell’anima”. L’Uomo  è mortale se viene considerato composto  solo da corpo ed anima-intelletto. L’elemento che rende l’Uomo immortale è lo spirito, che è la dimensione trascendente.

La filosofia di Filone di Alessandria  influenzò in epoca imperiale anche Plotino (203/205-270), considerato l’ultimo filosofo del pensiero greco antico, in particolare platonico.

Nel periodo dell’impero romano la cultura ellenistica venne unita a quella latina e non fu più possibile identificare una filosofia “greca” distinta dai suoi sviluppi in ambito latino. Non vi furono autonome ed originali ricerche filosofiche ma rielaborazioni delle precedenti correnti filosofiche, in particolare gnostiche ed aristotelica. La novità fu l’espansione della religione cristiana e la risposta “filosofica” e pagana a questo culto. Fra i filosofi del III secolo d. C. è considerato importante il greco
Plotino che reinterpretò il pensiero di Platone, in particolare nei suoi aspetti ontologici e cosmologici e fondò il neoplatonismo.
 
Per quanto riguarda l’anima Plotino fu influenzato dal pensiero di Socrate e Platone ma lo sviluppò con la teoria delle ipostasi, dal greco hypostasis (hypo = "sotto" e stasis  = "stare"). Nella filosofia neoplatonica e in Plotino, la generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla stessa sostanza divina, la quale crea ogni cosa per emanazione.

Nella successione delle ipostasi, dopo l’Uno e l’Intelligenza c’è  per Plotino quella dell’Anima immortale,  che sta tra l’Intelligenza e la molteplicità delle cose materiali e sensibili.

Nel quarto libro delle “Ennadi” Plotino considera l’anima intermediaria tra il mondo sensibile ed il mondo intelligibile; le anime individuali sono parti dell'anima universale e mediante la ricerca in comune della verità e altre forme di purificazione che le distacchino dal corpo, possono ricongiungersi con l'anima mundi e successivamente con l'intelletto divino. L'Uno è origine unica di ogni realtà, tutto è in Dio e promana direttamente o indirettamente da lui.

La singolarità del pensiero di questo filosofo riguardo l'anima sta nel suo averla sdoppiata in "Anima superiore" (rivolta all’intelletto e legata al divino) ed  "Anima inferiore" (Anima del mondo), preposta al governo del cosmo e al governo del corpo degli individui.

Plotino riteneva l'anima superiore esente dal peccato e dalla corruzione, perché i comportamenti e gli atteggiamenti scorretti sono attribuibili all'anima inferiore.
Il percorso dell'anima e la sua conversione è un processo dell'anima inferiore, che può elevarsi verso le prime realtà attraverso l'unione e il riassorbimento con l'anima superiore. Le due anime possiedono ciascuna funzioni cognitive proprie: entrambe sono dotate di capacità di immaginazione (funzione della memoria) e di pensiero.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #16 il: Ottobre 31, 2012, 15:35:17 »
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La cosiddetta tarda antichità è il periodo di tempo  usato dagli storici per descrivere la transizione dal mondo antico a quello medievale. Questa periodizzazione è ancora oggetto di dibattito, ma di solito si accetta come arco temporale quello compreso tra la fine del III secolo (in cui governava l’imperatore Gaio Aurelio Valerio, detto Diocleziano, dal 284 al 305)  ed il VI secolo , con la fine della guerra greco-gotica (535-553) che contrappose l’impero bizantino agli Ostrogoti. 

L'epoca tardo-antica segnò la vittoria del cristianesimo sul paganesimo, e la Chiesa, con la caduta dell’impero romano d’Occidente (476), diventò protagonista della successiva storia medievale, non solo come comunità religiosa, ma anche come forza politica.

In quei secoli la teologia cristiana fu elaborata dai cosiddetti “Padri della Chiesa” (patrologia greca e latina) influenzati dalla filosofia di Platone. Essi introdussero nella  cultura cristiana alcuni concetti platonici derivati da Plotino, ma anche dalla gnosi e dallo stoicismo. .

Fra quei teologi della patristica  l'incorporeità dell'anima trova con Agostino d’Ippona (354-430)  la sua definitiva collocazione nella dottrina cristiana.

Per questo vescovo l’individuo è “una sostanza razionale che consta di anima e corpo”. 
L’anima è la parte migliore dell’individuo, agisce sul corpo ma il corpo non esercita alcuna azione sull’anima, perciò il corpo non è la prigione dell’anima.   

Agostino riprese da Platone l’immagine del nocchiero (anima) che dà la rotta alla nave (corpo). Questa concezione prevalse nel cristianesimo medievale. Ma dopo la riscoperta del pensiero di Aristotele, fu preferita una concezione neo-unitaria dell’essere umano, secondo la quale il vivente è “unità”: l’anima non può essere separata dal corpo. Tale opinione influenzò Tommaso d’Aquino (1225-1274). .

Per l’aquinate l’individuo è un “composto” di corpo ed anima, materia e sostanza spirituale; è un essere ragionevole dotato di intelletto ed è un animale dotato di un corpo con l’anima sensitiva e vegetativa.

In Tommaso  la dottrina sull’anima costituisce il nucleo fondamentale per poter spiegare che l’anima è immateriale, ossia di natura spirituale, perciò non ha una localizzazione specifica nell’organismo umano.
Egli inizia dalla considerazione dell’intelletto: dal momento che questo svolge le proprie funzioni indipendentemente dal corpo, e niente agisce per se stesso se non sussiste per se stesso, è necessario che l’anima, chiamata anche mente o intelletto, sia un essere incorporeo e sussistente. È pur vero che la conoscenza intellettiva implica un qualche legame con la realtà sensibile, ma – ribatte l’Aquinate – le operazioni dell’anima usano il corpo non come strumento, bensì come oggetto. Inoltre, l’anima non è una sostanza spirituale completa in se stessa, diventa completa solo se è unita al corpo. E  Tommaso distingue la persona dalla natura umana: la persona è il soggetto che agisce concretamente, mentre la natura è ciò che permette alla persona di agire.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #17 il: Novembre 07, 2012, 08:18:02 »
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Nella seconda metà del XIV secolo cominciò a farsi strada una nuova concezione dell’individuo ed  un nuovo orientamento nel sapere. Si è soliti indicare quel movimento ideologico-culturale come “civiltà umanistico-rinascimentale”.

Il termine Umanesimo indica il movimento letterario, artistico e filosofico che pose l’individuo al centro dell’universo, capace di costruirsi il proprio destino (“homo faber ipsius fortunae”) e non passivamente sottomesso alla volontà di Dio come nel pensiero teocentrico medioevale.

Nel periodo umanistico  gli studiosi erano interessati alla rilettura dei testi della cultura e delle civiltà  greco-romana,  le “humanae litterae”, considerate strumento di elevazione spirituale per l’individuo, perciò chiamate  con l’espressione ciceroniana  “studia humanitatis” , da cui  trae origine il termine "Umanesimo", che vide il fiorire di una straordinaria produzione artistica e letteraria, anche per merito dei finanziamenti delle corti signorili,  come quella medicea. A Firenze ne beneficiò fra gli altri il filosofo umanista Marsilio  Ficino (1433 – 1499),  il quale dedicò  dedicò a Lorenzo de’ Medici il suo trattato in  18 libri riguardanti la “Theologia platonica de immortalitate animarum”.

Egli tentò di sintetizzare la verità cristiana con alcuni aspetti fondamentali del pensiero di Platone e dei neoplatonici, e considerò l’anima in  posizione intermedia tra la dimensione naturale e quella soprannaturale , tra la corporeità e la spiritualità.

Come Platone anche Ficino era convinto che sia la bellezza ad attrarre l’anima che vuole elevarsi verso la vetta dello spirito, e riteneva  che questa tensione verso l’infinito trovi nell’amore la motivazione per realizzarsi, fino a spingere costantemente l’uomo  ad unirsi con Dio: in ciò è evidente la natura intermediaria dell’amore, già descritta da Platone.

Nella riflessione ficiniana l’anima è  immortale,  sostanza incorporea che  vive nel corpo di ogni individuo e lo proietta verso l’eternità, verso l’Assoluto, cioè Dio.

La funzione dell’anima consiste nell’incarnarsi per riunire lo spirito e la corporeità, perciò detta “copula del mondo”, perché è principio unificante di immanenza e trascendenza.

Circa un secolo dopo, il  filosofo, scrittore ed ex frate domenicano Filippo Bruno, meglio conosciuto col nome di
Giordano Bruno (1548 – 1600), scrisse che  tutte le cose hanno un'anima. Questa sua opinione gli derivò da considerazioni neoplatoniche: se il principio che muove ogni cosa è lo spirito, come  "nocchiere della nave", allora l’umanità, gli animali, i vegetali ed i minerali sono tutti dotati di questo spirito,  che è principio strutturale di tutte le cose;  è l'anima divina che si palesa nella materia.
Tale sua visione di un mondo animato dalla presenza del principio divino nella materia organica ed  inorganica dà al creato un'interpretazione panteista: Dio è in ogni cosa come principio vitale.

Secondo questo filosofo, che segue la dottrina della metempsicosi, l’anima è immortale ma non individuale. Quella che ora è nel corpo di un individuo umano può finire nel corpo di un animale e viceversa. Il circolo dell’anima non avviene una sola volta ma infinite volte.

Negli atti processuali dell’Inquisizione  che lo condanno al rogo per eresia, c’é scritto che Bruno crede nell’esistenza di una “grande anima del mondo”, che come uno specchio che si rompe si frammenta in singole anime, le quali quando esauriscono l’esperienza di vita di ciascuno ritornano nella grande anima, poi di nuovo ritornano come frammenti di anima nei singoli individui. In tal modo  non c’è la possibilità del giudizio di Dio per le anime individuali, e per la Chiesa cattolica questa teoria è inaccettabile.

Per il cristianesimo quando l’anima torna al “grande specchio”, secondo la metafora di Bruno, lì resta, e sulla base di quello che ha fatto, viene punita oppure premiata. Questa è l’immortalità e l’individualità dell’anima cristiana.



« Ultima modifica: Gennaio 15, 2013, 09:07:18 da dottorstranamore »

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #18 il: Novembre 08, 2012, 17:57:43 »
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La filosofia moderna inizia con l’Umanesimo e la rivalutazione dell'uomo nella sua esperienza terrena, e termina con Immanuel Kant (1724 - 1804), il pensatore che apri la strada al Romanticismo e alla filosofia contemporanea.

Il periodo temporale della filosofia moderna non corrisponde a quello della storia moderna, in genere datata tra la scoperta dell’America nel 1492 e la Rivoluzione francese nel 1798.

Nell’ambito della filosofia moderna c’è l’epoca rinascimentale, che sviluppa dell’Umanesimo il nuovo modo di concepire il mondo e l’individuo.

Fra Umanesimo  e Rinascimento c’è vicinanza e per molti aspetti sovrapposizione. Tuttavia il primo termine sottolinea in modo particolare il momento ideologico-culturale, la consapevolezza che di sé ebbe il nuovo periodo storico, mentre il secondo si riferisce soprattutto alle manifestazioni artistiche e ai fenomeni di costume, alla civiltà nel suo complesso.

Il termine generico  di "rinascita" venne usato da Giorgio Vasari nel suo trattato  “Vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri”,  per indicare il ciclo artistico iniziato da Giotto, affermatosi con Masaccio, Donatello e Brunelleschi per liberare l’arte della pittura e della scultura dalle forme greco-bizantine per tornare a quelle romane.

Invece il termine "Rinascimento" e l'immagine ideale del periodo che esso definisce,  viene attribuito allo storico francese Jules Michelet che lo usò nel 1855 anche per descrivere nel XV secolo gli importanti avvenimenti:

politici ( fine dell’impero romano d’Oriente ed espansione dell’impero ottomano; nascita degli Stati moderni con le monarchie nazionali in Francia, Spagna ed Inghilterra;

economico-sociali (scoperta del cosiddetto “nuovo mondo” da parte di Cristoforo Colombo e poi da altri navigatori, con conseguenti espansioni coloniali e sviluppo dell’economia mercantile, che venne spostata dal Mar Mediterraneo verso il nord Europa e nei territori al di là dell’Oceano Atlantico);

religiosi (scisma nella Chiesa cattolica e Riforma protestante, Controriforma cattolica nel Concilio di Trento). 

Nell’Accademia Platonica fondata da Marsilio Ficino si continuò a discutere pure  dell’anima  nel periodo rinascimentale.  E Giovanni Pico, conosciuto come Pico della Mirandola (1463-1494) conciliò il platonismo con l'aristotelismo, esaltando il valore dell'uomo come l'unico essere vivente a cui Dio abbia concesso il dono della libertà per forgiare il proprio destino.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #19 il: Novembre 09, 2012, 10:17:03 »
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Nella filosofia moderna la dipendenza strumentale del corpo rispetto all'anima finisce con  René Descartes (1596-1650), per il quale corpo ed anima sono due sostanze  distinte ed eterogenee, il primo res extensa , sostanza estesa e non pensante, la seconda, res cogitans, sostanza pensante e non estesa. Tra le due sostanze non c’è collegamento.

Per questo filosofo  l’anima è immortale ed in quanto pensiero, non occupa spazio. All'anima compete la conoscenza della verità, al corpo le sensazioni che ci sono date dalla natura per indicare all'anima quali cose siano di beneficio, quali di danno, a quel composto di cui essa è una parte.

Nel rapporto anima-mente Cartesio considera l’anima un “terzo genere”, che indica con la parola “permixtio” nel suo trattato sulle “Passioni dell’anima”, in cui distingue tre tipi di passioni: le percezioni sensoriali verso l’esterno; le sensazioni corporee interne,  le emozioni. Queste ultime costituirebbero la modalità con cui l’anima è affetta direttamente da se stessa.

La separazione del corpo dall'anima diede origine a dottrine dualistiche e monistiche che cercavano di risolvere il problema del rapporto tra eventi incorporei e corporei.

Il filosofo  parigino Nicolas Malebranche (1638-1715) scrisse che fra anima e corpo non c’è  relazione. Le caratteristiche del corpo non possono mutare in quelle dello spirito.
   
Il britannico Thomas Hobbes (1588-1679) influenzato dagli studi galileiani,  aveva una visione materialista del mondo, e credeva, insieme agli empiristi di poter applicare il metodo scientifico a tutti gli aspetti della vita umana, compresi l'anima e le idee.

Per questo filosofo anche l'anima è materiale e meccanica, in quanto le idee sono solo la conseguenza di azioni meccaniche esterne al pensiero. L'idea prenderebbe quindi forma in conseguenza di una serie di attività cinetiche riconducibili alla meccanica della materia cerebrale.

Il filosofo francese Pierre Gassend, detto Gassendi (1592-1655) accettava di Cartesio il pensiero sull’esistenza di Dio e l’immortalità  dell’anima, però  ne contestava il “metodo”. Nel suo saggio titolato “Quinte Obiezioni” dedicò molte pagine alla critica della separazione tra corpo e anima. Per lui l'anima è  distinta in due parti: una irrazionale, che è corporea, vegetativa e sensitiva, l’altra razionale ed intellettuale,  che è incorporea e creata da Dio, infusa ed unita al corpo tramite la parte dell’anima irrazionale. Dicendo questo Gassendi critica Cartesio ed insiste sulla commistione ontologica tra  corpo ed anima.

La scissione tra anima e mondo avviata da Cartesio sul piano conoscitivo fu portata a compimento da un  altro filosofo e teologo francese, Blaise Pascal (1623-1662), che  però contestò alcuni aspetti del razionalismo cartesiano, il quale propone un modello di uomo che è in grado, se utilizza bene la ragione, di  risolvere i problemi  inerenti la  sua  vita, materiale e spirituale.

Pascal  considera invece  limitata la razionalità umana, Nei “Pensieri”  ha scritto: ” …che  cos'è  l'uomo  nella  natura?  Un  nulla  a  confronto dell'infinito,  un  tutto  a  confronto  del  nulla,  una  via  di  mezzo  tra  il  nulla  e  il  tutto. L’individuo  non può capire questi estremi, la fine delle cose e il loro principio sono per lui nascosti in un segreto impenetrabile.”

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« Risposta #20 il: Novembre 11, 2012, 15:27:08 »
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Altri  noti filosofi del ‘600: Leibniz, Spinoza e Locke.

Il filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) cercò  la soluzione dei problemi di carattere metafisico tramite il concetto della monade, termine, derivato dal greco, che significa unità. 

Per questo filosofo ci sono due mondi: quello delle cause finali (delle anime) e quello delle cause meccaniche (dei corpi), che stanno tra loro in un rapporto di armonia, perciò è ingiustificata la separazione  del corpo dall’anima e le sue funzioni.

Nell’”Epistola a Gabriel  Wagner”, scritta nel 1698,  egli attribuisce al termine “anima” il significato di principio vitale e di vita sensitiva. La mente la considera anima razionale. 


Il filosofo olandese  Baruch (Benedetto) Spinoza (1632 – 1677) è considerato uno dei maggiori esponenti del razionalismo del XVII secolo ed antesignano dell'Illuminismo.

Spinoza tentò di superare il dualismo cartesiano di anima e corpo. Per lui l'anima ed il corpo hanno due diverse nature, perciò non è possibile riferire qualità del mondo corporeo al mondo psichico e viceversa. 

Nell’”Ethica more geometrico demonstrata” (= l’etica dimostrata secondo il metodo geometrico,  pubblicata dopo la sua morte nel 1677) dice che tutta la realtà è regolata dalle cause naturali, e ciò esclude l’esistenza delle sostanze spirituali, degli angeli, dell’anima in senso cristiano e dell’intervento diretto del Dio biblico. Questo è uno dei motivi per cui Spinoza (l'ebreo ripudiato dalla sua comunità) fu considerato ateo ed eretico.

Eretici ed eresie venivano individuati  ed avversati per difendere l’ordinamento religioso. La Chiesa cattolica“etichettava” come sacrileghi gli individui ed i comportamenti non conformi all’osservanza delle regole, perché vedevano minacciato il loro dominio sulla cultura e sui fedeli. 

L’Ehtica  spinoziana inizia con la definizione di Dio, come sostanza unica.  Ma il Dio di Spinoza non è quello ebraico né quello cristiano, il suo Dio è la totalità della realtà materiale e ideale,  non ha nulla a che fare con la dimensione ultraterrena. Dio è uno e assoluto, e la realtà è espressione della potenza di Dio, non nel senso che Dio interviene direttamente per causare i singoli fenomeni, ma nel senso che tutte le leggi naturali e i singoli individui sono espressione della potenza divina, che si identifica con tutta la realtà

Il filosofo e fisico britannico John Locke (1632 – 1704) è considerato il fondatore del liberalismo classico e dell’empirismo moderno.

Nel suo “Saggio sull'intelletto umano” (1690) accenna anche all’anima:

“Domandare in quale momento un uomo cominci ad avere qualche idea significa domandare quando egli comincia a percepire, poiché l'avere idee e la percezione sono la stessa cosa. So che alcuni sono dell'opinione che l'anima pensa sempre e che finché esiste essa ha costantemente la percezione attuale delle idee in se stessa; e che il pensare attuale è altrettanto inseparabile dall'anima quanto l'attuale estensione dl corpo. Se ciò è vero, indagare intorno all'inizio delle idee di un uomo equivale a indagare intorno all'inizio della sua anima. Infatti, a questa stregua, l'anima e le sue idee, come il corpo e la sua estensione; cominceranno entrambi ad esistere allo stesso momento. [...]Ma se si possa supporre o meno che l'anima esista antecedentemente o contemporaneamente ai primi rudimenti dell'organizzazione o agli inizi della vita del corpo, lascio dibattere da coloro che hanno meditato di più su questa faccenda. Per mio conto, confesso di avere una di quelle anime ottuse la quale non percepisce sempre se stessa nell'atto di contemplare idee, né può concepire che sia necessario per l'anima il pensare sempre più di quanto sia per il corpo il muoversi sempre.”

Ed anche:”Se l'anima di un principe, che avesse la coscienza della vita passata da principe, entrasse nel corpo di un calzolaio e lo informasse non appena l'anima sua l'avesse abbandonato, sarebbe la stessa persona del principe, responsabile solo delle azioni del principe; ma chi direbbe che si tratta dello stesso uomo? Anche il corpo contribuisce a costituire l'uomo e, credo che in questo caso determinerebbe l'uomo agli occhi di chiunque, per cui l'anima, con tutti i suoi pensieri principeschi, non costituirebbe un altro uomo: ma agli occhi di tutti, tranne che ai suoi, sarebbe lo stesso calzolaio.”
[Saggio sull'intelletto umano, II, XXVII, 17]

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #21 il: Novembre 13, 2012, 19:58:23 »
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 Il /700

Il filosofo, teologo e vescovo irlandese George Berkeley (1685 –1753) è considerato uno dei tre famosi  empiristi britannici,  gli altri due sono John Locke e David Hume.

Con il termine empirismo si indicano quelle correnti filosofiche che ravvisano l'origine e il fondamento della conoscenza nell'esperienza sensibile, negando, di conseguenza, la presenza di idee innate nella mente umana.

Nel 1710 Berkeley pubblicò il suo “Trattato sui principi della conoscenza umana”, dove sostiene che lo spirito umano, cioè la  mente, è intelletto in grado di  percepire le idee, l’unico  spirito che può causare l’ordine con cui  percepiamo le idee nella mente è lo spirito  divino; tutto ciò che percepiamo, e il modo in  cui lo percepiamo, è causato da Dio nella  nostra mente.

Con il filosofo e storico David Hume (1711 – 1776) si giunge ad una posizione opposta alla tesi ontologica sulla sostanzialità dell’anima, anche se considerata come sostanza spirituale.

Nel suo “Trattato sulla natura umana” ha scritto: [non] “siamo in grado di giungere a una soddisfacente nozione della sostanza: ciò mi sembra una ragione sufficiente per abbandonare del tutto la controversia della materialità o immaterialità dell’anima, e condannare la questione in se stessa in modo assoluto. Noi non abbiamo un’idea perfetta di nulla, fuori della percezione; la sostanza è tutt’altro che una percezione: dunque, non abbiamo nessuna idea della sostanza.”

Nel 1757 pubblicò la “Storia naturale della religione”, e, (pubblicato postumo), nel 1779: “Dialoghi sulla religione naturale”. In quest'ultima opera, scritta tra il 1749 e il 1751, pone sotto accusa tutte quelle teorie che giustificano l'esistenza di Dio.

Il filosofo Immanuel Kant (1724 – 1804) fu uno dei più importanti esponenti dell'illuminismo tedesco ed anticipatore degli elementi fondanti della filosofia idealistica.

Nella “Dialettica trascendentale”  (è un capitolo nella “Critica della ragion pura”)  Kant si occupa anche del significato della realtà nella sua totalità e dice:  “La nostra ragione è attratta  dall’assoluto e quindi verso una spiegazione globale di ciò che esiste.”

La conoscenza è ciò che scaturisce da tre facoltà: la sensibilità, l'intelletto e la ragione. La sensibilità è la facoltà con cui percepiamo i fenomeni e poggia su due forme a priori, lo spazio e il tempo. L'intelletto è invece la facoltà con cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso la quale cerchiamo di spiegare la realtà oltre il limite dell'esperienza.

Il filosofo e scrittore tedesco Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759-1805), meglio conosciuto in Italia come Friedrich Schiller, fu influenzato dalla “Critica del giudizio” kantiana che evidenzia il doppio aspetto dell'uomo per un verso soggetto alla sensibilità del mondo fenomenico e per un altro assolutamente libero come soggetto morale. Da qui nasce la teoria schilleriana dell'"anima bella" (in tedesco schöne Seele) elaborata nel saggio "Grazia e dignità" del 1793.

Nella concezione dell'anima bella Schiller è convinto che i due aspetti contrapposti di libera razionalità e sensibilità possano conciliarsi tramite la percezione della bellezza in un comportamento spontaneo e naturale: “Si dice anima bella, quando il sentimento morale è riuscito ad assicurarsi tutti i moti interiori dell'uomo, al punto da poter lasciare senza timore all'affetto la guida della volontà e da non correre mai il pericolo di essere in contraddizione con le decisioni di esso. L'anima bella ci fa entrare nel mondo delle idee senza abbandonare il mondo sensibile come avviene nella conoscenza della verità...per mezzo della bellezza ...l'uomo spirituale è restituito al mondo dei sensi.”

L'anima bella dunque può, spontaneamente e senza fatica, armonizzare sensibilità e dovere morale tramite quella dote naturale che Schiller chiama "grazia" che talvolta può però mancare ed allora l'anima bella potrà ricorrere a quel sublime kantiano che col sentimento del bello armonizzerà sensibilità e ragione ottenendo la sostituzione della grazia con la dignità.

« Ultima modifica: Novembre 22, 2012, 18:17:52 da dottorstranamore »

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« Risposta #22 il: Novembre 16, 2012, 14:49:08 »
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Hegel e Schopenauer nacquero nella seconda metà del XVIII secolo, ma gli anni della loro espressività filosofica furono nel XIX secolo.

Il filosofo  Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831) è considerato il rappresentante più significativo dell'idealismo tedesco.  Fu notevole la sua influenza sul pensiero filosofico del XIX secolo e nella prima metà del ‘900.

Nella sua “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”, c’è la sezione dedicata alla “Filosofia dello spirito” dove l’individuo viene considerato come spirito soggettivo dotato di corpo ed anima.

Per Hegel  l’anima è diversa dalla coscienza e dal concetto di spirito, ma diversità non significa  reciproca estraneità. Anima, coscienza e spirito costituiscono le tappe di uno sviluppo unitario, orientate teleologicamente dall’anima allo spirito.
Per Hegel l’anima è il principio organizzatore delle funzioni corporee, le compenetra.

Il filosofo Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) nega la sopravvivenza dell'anima dopo la morte e la possibilità della loro apparizione ai mortali in segno di conforto, perché l’anima è immateriale. Nega la possibilità che le anime siano ancora corpi o  si presentino in sembianze di corpi, come sostenuto dalla concezione spiritualistica. Le visioni dell’anima sono possibili solo a livello cerebrale, astraendo dalla realtà sensibile.

Nel suo "Saggio sulla visione degli spiriti" dice che dopo la morte dell’individuo il suo corpo viene abbandonato dall’ anima, ma questa, anche se immateriale e priva di estensione, dovrebbe tuttavia esistere nello spazio,oppure muoversi, invece non accade nulla.

Il filosofo tedesco Ludwig Andreas Feuerbach (1804 – 1872) nel 1830 pubblicò il libro “Pensieri sulla morte e l’immortalità” nel quale nega l’immortalità dell’anima degli individui. 

Per Karl Marx  (1818 –1883) non esiste un'essenza od una natura umana. L'individuo  non nasce con l'anima, ma la costruisce attraverso gli altri ed il contesto in cui si trova.
La religiosità di Marx fu influenzata dal pensiero di Hegel e  da quello del filosofo e teologo Bruno Bauer, creatore del “cristianesimo materialistico”.

Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844 – 1900) ha scritto che  l'anima è solo una parola che indica qualcosa di interno al corpo e succube di questo, dominata e manovrata dalla ragione.

L'individuo s’illude per dare un senso al suo esistere, perché ha paura della verità ed è incapace di accettare  l'idea che "la vita non ha alcun senso" e che per essa che non c'è nessun "oltre".
La mancanza di un senso metafisico della vita e dell'universo fa rimanere l’individuo nel nichilismo passivo o nella  disperazione nichilista.
« Ultima modifica: Dicembre 01, 2012, 18:44:25 da dottorstranamore »

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« Risposta #23 il: Novembre 20, 2012, 16:20:35 »
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Nel passato l'anima, considerata capace d’intendere, di volere  e di dirigere il corpo, semplificava l'etica e la prassi educativa, il diritto e la pastorale religiosa,  i valori dello spirito contro i desideri della carne.  Ma nel XIX secolo cominciarono gli studi e le ricerche di psicofisica ed il concetto di anima venne emarginato nell’ambito della filosofia e della teologia.

A metà dell''800 c’erano le condizioni necessarie perché potesse nascere la psicologia come scienza autonoma.

Le principali tappe di questo processo possono essere così riassunte:

Cartesio distinguendo tra res cogitans e res extensa, consente di poter studiare il corpo in prospettiva meccanicistica (corpo-macchina).

Locke (Inghilterra) e  Condillac (Francia) consentirono di superare ogni ostacolo metafisico spostando lo studio sui processi e funzioni dell'anima, senza preoccuparsi della sua essenza.

Pierre Jean Georges Cabanis (1757 – 1808) medico, fisiologo e filosofo francese, studiò, fra l'altro, la filosofia della medicina, con particolare riferimento ai rapporti tra il corpo e la mente, della fisiologia con la psicologia.

L'uso del termine "psicologia" era comunque  raro, preferendo parlare piuttosto di "scienza del morale" o di "scienza dell'uomo", o di "antropologia", alludendo ad uno studio che comprendesse unitariamente gli aspetti  psicofisici, cioè psicologici e fisiologici.

La psicofisica è una branca della psicologia che studia le relazioni che esistono tra stimoli fisici definiti e misurabili (luminosi, tattili, acustici, ecc.) e la risposta intesa come intensità percepita legata agli stimoli stessi.

La psicofisica come disciplina venne creata alla metà del XIX secolo dalle ricerche  empiriche e le elaborazioni concettuali di Ernst Heinrich Weber e di GustavTheodor Fechner (1801-1887),  il quale nel 1860 ritenne di aver individuato una equazione in grado di quantificare esattamente la relazione tra stimolo fisico e sensazione (rapporto tra anima e materia), detta “formula di Fechner”. Egli era convinto che ogni materia fosse dotata di un' anima, per questo ritenne di aver trovato una relazione che riuscisse a mettere in relazione il mondo dello spirito con quello della materia.

Un altro laboratorio di ricerche psicofisiche fu quello  creato dallo psicologo e fisiologo tedesco Wilhelm  Maximilian Wundt (1832 – 1920), considerato il fondatore della psicologia per il suo contributo teorico e sperimentale.  Egli era convinto che i contenuti psichici sono realtà complesse che possono  essere scomposti in unità  semplici (elementarismo) e che la psicologia deve usare il metodo sperimentale per studiare le funzioni elementari della mente, come le sensazioni e le percezioni.

Il suo metodo è chiamato strutturalismo perché cercava la struttura latente della mente, valutando per mezzo di test la percezione soggettiva degli stimoli provenienti dall'esterno.

La metodologia di ricerca utilizzata da questo psicologo tedesco è introspettiva,  basata sullo studio delle sensazioni che il soggetto prova.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #24 il: Novembre 26, 2012, 11:03:19 »
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La concezione dualistica dell'individuo come anima e corpo scaturisce dall'esigenza di dare spiegazione a cose incomprensibili.

Nel XIX secolo l’attenzione filosofica si rivolse più ai rapporti tra corpo e spirito che alla loro opposizione e venne formulato il concetto di unità psicofisica per indicare la connessione tra gli stimoli esterni recepiti dal corpo e la loro percezione a livello di coscienza,

In psicologia  con il termine coscienza non ci si riferisce ad  un organo del corpo umano, ma ad esperienze vissute dall'individuo. Una coscienza senza corpo sarebbe coscienza del nulla, non esisterebbe.

Il filosofo e psicologo statunitense William James (1842 – 1910) nel suo saggio "Esiste la coscienza?" (in Saggi sull'empirismo radicale) afferma:  “Credo che la "coscienza", quando sia evaporata fino a raggiungere questo stadio diafano, stia per scomparire completamente. E' il nome di una non-entità e non ha alcun diritto a un posto tra i principi primi. Coloro che ancora vi si aggrappano, si attaccano in realtà a una pura eco, al flebile rumore lasciato nell'aere filosofico .”

Per il filosofo e matematico Edmund Gustav Albrecht Husserl (1859 – 1938)  anima e corpo sono due parti indipendenti con specifiche proprietà in costante riferimento ad un'unità, la quale «non è una connessione di due elementi.

il filosofo francese  Henri-Louis Bergson (1859 – 1941) nel suo  “Saggio sui dati immediati della coscienza" (1889): considera l’individuo come luogo in cui convivono lo spirito e l'anima.

In “Materia e memoria” (1896), Bergson distingue tra corpo e spirito e contesta quelli che riducono lo spirito a materia o che considerano gli stati mentali e quelli cerebrali come due diversi modi di riferirsi allo stesso processo.

L’austriaco Sigismund Schlomo Freud detto Sigmund  Freud (1856 – 1939), fondatore della psicoanalisi,sostituì la teorizzazione filosofica sull’anima con l’inconscio, che  influisce sul comportamento  dell’individuo e sulle interazioni interpersonali.

Nella sua prospettiva la religione scaturirebbe solamente dall'incapacità dell'uomo di affrontare in modo razionale i problemi del suo rapporto con le forze della natura, con la sofferenza e con i sacrifici imposti dalla vita in società: "La religione è un tentativo di vincere il mondo dei sensi, nel quale siamo posti, per mezzo del mondo dei desideri che abbiamo sviluppato in noi in seguito a necessità biologiche e psicologiche.” Dunque, la religione sarebbe solamente una consolazione di origine irrazionale.

Per Freud l'idea di Dio concepito come una persona non è altro che una figura paterna ingrandita. Il desiderio di una divinità ha origine nel bisogno di giustizia e nell'aspirazione all'immortalità. Dio è solo una proiezione di questi desideri, ed è temuto e adorato dagli esseri umani a causa dell'insicurezza di cui essi non sanno liberarsi. Per questo autore la religione appartiene propriamente all'infanzia della razza umana, è stata una fase necessaria della transizione dall'infanzia alla maturità, e ha promosso valori etici che erano indispensabili alla vita sociale.

Un altro filosofo e psicoanalista statunitense, James Hillman (1926 – 2011) chiama il pensare per immagini "fare anima" e nel suo libro titolato "Il codice dell’anima” Hillman ha scritto: "Prima della nascita, l'anima di ciascuno di noi sceglie un'immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino".


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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #25 il: Novembre 27, 2012, 18:46:26 »
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La parola anima evoca il principio vitale nell’individuo. E' la sua anima, che lo  caratterizza.

L'anima può essere considerata come sostanza autonoma, indipendente dal corpo, oppure come unità psicofisica.

L’anima come sostanza è considerata immortale,  invece come coscienza è contingente,  perché legata alla vita mortale dell’individuo.

Il pensiero filosofico occidentale relativo all’anima si può riassumere  in sei teorie fondamentali:

Spiritualismo: l’anima è incorporea,  immortale, distinta ed indipendente dal corpo (dualismo), conserva le sue caratteristiche anche  dopo la morte dell’individuo.
 
Materialismo: l’anima non esiste per sé, bensì come una funzione del corpo. L’anima è il principio della vita materiale organica e finisce con la vita dell’individuo.

Idealismo: in filosofia ha una visione del mondo che privilegia la dimensione ideale su quella materiale ed afferma il carattere “spirituale” della realtà. Per Kant l'esistenza dell'anima e la sua immortalità non sono dimostrabili ma presumibili . Nell’idealismo tedesco  l’anima è compresa in un percorso dialettico  dell’essere spirituale. 

Panteismo: parola  d’origine greca composta con due lemmi: “pan” (= tutto), e “theos” (= Dio). Per il panteismo “Dio è tutto e tutto è Dio: ogni cosa è permeata da un dio immanente. Nell’universo c’è una sola anima, la quale si distribuisce come scintille negli esseri viventi. Dopo la morte dell’individuo ogni scintilla torna alla sorgente comune, nell’anima universale, che è Dio. Questa opinione ammette che vi sia in noi un’anima che non è materia e che continua ad esistere dopo la morte.

Monismo:dal greco monos (=  uno o unico), in filosofia esprime il concetto metafisico dell’unità dell'essere (Essere-Uno-Tutto): l'anima ed il corpo sono una sola sostanza, la differenza fra loro è solo funzionale.
Il monismo si oppone al dualismo, secondo il quale l’anima ed il corpo  sono due sostanze separate.

Fenomenismo: dal greco tò phainómenon, "ciò che si manifesta" o "appare". Secondo questa dottrina filosofica noi non conosciamo le cose come sono ma  come ci appaiono, perciò l'anima non sarebbe altro che l'insieme dei nostri atti psichici nella mente.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #26 il: Novembre 28, 2012, 09:47:41 »
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Nel pensiero filosofico e teologico ebraico-cristiano il concetto di anima non deriva dalla Bibbia ma da diverse filosofie, in particolare da quelle elleniche.

Nell'Antico Testamento  non  è teorizzata l’immortalità dell'anima, ma viene espressa la convinzione che nell'individuo ci siano due principi:

uno materiale: 'āfār (= polvere, terra) oppure bāshār (= carne, corpo),

 e  l'altro spirituale (rûaḥ,= spirito, soffio vitale dato all’umanità da Dio) oppure nephesh (= anima).

Nella Genesi c’è scritto che alla formazione dell’individuo concorrono tre elementi: la terra, (elemento materiale), l’alito vitale (elemento spirituale comunicato alla materia da Dio) e l’anima vivente.

La creazione divina di un’anima distinta dal corpo è diversa dall’”animazione” di Adamo ed Eva.

Soltanto nel libro dei Maccabei ed in quello  della Sapienza lo spirito divino è considerato l’elemento superiore nell’uomo, che nel libro della Sapienza è detto immortale.

Anche nel Nuovo Testamento  non è presente la dottrina dell’immortalità dell’anima.

Ne scrive Paolo di Tarso in alcune sue lettere, come quella ai Corinzi ed ai Tessalonicesi (I Cor. XV, 53, 54; I Ti VI, 16). A quest’ultimi dice:  “Or l’Iddio della pace vi santifichi Egli stesso completamente; e l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima ed il corpo, sia conservato irrepren¬sibile, per la venuta del Signor nostro Gesù Cristo.”  L’apostolo fa riferimento alla tripartizione dell’essere umano: spirito, anima, corpo, tripartizione presente in Platone.

Per il concetto di “spirito” viene usata la parola pneuma, che considera l'anima nelle sue funzioni intellettuali e nella sua attività soprannaturale.  Paolo  dice che il pneuma, separandosi dal corpo, abita presso il Signore, cioè è immortale.

Nel testo greco dei Vangeli  per indicare l’anima viene usata la parola “psiché”,  senza l’aggettivo immortale.

Per i cristiani Dio partecipa alla nascita di ogni individuo dandogli l’anima.

Per dimostrare che l’anima umana è creata direttamente da Dio, Tommaso d’Aquino disse che essa ha natura spirituale, perciò quando nasce un figlio non può generarsi dalla scissione di quella dei genitori.

Come sopra detto, nella Bibbia non c’è una dottrina dell’anima, non è una dottrina “rivelata”. Venne “definita” dalla Chiesa  cattolica nel Concilio di Vienne (1311-1312) con il decreto “Sull’anima forma del corpo”.

La Chiesa  ha fissato alcuni principi essenziali:  la natura spirituale ed immortale dell’anima individuale, creata da Dio; l’anima si separa dal corpo dell’individuo nel momento della morte e verrà nuovamente unita quando ci sarà la risurrezione  ed il giudizio universale.

Durante ill Concilio Laterano V, cosiddetto perché si svolse a Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano dal 1512 al 1517,  papa, Leone X, il 19 dicembre 1513 emanò la bolla pontificia “Apostolici regiminis”, con la quale afferma che l’immortalità dell’anima è una verità di fede (dogma) e che la filosofia non può essere autonoma dalla verità rivelata. 

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #27 il: Novembre 29, 2012, 08:56:11 »
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Nel nostro tempo le neuroscienze hanno “strapazzato” il trascendentale, trasferendo gli attributi dell’anima e dello spirito ai miliardi di neuroni e sinapsi della corteccia del cervello, che elabora tutti i dati sensibili e li “edita”, cioè ne fa un montaggio, a nostra insaputa.

La mente umana è stata identificata con i meccanismi nervosi che la producono, e l’autocoscienza che indaga sulla propria natura ha difficoltà ad accettare che l’anima sia un evento delle reti neurali.

Il fine evolutivo dei meccanismi nervosi è di fornire all’autocoscienza il significato della vita.  Esso consiste nell’amore, nel lavoro ed in ciò che procura piacere, come il gioco e l’incanto delle bellezze naturali ed artistiche.

Amore, lavoro e gioco sono eventi selezionati dal cervello durante l’evoluzione della specie umana. Essi dando significato alla vita, salvaguardano la specie. 

Ma ci sono persone che  irrazionalmente considerano una minaccia al significato della loro vita la riduzione dello spirito alla materia del cervello. Milioni di individui hanno bisogno dell’illusione religiosa.

Per il filosofo  Paul Thagard, che insegna psicologia ed è direttore del programma di scienze cognitive all’università di Waterloo, in Canada, il significato della vita va cercato nel cervello.

Le scienze cognitive comprendono un insieme di discipline che hanno come oggetto di studio il funzionamento della mente:fisiologia, neurologia, intelligenza artificiale, filosofia, psicologia e linguistica,con “esplorazioni” nell’antropologia, la genetica, l’etologia e l’economia.

L’approssimazione graduale alla verità che è propria della ricerca naturalistica, offre una conoscenza che si dimostra più congruente con la realtà.

Gli ultimi traguardi scientifici non lasciano spazio per la contemplazione di qualcosa di immateriale (l’anima) come fondamento della vita organica. Eppure molti ancora pensano che il corpo non possa da solo accendere la vita ed esercitarne le funzioni, perché è complesso e necessita di un principio superiore.

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #28 il: Dicembre 02, 2012, 17:23:28 »
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Il genetista Edoardo Boncinelli come strenna natalizia ha pubblicato il libro titolato “Quel che resta dell’anima”.

Dice l’autore che “…fin dall’antichità l’anima ha subito varie trasformazioni semantiche e di contenuto. Finendo per coincidere con la mente e la coscienza, due dei nomi attribuiti a quella ‘natura superiore’ che si ritiene operare nelle nostre decisioni.”

“… la consapevolezza di dover morire è un peso che accompagna l’uomo in ogni circostanza, per quanto si sforzi di vivere come se così non fosse. E proprio per sopportare questo pesante fardello, l’uomo ha inventato l’anima, affinché almeno una parte di sé potesse essere immortale e incorruttibile, non deperire col tempo e non essere annientata.”

Aggiunge Boncinelli: “Il concetto di anima, per quanto vago, si perde nella notte dei tempi, a partire dall’animismo dei popoli primitivi, che sostenevano di percepire in sé oltre il corpo anche una componente spirituale, ovvero l’anima, in grado di manifestarsi nei sentimenti attraverso i sogni e gli stati alterati. 

L'anima è individuale  è un "patrimonio" personale, al quale sono attribuite alcune proprietà che rimandano ad una sua natura collettiva, universale.

Dal punto di vista della religione cristiana l'anima preesiste al corpo dell’individuo e gli sopravvive ricongiungendosi infine con tutte le sue simili. Questa caratteristica non la collega alla coscienza personale, che si forma dai primi anni di vita e si evolve.

Nel nostro tempo, dopo aver appreso  dalla biologia molecolare l’esistenza del DNA quale aspetto della vita può oggi essere assimilato al concetto di anima ? La cosa più vicina è l’informazione portata dal DNA di ogni organismo. Dunque, per Boncinelli, si potrebbe intendere come anima il genoma. Non c’è vita senza genoma. Se la vita ha un’anima, questa risiede nella vigile presenza del suo genoma.

Tale “anima” si trasmette attraverso le generazioni e questo processo dura da quasi quattro miliardi di anni, rappresentando e garantendo l’unicità della vita.

La biologia molecolare ha scoperto che l’essenza della vita è in due sue proprietà essenziali: il possesso di un genoma ed un assetto strutturale e funzionale che le permette di utilizzare l’energia e l’informazione prese dal mondo.

Se la vita organica è spiegabile in termini scientifici, che altro si può intendere con la parola anima ? Qual è il  suo significato attuale ? La religione rivelata lega l’individuo alla divinità attraverso il possesso dell’anima ed il suo destino ultraterreno.

Oggi  non è più di moda parlare di anima, e le caratteristiche ad essa attribuite sono  spesso associate al concetto di mente.
« Ultima modifica: Dicembre 03, 2012, 17:41:51 da dottorstranamore »

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Re:Scienza, coscienza e conoscenza
« Risposta #29 il: Dicembre 04, 2012, 08:27:07 »
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Riassumendo:

fin dall'antichità la mente è stata oggetto di concettualizzazioni anche in associazione col concetto di anima, in Grecia nominata psiché.

Gli antichi Greci contrapponevano il corpo all’anima, considerata eterea, eterna e superiore.

Nel mondo greco la concettualizzazione della mente-anima cominciò con Platone, Aristotele ed altri filosofi.

Nella prospettiva platonica c’è il dualismo tra la natura dell’anima (spirituale, incorruttibile ed eterna) e quella del corpo (materiale, corruttibile e temporale).

Nella prospettiva aristotelica corpo ed anima si coappartengono ed insieme formano l’unità.

Con la diffusione del cristianesimo e della tradizione religiosa di disprezzo del corpo mortale rispetto all’anima immortale, ci fu il susseguirsi di dichiarazioni di deprezzamento e di estraneità del corpo rispetto ad un’ipotetica realtà altra, variamente chiamata anima, spirito,  coscienza, mente; denominata io da Sigmund Freud.

L’identificazione dell’anima con la soggettività, con la coscienza,  fu sviluppata dal pensiero filosofico moderno, che assegnò all’anima la funzione di garantire l’autonomia e la libertà dell’individuo. Il possesso dell’anima diversa dal corpo e da esso separata, appare come una garanzia della libertà delle nostre azioni e più in generale delle nostre decisioni. In tal caso l’anima è capace di guidarci a prescindere dal corpo, purché non sia condizionata né dal corpo, né dalla società, né dalla sua origine divina, per chi ci crede.

Ai nostri giorni non ha più senso parlare di anima. Oggi il termine anima sopravvive nel lessico per denotare un’essenza immateriale che, secondo i credenti cristiani, sopravvive alla morte del corpo, ed è quindi distinta dalla mente, che per la scienza è una funzione dell’encefalo e scompare con la morte.

Il termine “mente” come funzione dell’encefalo fa riferimento non solo alla coscienza e all’autocoscienza, ma anche a molteplici processi cognitivi e di controllo del comportamento che possono svolgersi anche in maniera inconscia.

La coscienza è la consapevolezza del mondo esterno e dei propri stati interni emotivi e motivazionali; l’autocoscienza è la capacità umana di distinguersi soggettivamente dall’ambiente circostante animato ed inanimato come entità autonoma senziente, pensante ed agente che si modifica nel tempo ma mantiene una natura unitaria e continua  nel tempo.