Autore Topic: Scienza e relativismo  (Letto 8764 volte)

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #15 il: Gennaio 10, 2013, 16:03:03 »
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Il pontefice, Benedetto XVI,  il 6 giugno 2005 nel suo discorso  in occasione dell’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma dedicato alla “Famiglia e comunità cristiana” disse:  “Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, rendendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità, prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune. È chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo anche chiamati a contrastare il suo predominio distruttivo nella società e nella cultura.”

La polemica ratzingeriana contro la “dittatura del relativismo” e il “relativismo come prigione” è motivata dalla concezione relativista dell’”Assoluto”,  secondo la quale non è Dio ma l’individuo l'artefice del proprio destino;  vive in un mondo in continua evoluzione, ed egli stesso è in perenne cambiamento, perché muta l’ambiente culturale in cui vive  ed adegua i suoi valori di riferimento, i suoi criteri di verità e di moralità alle diverse circostanze storiche. In modo autonomo vuole dare un senso alla propria vita e rispetta le “verità” altrui, che possono essere contrarie alle sue, comunque sono verità soggettive e non oggettive. La verità è filia temporis (figlia del tempo).

Le ricerche di antropologia culturale evidenziano che  nel tempo le diverse tradizioni religiose o le norme morali hanno una propria validità temporale.

Nella visione storicista, nessuna cultura, nessuna morale e nessuna religione può arrogarsi il diritto di credersi migliore delle altre o ad esse superiore, oppure credersi l’unica  vera. 

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #16 il: Gennaio 22, 2013, 10:27:04 »
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Per il relativismo nulla è trascendentale tutto è immanente. Non esiste il Dio creatore dell’universo e dell’Uomo,  non esiste un al di là divino ma soltanto la realtà che conosciamo. Ed è l’individuo che determina il bene ed il male, perché condizionato dall’ambiente socioeconomico in cui vive, dalla sua personalità,  dall’etica e dalla morale.

Etica e morale sono spesso usate come sinonimi, invece i due lemmi sono concettualmente diversi.

L'etica è la teoria della morale, studia la sua natura, i suoi obiettivi.

Il lemma etica deriva dal latino “ethica”; questa parola a sua volta  scaturisce  dai termini d’origine greca “etiké” (che fa riferimento al comportamento dell’individuo) ed “ethos”, che significa abitudine, consuetudine di atti in una comunità. 

L’etica pur essendo  valutativa,  diventa descrittiva del fenomeno morale, perché questo è osservabile nella sua continuità sincronico-temporale e diacronico-geografica.

L'etica non valuta per poi prescrivere le sue valutazioni, non si prefigge giudizi morali, ma  si limita a rilevare il dato di fatto esistente ed a descriverlo per come esso è, non cerca ciò che dovrebbe essere o l'ideale verso cui tendere.

L'etica descrittiva rivolge la sua attenzione soprattutto alla dimensione socio-culturale del fenomeno morale, per  evidenziare l’omogeneità o la difformità dei singoli comportamenti nei confronti dell'ethos collettivo vigente. Infatti non è possibile fare riferimento a norme valide sempre, ciò non significa che sia accettabile il relativismo etico secondo il quale ogni valore è riconducibile alla sua origine storico-sociale e quindi sostituibile con altri. Ci sono valori immutabili, come il “non uccidere”.

La morale invece non è descrittiva ma  prescrittiva: definisce l’insieme delle norme riguardanti il corretto agire degli individui, ossia il bene da fare ed il male da evitare, la giustizia e l’ingiustizia, ecc..

Il termine morale deriva dal latino “mores” e si riferisce  al modo di agire degli individui, al loro comportamento, all’èthos nella lingua greca ed  alla “moralitas”  di Marco Tullio Cicerone.  Come sostantivo deriva  invece dal latino “moràlia” ed ha il significato simile ad etica.

Qui uso il concetto di morale come moralità, cioè come assieme di convenzioni e valori di un determinato gruppo sociale in un periodo storico o di un individuo.

Secondo lo psicologo e pedagogista Jean Piaget, "l'essere umano  nasce con l'attitudine, la potenzialità  di acquisire la morale; la potenzialità  serve anche per  imparare un codice linguistico. 

Emil Durkheim, uno dei fondatori della sociologia e della sociologia della religione, scrisse che la morale origina dalla natura sociale dell’umanità e comincia con la vita in gruppo.

L’etica è un ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, oppure distinguerli in buoni, giusti o socialmente leciti, rispetto ai comportamenti considerati inaccettabili dalla comunità di riferimento.

Nel lessico filosofico il termine "etica" deriva da Aristotele, il quale scrisse  l'Etica Nicomachea e l’Etica Eudemea.
« Ultima modifica: Marzo 06, 2013, 12:00:26 da dottorstranamore »

Nuvolone

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #17 il: Gennaio 24, 2013, 04:27:45 »
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L'agire morale esige coerenza: non si può optare a seconda del proprio tornaconto, altrimenti è relativismo morale.
Intatti è per questo che i relativisti vogliono eliminare il termine "morale". Il termine "morale" ha un significato più interiore, di valori interiorizzati, assimilati e conformi al proprio agire. "Etica" invece ha una connotazione più esteriore, di  comportamento formale  che, appunto, può  cambiare secondo l'opportunità.

 MA  CHE  CE  NE  FREGA  DEL RELAIVISMO  CHE  HA  DISTRUTTO  LA  NOSTRA SOCIETÀ !!! ???

Ormai sta per cominciare il declino del relativismo (e sarebbe ora): non c'è più nulla da distruggere, è stato già distrutto tutto. Non se ne può proprio più !!!
« Ultima modifica: Gennaio 24, 2013, 12:57:01 da Nuvoletta »

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #18 il: Gennaio 25, 2013, 10:45:36 »
MA  CHE  CE  NE  FREGA  DEL RELATIVISMO  CHE  HA  DISTRUTTO  LA  NOSTRA SOCIETÀ !!! ???

Ormai sta per cominciare il declino del relativismo (e sarebbe ora): non c'è più nulla da distruggere, è stato già distrutto tutto. Non se ne può proprio più !!!

Cara Nuvoletta, emula di Giovanna d’Arco, o forse di “Don Chisciotte” ?

Da circa tre mesi nelle librerie  c’è un nuovo testo del filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti: “Cristianesimo. La religione del cielo vuoto”, nel quale dice che il cristianesimo ha esaurito la sua spinta propulsiva  e che il cattolicesimo ormai svolge le funzioni di “agenzia etica”.

Il teologo  cattolico Vito Mancuso  fa ovviamente notare che chi prega ogni giorno “Padre nostro che sei nei cieli” non accetta di vedere qualificata la propria fede come “la religione dal cielo vuoto”.

Per Galimberti  il cristianesimo ha eliminato dal concetto di Dio la pienezza della vita che comprende il bene ed il male, la giustizia e l’ingiustizia, mentre il Dio cristiano è solo bene e solo giustizia, è amore secondo papa Ratzinger, perciò strutturalmente incapace di rispecchiare la realtà.

Liberando Dio dalla responsabilità del male, il cristianesimo l'ha impoverito rendendolo incapace di abbracciare il tutto, così che, a differenza degli Dei greci e dell'Islam, il cristianesimo è rimasto privo della dimensione del sacro. Privo di sacralità, ridotto ad etica, il cristianesimo non è più in grado di riempire il “cielo” dantesco o della tomistica medievale.   

E’ certamente fondata la tesi di Galimberti, secondo cui “il cristianesimo ha desacralizzato il sacro, sopprimendo la sua ambivalenza e assegnando tutto il bene a Dio e tutto il male al suo avversario”, cioè a Satana.  L'immagine di Dio portata da Gesù rende impossibile un Dio dell'ira e della vendetta. Questa visione galimbertiana è influenzata dalla critica teologica di Friedrich Wilhelm Nietzsche  al cristianesimo, basata  sulla teologia greca. Per il filosofo  tedesco si ha bisogno del dio buono e di quello cattivo, altrimenti non interessa  un dio che non conosce l’ira, la vendetta, l’invidia od altro. Per Nietzsche  che significato avrebbe  un dio del solo amore, bene e giustizia ?

Nuvoletta sei proprio sicura che il relativismo è in declino ? Il Concilio Vaticano II ha accettato la libertà religiosa e quindi il primato della coscienza.

L’unica cosa sacra è la vita libera degli esseri umani.

Il cristianesimo grazie alla secolarizzazione sta iniziando a confrontarsi con le diversità del mondo e con il Dio del teismo e dell'onnipotenza di alcune pagine bibliche. Oggi a risultare sacra per la coscienza è la lealtà della relazione, l'armonia che va costantemente ricercata e costruita, il volto umano di ogni razza o colore, con la profonda trasformazione del concetto di religione che questo porta con sé. Purtroppo gli uomini di Chiesa in grado di cogliere questa dinamica  sono pochi, mentre i più, e in questo Galimberti ha ragione, si occupano di argomenti “che ogni società civile può affrontare e risolvere da sé”.

La secolarizzazione ha permesso la tolleranza tra le fedi perché ha frammentato i grandi sistemi di rappresentazione del mondo.

La tua difesa ad oltranza del cristianesimo è forse un disperato tentativo  per riguadagnare una visione del mondo unitaria di fronte ad una realtà complessa ?  Nuvoletta, non puoi proporre una visione semplicistica e manichea del mondo. Il bene ed il giusto non sta solo nel cristianesimo.
« Ultima modifica: Gennaio 25, 2013, 16:38:22 da dottorstranamore »

Nuvolone

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #19 il: Gennaio 25, 2013, 14:30:18 »
E chi è Galimberti? Chi lo conosce? Pussa via ! Ahahahah ! Non è un personaggio degno di molta considerazione. Dottorstranamore ma perché ti riferirci ogni volta al cristianesimo? Io non l'ho nominato proprio. Inoltre perché ti rivolgi a me come se io fossi una fervente cattolica? Non lo sono! Non sono più neppure tanto credente. Che c'entra il cristianesimo? Io avrei una visione semplicistica, manichea, della vita? Ma  sei tu piuttosto a credere che le persone siano o relativisti o cristiani. Lasciamo stare la religione, delle religioni si può dire di tutto e il contrario di tutto. A me non piace il relativismo perché dà una visione della vita sconcludente, troppo superficiale ed è dissacrante non solo nei confronti delle religioni ma verso tutti gli aspetti dell'esistenza umana. Comunque, ad onor del vero, il cristianesimo non ha perso la sua spinta propulsiva e Mancuso non credo si possa più definire "cattolico" dato che si discosta spesso dal cattolicesimo. Che l'idea del Dio cristiano sia solo di Bene, di Amore e di Giustizia ciò coincide con l'ultimo ed eterno desiderio di ogni uomo e che possa dare davvero senso alla propria vita. In ultima istanza, togliendo l'amore, cosa può soddisfare e dar senso alla vita di un uomo? Inoltre, se si aspira al senso più alto dell'amore, ogni altro bene ed anche la stessa giustizia perderebbero senso in quanto in esso inclusi spontaneamente.
« Ultima modifica: Gennaio 25, 2013, 15:15:20 da Nuvoletta »

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #20 il: Gennaio 27, 2013, 18:36:04 »
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Il filosofo ed epistemologo d’origine austriaca Karl Raimund Popper (1902 – 1994) considerava il marxismo ed il materialismo i responsabili dell’attuale relativismo: ogni verità è relativa all'epoca storica che la produce. Le norme, le regole, i giudizi di valore sono collegati a specifici bisogni di una comunità, perciò non sono assoluti.

Altri popperiani, tra cui il docente di filosofia della scienza Marcello Pera,  obiettano che le libertà civili e politiche, lungi dall'essere fondate sulla relatività delle nostre conoscenze, debbano ricondursi alla dignità intrinseca della persona umana, che permane quale che sia la verità o non verità delle idee e delle convinzioni di ciascuno e che assicura a tutti il diritto di far valere tali idee e convinzioni in ambito sociale e politico.

Nel libro “Senza radici”, scritto con la collaborazione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, il professor Pera  dice: “L’idea secondo cui non vi sarebbero buone ragioni per giudicare culture o civiltà è notoriamente l’idea del relativismo. Essa oggi prende vari nomi: ‘pensiero postilluministico’, ‘pensiero postmoderno’, ‘pensiero debole’, ‘pensiero senza fondamenti’’, ‘pensiero senza verità’, ‘decostruttivismo’, eccetera. Il marketing è vario, ma il target è sempre lo stesso: si tratta di far proseliti all’idea che non esistono fondamenti ai nostri valori e che non si possono addurre prove od argomenti solidi per stabilire che qualcosa è migliore  o vale più di qualcos’altro.”

Si lamenta del proselitismo da parte dei relativisti e tace su quello dei cattolici, contestato anche dalla gerarchia  dei cristiani ortodossi russi.

Pera prosegue dicendo: “Il relativismo parte da un dato incontestabile: la pluralità dei valori, e da una posizione anch’essa difficilmente contestabile: la non compossibilità di tutti i valori, nel senso che esiste sempre una circostanza  in cui perseguire un valore  (poniamo, l’amicizia), è incompatibile con il perseguirne un altro (poniamo, la giustizia. Si pensi al caso da manuale in cui un amici abbia commesso un reato sotto i nostri occhi: si deve violare l’amicizia e denunciarlo o mantenere l’amicizia ed essere complici ?). Ma da tali premesse il relativismo fa discendere conseguenze sbagliate e disastrose, in particolare una: che gli insiemi dei valori, come le culture e le civiltà, non possono essere giudicati l’uno a fronte dell’altro.” […] “In sostanza, l’argomento di fondo a favore di questa tesi è che i contenuti non possono essere separati dai criteri con cui li si giudica. Il vero, il bello, il buono in una comunità sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella comunità. I criteri sono sempre infra-, mai inter-culturali. Né esistono meta criteri che possano fissare il vero in sé, il bello per tutti, il buono universale. Tutti i criteri, si dice, sono contestuali.” 

Nuvolone

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #21 il: Gennaio 27, 2013, 20:33:05 »
Si pensi al caso da manuale in cui un amici abbia commesso un reato sotto i nostri occhi: si deve violare l’amicizia e denunciarlo o mantenere l’amicizia ed essere complici ?).
Ma suvvia, non siamo mica bimbi delle elementari, Dottorstranamore, ma come si fa !!??


 Il vero, il bello, il buono in una comunità sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella comunità. I criteri sono sempre infra-, mai inter-culturali. Né esistono meta criteri che possano fissare il vero in sé, il bello per tutti, il buono universale. Tutti i criteri, si dice, sono contestuali.”
Ah Sì? E allora prendi una donna brutta e racchia, falle fare il giro del mondo e poi vieni a dirci per quale popolazione è stata invece considerata bella e desiderabile …. Ahahaha !!!!

Dottorstanamore, io distruggo sempre le tue tesi in favore del relativismo !

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #22 il: Gennaio 27, 2013, 20:48:36 »
Nuvoletta, piccolo nembo, artistico cirro, le proposizioni che mi attribuisci sono state scritte da Marcello Pera. Guarda il virgolettato. :top:


Ed ora per punizione leggiti quest'altro post.  :mah: :rose:

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La norma morale  indica una regola, un criterio  da osservare. Si distingue dalla legge, perché può essere priva della coercizione, ma può divenire legge se viene resa coattiva da una pubblica sanzione.

Per l’etica religiosa cristiana è Dio l’erogatore della norma morale, perciò legittima ed efficace. Ma in tal caso la norma è giusta perché è stabilita da Dio, o Dio stabilisce la norma perché è giusta ?

Il filosofo greco Platone (circa 428 a.C. – 348 a.C. circa) nel dialogo “Eutifrone”  sostiene che il criterio di giustezza  di una norma non dipende dalla volontà divina, ma dalla natura della cosa in sé.

Per Platone il demiurgo (il dio artefice dell’universo, principio dell’ordine cosmico) è buono, perciò comanda soltanto cose buone. Però, dal punto di vista gnoseologico  chi ci dice che Dio è buono ?  Una religione ?

Secondo  Socrate l'individuo deve agire secondo ragione (ratio), senza pretendere di stabilire una volta per tutte quale sia il bene concreto.
Uccidere per difendersi da un assassino può essere moralmente lecito dal punto di vista del relativismo morale, accusato dalla gerarchia cattolica  di negare la validità assoluta delle norme religiose o naturali, come il comandamento biblico “non uccidere”.

Ogni valore morale  è relativo, perché creato ed imposto  in un determinato periodo storico.

Le prime norme o regole morali le insegnano i genitori ai figli durante l’infanzia. I familiari spiegano  la differenza tra il bene ed il male, secondo le proprie convinzioni religiose o sociali.  Poi intervengono altre agenzie educative: la scuola, la Chiesa, il gruppo dei pari.

La relazione e lo scambio emotivo con il caregiver (la persona che accudisce l’infante) sono in grado di promuovere l'interiorizzazione da parte del bambino di strutture e codici che sottostanno alle competenze morali. Inizialmente queste norme sono collegate alle attività fisiologiche di base come il ritmo sonno-veglia e l'alimentazione, successivamente si riferiscono alla regolazione dei processi interattivi.

Spesso l’inadeguatezza dello sviluppo morale  in un infante o adolescente dipende dai maltrattamenti o dagli abusi ricevuti.
Ci sono ricerche che evidenziano il legame tra maltrattamenti infantili e comportamenti  devianti nell’età adulta. deviazioni dalle norme sociali ed etico-religiose. Le psicopatologie si presentano durante l’adolescenza e persistono nel tempo. Si manifestano con disturbi della personalità, con tendenze delinquenziali od antisociali. Molti criminali violenti sono stati abusati durante l'infanzia.

Il  maltrattamento incide sullo sviluppo delle competenze relazionali e sociali del bambino, distorcendo alcuni aspetti legati all'acquisizione di competenze morali che regolano il rapporto con gli altri.

La psicologa canadese  Mary Dinsmore Salter Ainsworth (1913 – 1999), allieva di John Bowlby ed esperta in psicologia dello sviluppo, con  le sue ricerche ha dato importanti informazioni sulle tipologie d'attaccamento e l'esistenza del passaggio trans generazionale dei valori e delle norme.

Nuvolone

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #23 il: Gennaio 27, 2013, 23:15:47 »
Certo che ho notato il virgolettato, ma chi ce li sta propinando i "virgolettati"?  ;D

Nuvolone

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #24 il: Gennaio 28, 2013, 00:05:22 »
Papa Ratzinger è contro il relativismo, specie religioso. Nel contempo con il suo costante invito  all’accoglienza di gente con culture diverse costringe noi europei alla mescolanza di fedi diverse. Mi sembra un controsenso. Per motivi politici  e di pace religiosa  egli incita all’accoglienza, ma nel contempo pretende dagli occidentali una salda fede religiosa cristiana.  Eppure lo sa che la moltitudine degli europei cristiani è culturalmente insufficiente nella conoscenza della propria religione, in particolare nella teologia. Il proprio sapere del cristianesimo e della liturgia è limitato a quanto appreso nelle lezioni di catechismo   durante l’infanzia. E le omelie durante la Messa  anziché istruire sono spesso noiose.

Anche alcuni partiti politici strombazzano l’accoglienza degli stranieri e la Caritas vuol sfamare poveri e finti poveri con i soldi dello Stato italiano e le offerte. Ci sono delle onlus che per giustificare la loro esistenza segretamente chiamano  gente dall’Africa e dall’Asia e speculano su quegli immigrati. Questi, quando arrivano in Italia, pensano di trovare casa, lavoro, diritto d’asilo, diritto di cittadinanza. Ci sono albergatori che  per mesi li ospitano a spese del contribuente. Quegli immigrati quando sono qui incontrano ostacoli, indifferenza. Molti danneggiano le stanze dove vivono. Vogliono fare i padroni in casa nostra. Molti altri anziché tornare nelle loro nazioni si aggregano a bande di delinquenti e cominciano a spacciare droga, a rubare ed a commettere tanti altri reati. La maggioranza dei detenuti nelle carceri italiane sono stranieri. Il nostro parlamento è incapace di fare leggi severe, di prevedere espulsioni, di far scontare la pena detentiva nelle prigioni dei loro luoghi di provenienza. L’Italia è il “corpo molle” dell’Europa per colpa dei nostri politici e della Chiesa cattolica.
Ecco tutto questo  che hai scritto mi è piaciuto molto, Dottorstranamore, qui ti meriti un  bel Summa cum laude !

Ma nel seguito non sono d'accordo. Non è detto che bisogna scegliere o relativismo o assolutismo: mi fanno ribrezzo entrambi.  La Chiesa cattolica vuole evangelizzare ma non imporre mandando a morte chi la rifiuta, come avviene in altre religioni di esaltati.  Non penso che gli immigrati dell'Est siano integrati alla nostra cultura ma sfruttano soltanto la nostra amabile ma ingenua affabilità. Vedo più capaci e sinceri i sudafricani, a dir il vero. Ma non possiamo certo accoglierli tutti; e non siamo noi a deciderlo bensì L'Europa. Noi, dopo la seconda guerra mondiale non contiamo più di un fico secco anche perché non abbiamo uomini politici  coraggiosi con capacità morali, intellettuali, culturali e politiche tali da affrontare seriamente e con dignità questo problema. Ci stava pensando Maroni ma l'hanno zittito subito dalla Francia e da altre parti.

« Ultima modifica: Gennaio 28, 2013, 00:19:29 da Nuvoletta »

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #25 il: Gennaio 28, 2013, 17:03:42 »
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La religione cristiana non accetta la spiegazione pluralista della realtà mentre il relativismo nega l'Assoluto, cioè l'esistenza di entità-verità capaci di risolvere in sé tutta la realtà. E nega che ci siano leggi, norme e valori morali validi sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Afferma, invece, che le norme morali, i valori etici non hanno carattere di assolutezza e di immutabilità, ma sono relativi all'evoluzione delle idee e delle culture: cioè, possono cambiare nel tempo e anche perdere ogni validità.

I critici del relativismo sostengono che se nessuna rappresentazione umana è oggettiva,  allora neanche il relativismo può  pretendere di essere nel vero. Se per i sostenitori del relativismo etico  vale il principio di equivalenza di ogni prescrizione morale, ciò può  avere effetti esiziali sulla società; se infatti non esiste una Verità assoluta di riferimento in base a cui poter distinguere il bene dal male, allora tutto è lecito.

Agostino d’Ippona diceva: chi sostiene l'impossibilità di ogni certezza si contraddice,  perché dà  per scontata la certezza che non vi sono certezze. Per quanti tentativi uno faccia, non si può mai negare del tutto l'esistenza di una verità assoluta, verità che si manifesta proprio nella scoperta della relatività del mondo delle apparenze.

Chiunque può dire di avere ragione: ma il relativismo culturale afferma che nessuno può arrogarsi il diritto di imporre le proprie opinioni, specie se per sostenere le proprie argomentazioni fanno riferimento a Dio, al Verbo Rivelato, alla Verità Assoluta.
 
Esistono valori morali oggettivi in grado di unire l’umanità ? Quali sono? Come riconoscerli? Come attuarli nella vita delle persone e delle comunità ? Questi  sono interrogativi riguardanti il bene ed il male, che hanno ormai una dimensione internazionale. C’è la consapevolezza della globale solidarietà  verso l’equilibrio ecologico, la protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima: temi che interessano tutta l’umanità e la cui soluzione va oltre gli ambiti nazionali. 

La ricerca  di valori condivisi riguarda tutta l’umanità. Ci sono tentativi per definire un’etica universale. Dopo la seconda guerra mondiale fu firmato a Parigi un documento sui diritti individuali, la cui redazione fu promossa dall’ONU perché avesse applicazione in tutti gli Stati facenti parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Tale documento fu firmato il 10 dicembre 1948 ed è conosciuto come “Dichiarazione universale dei diritti umani”.  Sono diritti inalienabili dell’individuo che trascendono le leggi degli Stati ed inducono ad elaborare un’etica mondiale. 

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #26 il: Gennaio 30, 2013, 21:18:54 »
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Per "legge naturale” s’intende la “legge morale naturale”, anche se l’aggettivo “morale”  di solito non viene scritto.

Questa legge è detta naturale perché è propria della natura umana: tramite la ratio l’individuo può capire cosa è il bene e cos’è il male.

La legge  naturale [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 89] indica agli individui  la via da seguire per compiere il bene e raggiungere il proprio fine. I suoi precetti sono compresi nel “Decalogo” (i dieci comandamenti).

Sant'Agostino nel “De Trinitate” (14, 15, 21: PL 42, 1052) dice che  “La legge naturale altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione”

Nella”Summa Theologiae”  Tommaso d’Aquino  afferma che la legge naturale impone agli individui di fare il bene e di evitare il male per costruire comunità basate sulla giustizia.
Ogni comandamento o precetto contiene una parte positiva (i “comandi” che si devono eseguire) per realizzare il bene, e una parte negativa (i “divieti” che si devono osservare) per evitare il male.
Secondo l’aquinate gli individui hanno innata  la Ragione naturale, capace d’intendere i principi morali, la sindèresi (dal greco syntërësis = osservazione, giudizio della coscienza). Nella filosofia Scolastica indica la capacità naturale della coscienza umana di conoscere immediatamente i principî morali universali,  e distinguere quindi il bene dal male.

Nell’antica Grecia i filosofi sofisti distinguevano  le leggi che hanno origine da una scelta governativa o sovrana  e quelle che sono valide “per natura”. Le prime non sono  eterne né valide  erga omnes, le seconde obbligano tutti, sempre e dovunque. Alcuni sofisti ricorrevano a questa distinzione per contestare la legittimità delle leggi istituite dalle città.

Platone e Aristotele non opponevano diritto naturale e leggi positive delle città-Stato.  Erano convinti che le leggi per governare sono generalmente buone e costituiscono l’attuazione, più o meno riuscita, di un diritto naturale conforme alla natura delle cose.

Per Platone il diritto naturale è un diritto ideale, una norma per i legislatori e per i cittadini, una regola che consente di fondare e di valutare le leggi positive.

Per Aristotele questa norma suprema della moralità corrisponde alla realizzazione della forma essenziale della natura. È morale ciò che è naturale. Il diritto naturale è immutabile; il diritto positivo cambia secondo i popoli e le diverse epoche. Ma il diritto naturale non si colloca al di là del diritto positivo. Esso si incarna nel diritto positivo, che è l’applicazione dell’idea generale della giustizia alla vita sociale nella sua varietà.

Nello stoicismo la legge naturale diviene il concetto chiave di un’etica universalista. È buono e dev’essere compiuto ciò che corrisponde alla natura. Questo imperativo presuppone che esista una legge eterna, un Logos divino, il quale è presente sia nel cosmo, che essa impregna di razionalità, sia nella ragione umana. Così, per Cicerone la legge è “la ragione suprema inserita nella natura che ci comanda ciò che bisogna fare e ci proibisce il contrario”.

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #27 il: Febbraio 01, 2013, 09:13:05 »
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Nel medioevo la teologia cristiana volle coniugare la fede con la ratio filosofica. E quella filosofia fu detta “Scolastica” , perché veniva insegnata nelle scuole, di solito ubicate in plessi religiosi, ma anche laici, come la famosa “schola palatina” voluta da Carlo Magno.

Le scuole altomedievali insegnavano il mestiere (l'arte) agli “uomini liberi”, perciò dette  scuole di “arti liberali”. L’accesso all'istruzione superiore era possibile solo per i  figli delle famiglie economicamente benestanti.

Il docente (denominato “scholasticus”) insegnava una o più materie del “trivio” (grammatica, logica o dialettica, e retorica) o del “quadrivio” (geometria, aritmetica, astronomia e musica).

In seguito si chiamò scholasticus anche il docente di filosofia o di teologia, il cui titolo ufficiale era magister: magister artium o magister in theologia.

Fra i magister ci fu il  monaco filosofo e teologo Anselmo d'Aosta (1033 circa – 1109), considerato tra i massimi esponenti del pensiero medievale. Egli riteneva non in contrasto ragione e fede perché entrambe le presumeva concesse da Dio.

Anche  per Tommaso d’Aquino (1226 – 1274) non c’era contrasto tra ragione e fede, e considerava la morale originata da Dio. 
 
Invece altri studiosi, come l’inglese Guglielmo d'Ockham (1288 – 1349), teologo e filosofo francescano, evidenziarono l'esigenza dell'autonomia del pensiero filosofico dalla religione, per l'impossibilità di comprendere con la ragione i misteri della fede.

Nel basso medioevo ci fu la diffusione delle università, e la teologia  fu  prima costretta a confrontarsi con altre discipline, poi, progressivamente, subì  la separazione dalla filosofia, annullando il pensiero patristico  che aveva concepito ed attuato l’unità tra i due saperi.

Nel XVI secolo il domenicano spagnolo Francisco de Vitoria (1483 circa – 1546), considerato uno dei fondatori del diritto internazionale, dette un importante contributo alla riflessione teologica sulla “guerra giusta”, tema già affrontato in precedenza da altri, come Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino.
Francisco de Vitoria fu anche il primo teologo ad affrontare la questione della conquista spagnola delle terre americane da poco scoperte ed il problema del rispetto dei diritti degli indios, cioè dei nativi di quelle regioni. Invocò la legge naturale per contestare l’ideologia imperialista di alcuni Stati cristiani d’Europa e per difendere i diritti dei popoli non cristiani d’America. Infatti tali diritti sono inerenti alla natura umana e non dipendono dalla situazione concreta nei confronti della fede.

Con riferimento anche  alla legge naturale scrisse nel 1888 il pontefice Leone XIII  nell’enciclica “Libertas  praestantissimum”: “La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere in mano del proprio arbitrio e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina.”

La legge naturale è presente nell’enciclica “Pacem in terris”  di Giovanni XXIII: I diritti naturali  sono indissolubilmente congiunti nella stessa persona che ne è il soggetto, con altrettanti rispettivi doveri, ed hanno entrambi nella legge naturale, che li conferisce o che li impone, la loro radice, il loro alimento, la loro forza indistruttibile. (I. 14).

Pure nelle questioni relative alla morale coniugale nell’enciclica di Pio XI “Casti connubii”  e nell’enciclica “Humanae vitae”  di Paolo VI c'è sullo sfondo la legge naturale.

Il pontefice Giovanni Paolo II si soffermò sulla legge naturale nella lettera enciclica “Veritatis splendor”, indirizzata ai vescovi  per ribadire l’insegnamento morale della Chiesa cattolica: “… si respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull'universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale solo per ‘esortare le coscienze’ e per ‘proporre i valori’, ai quali ciascuno ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita.” […] “È anche diffusa l'opinione che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l'appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell'ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali.”


Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #28 il: Febbraio 03, 2013, 08:12:14 »
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Alcuni comportamenti degli individui sono considerati nella maggior parte delle culture come espressioni meritevoli di plauso: atti di coraggio, pazienza nelle prove e nelle difficoltà della vita, compassione per i deboli, moderazione nell’uso dei beni materiali, atteggiamento responsabile nei confronti dell’ambiente, dedizione al bene comune.... Altri comportamenti sono  invece universalmente rifiutati, per esempio l’omicidio, la violenza, il furto, il sopruso.

Fin dall’infanzia l'individuo accede progressivamente all’esperienza morale  attraverso la propria famiglia e  la rete di relazioni interpersonali che gli consentono gradualmente di  capire l’agire sociale e di diventare un soggetto consapevole di sé.

L’ambiente socioculturale in cui si vive ha un ruolo determinante nell’educazione ai valori morali, perché orienta la persona a riconoscere i modi di comportarsi, i valori positivi e negativi, le leggi da osservare,  gli esempi da imitare. L’individuo  si scopre capace di percepire e di esprimere il bene ed il male.

L’individuo ha bisogno degli altri per superare i propri limiti individuali. Ciò implica il riconoscimento della pari dignità di ogni persona, al di là delle differenze di razza e di cultura. “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Questa regola è  presente nella morale della reciprocità.

L’applicazione concreta dei precetti della legge naturale può assumere forme differenti nelle diverse culture, od anche in epoche diverse all’interno di una stessa cultura. È sufficiente ricordare l’evoluzione della riflessione  morale su questioni come la schiavitù, il prestito a interesse, il duello o la pena di morte. Anche l’evoluzione della politica o  dell’economia conducono ad una nuova valutazione di norme particolari precedentemente stabilite. Infatti la morale si occupa di realtà contingenti che si evolvono nel tempo.

La morale non si limita a produrre norme, favorisce anche la formazione degli individui  affinché siano in grado di adattare i precetti universali della legge naturale alle condizioni concrete dell’esistenza nei diversi contesti culturali. Tale capacità è assicurata dalle virtù morali, in particolare dalla prudenza nell’agire.   

La legge naturale non è un insieme di regole che si impongono a priori all’individuo,  ma è una fonte di ispirazione oggettiva per l’evoluzione morale soggettiva.

Doxa

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Re:Scienza e relativismo
« Risposta #29 il: Febbraio 04, 2013, 10:15:54 »
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L’acquisizione spontanea dei valori etici fondamentali, che si esprimono nei precetti della legge morale naturale, costituisce l’inizio del processo che conduce l’individuo al giudizio della sua coscienza nelle scelte.

La legge naturale è collegata alla nozione di natura, però questa non è univoca. In filosofia corrisponde all’antico pensiero greco della physis.

Furono i  presocratici a creare il concetto filosofico di phýsis, perciò Aristotele  li definì  "fisici" o "fisiologi", cioè studiosi della natura o "naturalisti". Per essi la phýsis è il principio vitale, la forza della natura e la divinità ordinatrice del kosmos.

Con gli eleati la phýsis subì una determinazione di tipo ontologico e dal cristianesimo venne integrata in una visione più ampia: il Dio della rivelazione cristiana è anche il Tutto della natura,  il creatore dell’universo.

La dottrina della legge naturale implica la convinzione che esista un’armonia fra Dio, l’umanità e la natura. In tale prospettiva, il mondo è percepito come un tutto intelligibile, unificato dal comune riferimento degli esseri che lo compongono a un principio divino fondatore, ad un Logos.

Però il filosofo tedesco  Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831) ne “La filosofia della natura”  si oppone alle tendenze volte a divinizzare la natura o a considerarla come manifestazione privilegiata dello spirito, distinto in soggettivo, oggettivo ed assoluto. E ne “La filosofia dello spirito”  dice che  la libera volontà dell’individuo si realizza oggettivandosi nelle istituzioni storiche attraverso   un processo triadico che comprende: il diritto, la moralità e l'eticità. Lo spirito si pone dapprima come forma individuale che difende la propria libertà. Il diritto sorge per regolare la reciproca condotta dei singoli, facendosi percepire come una volontà generale in grado di farsi valere sui particolari. La libertà si interiorizza e l'individuo si muta in soggetto. Nasce così la moralità, che è l'affermazione della legge universale nell'interiorità. Lo spirito libero identifica la  propria volontà con quella universale, prende coscienza della fondamentale identità dei fini individuali e quelli universali.

Per Hegel la moralità dell’individuo fa parte della volontà soggettiva che aspira al benessere.