Autore Topic: La Chiesa cattolica e le donne  (Letto 9000 volte)

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
La Chiesa cattolica e le donne
« il: Settembre 21, 2016, 07:33:04 »
Lo scorso gennaio è stato pubblicato il libro “Donne e Chiesa. Una storia di genere”, scritto dalla storica e teologa Adriana Valerio, che insegna “Storia del cristianesimo e delle Chiese”.

Nel predetto testo l’autrice analizza il rapporto tra la Chiesa cattolica e il vissuto religioso delle donne. 

La Chiesa di Roma è un sistema religioso ma anche sistema politico, giuridico ed economico; comunità di fede e di appartenenza, ma pure agenzia culturale ed etica. In questa Chiesa il principio di uguaglianza non ha intaccato la millenaria divisione dei ruoli, nonostante l’affermazione di Paolo di Tarso  nella Lettera ai Galati: “Non c’è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (3, 28):  davanti a Dio “non est acceptio personarum” = “non si fa distinzione tra le persone”.

Le narrazioni che ci sono pervenute furono scritte da uomini e raccontano solo episodi e parole che ritennero essenziali per la fede. Comunque nel Nuovo Testamento ci sono tracce del ruolo femminile. Nelle cosiddette Lettere pastorali (prima e seconda Lettera a Timoteo e Lettera a Tito) erroneamente attribuite all’apostolo Paolo, invece appartenenti ad una tradizione a lui successiva, la sottomissione della donna è un elemento qualificante di ordine e organizzazione gerarchica.

Nella prima Lettera a Timoteo c’è scritto: “La donna impari in silenzio, con perfetta sottomissione. Non permetto a nessuna donna di insegnare, né di dominare sull’uomo; piuttosto se ne stia in silenzio. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia” (2, 11 – 14).

Ma la subordinazione della donna all’uomo fu discontinua nei primi tre secoli del cristianesimo, periodo in cui questa religione cercava una propria identità spirituale e istituzionale, con la separazione dei seguaci di Gesù dal giudaismo e le sue tradizioni. Il processo non fu indolore. Ci furono contraddizioni e conseguenze anche per le donne che partecipavano alle fasi di trasformazione: discepole, apostole, diacone, martiri, ascete, ecc., che caratterizzarono la nascita e l’affermarsi del cristianesimo.

Birik

  • Mucca Cin Cin
  • *
  • Post: 470
  • Karma: +13/-29
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #1 il: Settembre 21, 2016, 09:13:36 »
Che il problema della donna sia la religione monoteista?

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #2 il: Settembre 21, 2016, 18:39:57 »
Birik ha scritto:
Citazione
Che il problema della donna sia la religione monoteista?

Questo problema l’ha creato la religione o il monoteismo ?

Credere in un solo dio non crea disparità di genere, la differenza la può creare la religione come istituzione, specie se antica, perciò basata sulla cultura patriarcale.

I testi considerati sacri dalla religione ebraica risentono della cultura in vigore nel periodo in cui furono elaborati e rielaborati dai rabbini, ma nel primo capitolo della Genesi la donna è presentata come contrapposta all'uomo, e non inferiore a lui.

Nel cap.31 dei “Proverbi” si argomenta sulla “donna di valore” e di essa si danno le caratteristiche: infonde fiducia e felicità, governa la casa e si preoccupa per la famiglia, lavora costantemente, soccorre chi ha bisogno, parla con saggezza.

Nel Seder di Pesah (il pranzo pasquale) quando si commemora la liberazione del popolo ebraico, accanto ai tre patriarchi vengono menzionate anche le quattro matriarche, Sarah, Leah, Rachele e Rebecca e questo per riconoscere la loro importanza nella storia del popolo ebraico.

Nel Libro dei Giudici una figura forte e vincente è quella di Deborah, giudice in Israele e profetessa.

Altre due ebree, Elisabetta madre di Giovanni Battista e Miriam o Maria, madre di Gesù, sono descritte nelle Scritture cristiane, ma si comprendono pienamente solo se viste nell'orizzonte ebraico. Elisabetta è equiparata ad Anna, madre di Samuele, e ad altre donne bibliche nel desiderio di un figlio che Dio le concede.

E’ la donna che trasmette l'ebraicità ai figli, è la loro prima insegnante di precetti religiosi.

Nell'ebraismo contemporaneo la donna ha un ruolo secondario nella liturgia pubblica, ma primario in quella familiare. Ha il compito di accendere i lumi dello Shabbat, come segno di passaggio dal tempo profano al tempo sacro.

Per quanto riguarda la donna dal punto di vista della religione cristiana c'è da dire che ,Maria di Nazaret osserva tutti i precetti dell'ebraismo. Avvia Gesù al suo “bar-mitzvah”  (= figlio del comandamento), è un termine che indica il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l’età della maturità (13 anni e un giorno per i maschi, 12 anni e un giorno per le femmine) e diventa capace di distinguere il bene dal male.  Maria rimarrà poi sempre vicina al figlio con discrezione, lo accompagnerà fino alla morte in croce.

Il ruolo di Maria, la madre di Gesù,  è stato proposto come prototipo di subalternità femminile, ma bisogna tener conto che il processo di inculturazione del cristianesimo avvenne nell’ambito della civiltà greco-romana, dove l’autorità era saldamente maschile.

Poi la Chiesa riconoscendo alla donna ruoli alternativi a quelli tradizionali, ha preparato, nei secoli, a cominciare dall'Occidente, il terreno per il raggiungimento di pari dignità e diritti tra uomo e donna.


Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #3 il: Settembre 22, 2016, 07:50:54 »
Conosciamo Gesù di Nazaret come fu recepito da alcuni suoi discepoli che trasmisero la memoria del loro Cristo con la rielaborazione di tradizioni orali e di fonti scritte.

L’indagine storico-critica ci consente oggi di affermare che non è possibile ricostruire la biografia completa di Gesù ma possiamo sapere le caratteristiche del suo messaggio e lo stile di vita che indica la sua personalità. Alcuni elementi storici sono sicuri: l’appartenenza al popolo ebraico, il battesimo ricevuto da Giovanni il battezzatore o battista, la predicazione itinerante, i miracoli, il conflitto con le autorità religiose del sinedrio, il supplizio della croce.

Gli evangelisti comunicarono di Gesù informazioni parziali e selezionate per le prime comunità cristiane  come indicazioni pastorali e per  intenti apologetici.

Sappiamo che Gesù nacque durante il regno di Erode Antipa e che all’età di circa 30 anni iniziò a predicare nelle sinagoghe della Galilea per annunciare l’avvento del regno di Dio, la sconfitta del male e la vittoria dei giusti. Alcune donne diventarono sue seguaci (Lc 8, 1 – 2).

I vangeli sono concordi nell’attestare un seguito femminile che accompagnò il Maestro dall’inizio della sua missione in Galilea fino alla sua morte a Gerusalemme. Oltre a Maria sua madre c’erano Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, la madre dei figli di Zebedeo (Mt 27, 55 – 56), Salome (Mc 15, 40 – 41), Giovanna, moglie di Cuza, Susanna (Lc 8, 2) ed altre.

Il Gesù dei vangeli non concepisce la sua comunità come un gruppo di soli uomini. Il suo criterio non è l’esclusione ma l’integrazione. Con le donne Gesù discute e si confronta con empatia, a loro, non diversamente dagli uomini, dice messaggi di salvezza, chiede scelte. Le donne non le considera una categoria a parte né secondaria, con lui condividono vita, attese e azioni.

In quel tempo la religione ebraica distingueva e separava la casta sacerdotale dal popolo, i degni dagli indegni, i puri dagli impuri, i giusti dai peccatori, i conterranei dagli stranieri, gli amici dai nemici, gli uomini dalle donne. Invece Gesù pone l’alternativa della convivenza pacifica e solidale (Mt 25, 31 ss). 

Secondo le categorie di “puro” ed “impuro” della cultura ebraica, la donna a causa delle mestruazioni rendeva sporco l’ambiente che la circondava, poteva contaminare il “sacro” (Num 15, 38),  perciò era considerata in uno stato di perpetua impurità cultuale (Lv 15, 25 – 30). Non poteva partecipare alle attività di culto né alle feste religiose, non poteva entrare nel santuario.
Con Gesù la donna non è più impura. Egli incontra la donna  che aveva continua perdite di sangue (Mc 5, 25 – 34), ridona la vita ad una ragazza morta stringendole la mano (Mc  5, 35 – 42), si fa toccare dal corpo impuro di una prostituta (Lc 7, 36 – 50). Dio sconfigge l’impurità e niente può rendere immonda una persona, se non il male che compie (Mc 7, 15).

All’esasperato rispetto del riposo sabatico che vietava lo svolgimento di molte attività, Gesù contrappone la priorità della persona da soccorrere al momento del bisogno: di sabato guarisce una donna (Lc 13, 10 – 13), suscitando riprovazione ed ostilità da parte del capo della sinagoga perché non aveva rispettato il precetto della Torah (Es 20, 8 – 11).

Gesù non abroga la legge giudaica, ma la rifonda a partire dall’amore come principio.

Birik

  • Mucca Cin Cin
  • *
  • Post: 470
  • Karma: +13/-29
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #4 il: Settembre 22, 2016, 08:37:39 »
Difficile avere tempo e pazienza per leggerti tutto.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #5 il: Settembre 26, 2016, 19:07:47 »
Uno dei racconti nel vangelo di Giovanni ha come protagonista una donna di Sicar, località della Samaria (shomron) territorio a sud della Galilea e a nord della Giudea. E’ la regione centrale della biblica Israele.

Il racconto è noto col titolo: “La Samaritana” (Gv 4, 1 – 30). “Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni – sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli –, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria.
Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: ‘Dammi da bere’. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: ‘Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?’. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: ‘Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva’. Gli disse la donna: ‘Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?’. Rispose Gesù: ‘Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna’. ‘Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché‚ non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua’. Le disse: ‘Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui’. Rispose la donna: ‘Non ho marito’. Le disse Gesù: ‘Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero’. Gli replicò la donna: ‘Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare’. Gesù le dice: ‘Credimi, donna, è giunto il momento in cui né‚ su questo monte, né‚ in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché‚ la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché‚ il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità’. Gli rispose la donna: ‘So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa’. Le disse Gesù: ‘Sono io, che ti parlo’. 
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: ‘Che desideri?’, o: ‘Perché parli con lei?’. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: ‘Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?’. Uscirono allora dalla città e andavano da lui”.


Il racconto ci fa immaginare la scena: Gesù è giunto al pozzo di Giacobbe.  Ha sete. E’ stanco del viaggio ed è l’ora di pranzo. Arriva questa donna per attingere l’acqua e Gesù comincia  con lei il dialogo in modo perentorio: “Dammi da bere”. La donna gli chiede: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”  I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Infatti la richiesta di Gesù è sorprendente per due motivi: perché un giudeo chiede qualcosa ad un samaritano; perché un rabbì parla con una donna in pubblico, e questo era vietato. I discepoli, quando se ne accorgono rimangono stupiti del comportamento di Gesù, il quale supera le barriere del sesso e dell’etnia.

Nel vangelo di Giovanni, le donne sono messe in rilievo in sette momenti, decisivi per la divulgazione della Buona Novella. A loro si attribuiscono funzioni e missioni, alcune delle quali, negli altri vangeli, sono attribuite agli uomini:

Alle nozze di Cana Gesù trasforma l'acqua in vino. Maria, la Madre di Gesù dice ai servitori "Fate tutto quello che vi dirà" (Gv 2,1-11).

La Samaritana è la prima a sapere da Gesù che lui è il Messia: "Sono io, che ti parlo" (Gv 4,26). E lei diviene l'evangelizzatrice della Samarìa (Gv 4,28-30.39-42).

Gesù non giudica, non condanna la donna adulltera e la salva dalla lapidazione (Gv 8,1-11).

Marta, sorella di Maria e Lazzaro, fa solenne professione di fede (Gv 11,27).

Maria, sorella di Marta, unge i piedi di Gesù (Gv 12,7).

Ai piedi della croce Gesù dice alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!", e a Giovanni:  "Ecco tua madre!" (Gv 19,25-27).

Maria di Magdala annuncia la risurrezione di Gesù.  (Gv 20,11-18).


 


Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #6 il: Settembre 29, 2016, 14:39:26 »
Gesù, il Cristo, non progettò nessuna riforma sociale, non cambiò la condizione delle donne, così come quella degli schiavi e dei diseredati, non manifestò il suo pensiero sulla gerarchia dei sessi, non rivolse uno specifico messaggio alle donne,  non disse nulla circa la “caduta” dal Paradiso terrestre di Adamo ed Eva per colpa della donna. Egli disse parole profetiche ed impartì  insegnamenti reinterpretando ed attualizzando la Torah, al fine di un rinnovato rapporto filiale con Dio.

Le donne che lo seguirono nell’itineranza missionaria non lo abbandonarono, ma lo accompagnarono fino alla morte con la loro presenza sul luogo della crocifissione. 

Quando fu crocifisso sul Calvario “Vi erano anche alcune donne che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali quando era in Galilea lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme (Mc 15, 40 – 41).

Le pie donne furono le prime annunciatrici della tomba vuota e della risurrezione di Gesù.

Paolo di Tarso nella prima Lettera ai Corinti dice che  l’uomo non deve dominare sulla donna, che i rapporti nella coppia devono essere basati sull’amore scambievole. L’uomo e la donna dispongono l’uno del corpo dell’altra nella reciproca dedizione (7, 3 – 4).  Nella stessa lettera c’è la richiesta di Paolo alle donne di Corinto di usare il velo (11, 1 e ss.) e di essere silenziose nelle pubbliche assemblee (14, 34).
La richiesta di silenzio alle donne era incoerente con i ruoli esercitati da esse come attive collaboratrici nel movimento missionario.
Per questi motivi molti esegeti ritengono che la prima Lettera ai Corinti sia stata interpolata, che si tratti di di una pericope aggiunta successivamente per ridimensionare la facoltà delle donne di avere il diritto alla parola nelle pubbliche assemblee.   
Se invece si accetta l’ipotesi che parole scritte da Paolo non furono interpolate,  si può presumere che questo apostolo le abbia dette sia per non urtare la suscettibilità delle comunità giudeo-cristiane nelle quali le donne avevano ruoli più riservati, sia per consentire il corretto ed ordinato svolgimento delle assemblee finalizzate alla creazione di quella comunità cristiana.

Il brano paolino è stato interpretato come divieto assoluto e universale per le donne di esercitare autorità nella comunità, tacciando di peccato di orgoglio ogni loro diversa richiesta e orientando la loro voce limitandola al chiuso delle mura domestiche o monastiche.
Le donne cristiane di Corinto per affermare meglio la propria emancipazione, rifiutavano l’uso del velo sul capo, avvertito come simbolo di inferiorità e di diversità dagli uomini. Infatti le regole decoro sociale imponevano alle donne sposate di portare in pubblico un velo, per non essere scambiate per prostitute ed etère od essere identificate con le baccanti che nei riti orgiastici portavano la capigliatura sciolta sulle spalle.

A Paolo interessava che l’assemblea della comunità cristiana di Corinto si svolgesse con ordine e sobrietà: il velo sarebbe stato in tal senso, segno di identità e di rispetto, in accordo con la tradizione delle Chiese della Palestina. L’apostolo non poneva un freno al parlare delle donne, ma si preoccupava che ogni cosa nell’assemblea cristiana fosse fatta con decoro, con ordine e senza ambiguità, anche nel rispetto della diversità tra donne e uomini, come affermato nel Genesi: “Non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo” (1Cor. 11, 7) […] “Tuttavia, nel Signore né la donna è senza l’uomo né l’uomo senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio” (1Cor. 11, 11 – 12).

Anche a Cartagine c’erano donne non sposate (virgines) che pretendevano di  tenere il capo non coperto dal velo durante il culto (Tertulliano, “La preghiera” 21 – 22). Questa richiesta femminile di indipendenza fu condannata dall’apologeta cristiano, ma il suo intervento moralizzatore andava al di là della questione dell’abbigliamento delle donne, perché coinvolgeva il riconoscimento del loro ruolo ecclesiale. Con la gerarchizzazione degli stati di vita, per le donne che sceglievano la condizione monastica il rito della velatio rappresentava la consacrazione delle vergini.

Alla fine del IV secolo fu pubblicato un commentario dedicato alle lettere di Paolo di Tarso ed erroneamente attribuito ad Ambrogio,  (vescovo di Milano dal 374 al 397) perciò il testo fu denominato "Ambrosiaster". Lo sconosciuto autore ribadisce la subordinazione della donna all’uomo a causa del peccato originale: “Come può qualcuno sostenere che la donna sia a somiglianza di Cristo quando si mostra soggetta al dominio dell’uomo e non ha nessun tipo di autorità ? Perché non può né insegnare, né essere un testimone in una corte né esercitare i diritti di un cittadino, nemmeno essere un giudice od esercitare potere” (Commento alla 1 Lettera ai Corinzi 14, 34).

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #7 il: Settembre 30, 2016, 09:49:53 »
Il movimento carismatico rurale creato da Gesù di Nazaret, in pochi decenni fece molti proseliti e vennero create numerose comunità cristiane, presenti nei centri urbani dell’impero romano. Comunità influenzate dal giudaismo, seppure distinte per l’uso di alcuni rituali specifici: il battesimo come rito di iniziazione e costitutivo dell’identità cristiana, e il pasto comune nelle case private per commemorare l’ultima cena di Gesù.

Dopo la morte di Gesù tra i  suoi seguaci ci furono contrasti, provvisoriamente superati nell’anno 49 con  il cosiddetto Concilio di Gerusalemme. Ma poi ricominciarono le divergenze ideologiche con conseguente separazione e distinzione dalla matrice ebraica. Il distacco dal giudaismo indusse alla configurazione del cristianesimo come religione autonoma. L’evoluzione avvenne in circa cento anni, segnati da tragici avvenimenti, come la distruzione da parte delle milizie romane del tempio ebraico di Gerusalemme nell’anno 70, la sconfitta giudaica nella seconda rivolta contro Roma nel 135, che accentuarono la distanza dei seguaci di Gesù Cristo dalla comunità ebraica ormai dispersa.

Le comunità protocristiane iniziarono il processo di adattamento necessario per costruire la propria identità, indipendente dal giudaismo da cui provenivano e dalla società greco-romana nella quale si collocavano, la quale aveva le sue regole riguardo le donne. Ne abbiamo l’esempio da alcune delle lettere scritte da Paolo di Tarso. Nella Lettera agli Efesini (comunità cristiana di Efeso, nell’attuale Turchia) l’apostolo afferma:  “le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore” (Ef 5, 22). Tale frase riflette la gerarchia ellenistica con le sue regole di ordine sociale: il rispetto dell’ordine nella Chiesa doveva corrispondere all’ordine sociale riconosciuto. Nel fare propri quei codici etici di comportamento, tuttavia, se ne attutiva la durezza inserendo il criterio dell’amore reciproco: “Mariti, amate le vostre mogli come anche Cristo ha amato la Chiesa […]  i mariti debbono amare le loro mogli come fossero i loro stessi corpi: chi ama la propria moglie ama se stesso” (Ef 5, 25 – 28).

Anche l’atteggiamento paolino nella prima Lettera a Timoteo relativo al ruolo sottomesso delle donne rispondevano ad un’esigenza di ridimensionamento delle aspettative femminili e di freno nei confronti dei ruoli che le donne svolgevano in alcuni ambienti sociali.
Contestualmente alle Lettere pastorali di Paolo di Tarso circolava in Asia Minore (l’attuale  area occidentale della Turchia) un altro scritto autorevole, gli “Atti di Paolo e Tecla”, dove si afferma la leadership femminile di Tecla, discepola di Paolo, protomartire delle donne ed isoapostola (uguale agli apostoli).  Questa donna si vestiva da uomo per seguire l’apostolo e non avere impedimenti; ella battezzava, insegnava, predicava, rappresentava per la donne un modello di apostolato lontano dalle codificazioni che si stavano determinando nelle comunità cristiane. L’apologeta Tertulliano ne ha dato testimonianza: “quelle vipere che si sono arrogate il diritto di insegnare e vogliono battezzare rifacendosi all’esempio di Tecla” (da “Il battesimo”, 17).

Se alcuni gruppi cristiani vedevano in Tecla un modello di apostolato femminile, alcuni Padri della Chiesa come Ambrogio (vescovo di Milano) e Gregorio di Nissa la indicavano solo come esempio di virtù per aver rifiutato il matrimonio ma non per la sua attività pastorale.
 
La protomartire Tecla è anche menzionata dalla pellegrina Egeria, la quale nel diario di viaggio che fece in Terrasanta dal 381 al 383, le rese omaggio visitando oltre le cosiddette “tombe degli apostoli” anche il santuario di Tecla a Seleucia (Diario di viaggio 23, 4).

L’istituzionalizzazione delle comunità cristiane e l’accettazione delle strutture gerarchico-patriarcali confermarono l’emarginazione delle donne.     

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #8 il: Ottobre 03, 2016, 16:35:38 »
Dai testi canonici che compongono il Nuovo Testamento e dalla letteratura cristiana dei primi secoli le donne appaiono come figure positive e significative: ascoltano,  chiedono, accudiscono, amano, condividono. Alcune donne furono importanti nel cristianesimo delle origini.

Maria di Magdala (Maria Maddalena), definita “apostola degli apostoli” dai Padri della Chiesa, fece parte del  gruppo itinerante che accompagnò Gesù fin dagli inizi della sua missione. E’ citata nel Nuovo Testamento e in alcuni scritti apocrifi.

Dall’evangelista Luca sappiamo che era stata guarita da spiriti cattivi, “liberata da sette demoni”, e la menziona come una delle donne che “assistevano Gesù con i loro beni”, cioè  finanziavano la missione itinerante del Maestro (Lc 8, 2 – 3). 

Secondo la tradizione, la Maddalena era una delle tre Marie che accompagnarono Gesù anche nel suo ultimo viaggio a  Gerusalemme (Mt 27, 55; Mc 15, 40-41; Lc 23, 55-56) dove furono testimoni della crocifissione e  morte di Cristo: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria Maddalena” (Gv 19, 25). Fu lei, assieme a Salome e Maria la madre di Giacomo il Minore (Mt 28, 1; Mc 16, 1-2) ad andare al sepolcro con gli unguenti per ungere la salma. Ma esse trovarono il sepolcro vuoto ed ebbero una "visione di angeli" che annunciavano la risurrezione di Gesù (Mt 28, 5). A lei apparve il Risorto, che la designò come prima destinataria e annunciatrice della sua risurrezione. (Mc 15, 40 e ss.).

La figura di Maria di Magdala è stata identificata per lungo tempo con altre figure di donna presenti nei vangeli.

Alcune tradizioni l’accostarono a  Maria di Betania, la sorella di Marta e del risorto Lazzaro (Lc 10, 38-42). Nei Vangeli canonici  Maria di Betania viene descritta come  donna molto attenta agli insegnamenti del Maestro, al quale pochi giorni prima della Passione gli unse il capo e i piedi (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Lc 10,38-42; Gv11,1-12,8).

Maria di Magdala oltre ad essere scambiata per Maria di Betania, fu anche accostata all'anonima peccatrice di cui narra Luca perché era  stata liberata dai demòni.

Anche la peccatrice unse i piedi a Gesù, a casa di Simone il Fariseo: “Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato; e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l'olio” (Lc 7, 36 – 50).  La donna ottenne la remissione dei peccati.

La confusione forse avvenne perché Maria di Betania e la peccatrice lavarono i piedi al Cristo e gli unsero il capo con il profumo, però in luoghi e tempi diversi: Maria di Betania, a casa di Simone il lebbroso, la peccatrice a casa di Simone il Fariseo.
 
Dalla lettura dei brani evangelici alcuni pensarono l'esistenza di tre donne distinte (Maria Maddalena, Maria di Betania e la peccatrice anonima), altri due donne, altri una sola.

Maria di Magdala venne anche scambiata per l’anonima adultera salvata da Gesù dalla lapidazione. L’errore fu compiuto nel 591 da papa Gregorio Magno, che per un suo sermone si basò su alcune tradizioni orientali.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #9 il: Ottobre 09, 2016, 11:53:31 »
Di Maria, la madre di Gesù, abbiamo poche notizie dai Vangeli canonici. La citano brevemente gli evangelisti Marco e Matteo; Luca parla di Maria nel racconto teologico dell’infanzia di Gesù; mentre Giovanni  cita la “madre di Gesù” in tre casi ma senza nominarla: alle nozze di Cana (2,1-11); quando va a Cafarnao con Gesù, i fratelli e i suoi discepoli (2,12); e infine quando lei è sulla collina del Calvario (19,25-27).

Per l’evangelista Luca, Maria è una ragazza (almah), “riempita dalla grazia di Dio” (piena di grazia). Questa giovane viene a sapere che partorirà un figlio: “Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con te[...]Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”  (Lc I,28,30-31). E’ l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria del concepimento verginale e della nascita verginale di Gesù; secondo l’evangelista Matteo l’annunciazione del concepimento del Figlio di Dio nel grembo di Maria fu data dall’angelo anche a Giuseppe.

Dopo la notizia del concepimento miracoloso Maria non consulta gli uomini della sua famiglia, ed è lei e non Giuseppe a dare il nome al figlio, secondo l’ordine ricevuto dall’arcangelo Gabriele.

Poco sappiamo del rapporto di Maria con Gesù. Certamente ebbe un ruolo determinante nella sua formazione culturale e sociale. A lei era affidato il compito dell’educazione religiosa, del rispetto dei precetti della tradizione ebraica.

L’evangelista Luca ci presenta Maria come “donna dello Spirito” che su di lei scese al momento dell’annunciazione del concepimento del “Figlio di Dio” (Lc 1, 32) e durante la Pentecoste nella fase costitutiva della prima comunità  cristiana per dare inizio alla Chiesa.

Gli scritti apocrifi enfatizzano teologicamente la verginità di Maria (solo accennata in Matteo e Luca) per difendere la divinità di Gesù.

In alcuni testi, come l’Ascensione di Isaia e il Protovangelo di Giacomo, ci sono indicazioni di quello che sarà lo sviluppo del culto mariano che si affermerà nei secoli successivi per consenso popolare.

Maria fu collegata al peccato e alla salvezza, come garanzia dell’incarnazione di Dio tramite il suo corpo di donna vergine.

Circa nel 150 d. C.  il  filosofo, apologista e martire cristiano Giustino, scrisse il “Dialogo con Trifone”, col quale accusa i rabbini ebraici di diffondere calunnie e bestemmie su Gesù. In questo testo egli argomenta con l'ebreo Trifone per convincerlo dell'importanza della fede cristiana e di come essa sia la prosecuzione della religione ebraica e il suo completamento. Fra l’altro dice:  “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per mezzo della Vergine, affinché la disobbedienza provocata dal serpente fosse annullata attraverso la stessa vita per la quale prese inizio. Come infatti Eva, che era vergine ed incorrotta, dopo aver accolto la parola del serpente, partorì disobbedienza e morte, allo stesso modo Maria, la Vergine, avendo ricevuto dall’arcangelo Gabriele il buon annuncio che lo Spirito Santo sarebbe disceso su di lei e che la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata, concepì fede e gioia, per cui il nato da lei sarebbe stato il Figlio di Dio” (Dialogo con Trifone, 100).

Questo parallelo Eva – Maria, introdotto da Giustino e ripreso dal teologo e vescovo Ireneo (uno dei Padri della Chiesa)  che esaltava nella Vergine l’opera di redenzione (Contro gli eretici 5, 19), ebbe ripercussioni di lunga durata nella costruzione simbolica del femminile e del suo ruolo nella storia della salvezza. 

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #10 il: Ottobre 11, 2016, 08:22:58 »
Le prime comunità cristiane usavano incontrarsi nelle case di alcuni fedeli per la preghiera e l’evangelizzazione.

Negli “Atti degli apostoli”  e nelle lettere di Paolo di Tarso sono indicate delle donne che offrivano ospitalità nelle loro abitazioni: la commerciante Lidia di Filippi (At 16, 13 – 15), la vedova Tabità (At 9, 36 – 43), Priscilla (At 18, 2 – 4), Cloe (1 Cor 1, 11), Ninfa (Col 4, 15).

L’apostolo Paolo durante i suoi viaggi missionari trovava accoglienza in abitazioni private, dove aveva la possibilità di fare proseliti per la fondazione e l’edificazione delle comunità cristiane, nelle quali le donne che collaboravano con il tarsita avevano specifiche mansioni: nell’ambito della carità, nel diaconato, nella catechesi, nell’evangelizzazione e l’apostolato. Ciò emerge nel capitolo conclusivo della Lettera ai Romani (Rom 16, 1 – 17), dove Paolo saluta 12 donne, di cui 10 chiamate per nome. Tra esse c’è Febe che s’interessa del diaconato nella comunità cristiana di Cencre, vicino Corinto; la missionaria Priscilla, che con il marito Aquila collabora con questo apostolo nell’attività missionaria ad Efeso, mettendo a disposizione la propria casa e svolgendo attività di catechesi per i neofiti; Giunia, inviata in missione per fare proseliti; le evangelizzatrici Trifena, Trifosa e Perside; Maria, la madre di Rufo, che Paolo considera come sua madre; Pàtroba, Giulia, la sorella di Nereo e Olimpas.

A queste donne vanno aggiunte le missionarie di Filippi: Evodia e Sintiche. Nella Lettera ai Filippesi Paolo tra l’altro scrive: “Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d'accordo nel Signore. E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita” (Fil 4, 2 – 3).
 
Il tarsita non dimentica le benefattrici, come Apfia (Fm 1, 2), che lo ospitò a Colossi, e Ninfa, che lo accolse nella casa di Laodicea per la celebrazione eucaristica (Col 4, 15).

Erano donne attive ed autonome, spesso economicamente benestanti.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #11 il: Ottobre 12, 2016, 07:59:30 »
Sia nei vangeli sia nelle Lettere paoline c’è il termine  di origine greca “diaconia” (= servizio) in favore dei poveri, dei bisognosi.

Nel cristianesimo primitivo il diacono (= servitore) è l’uomo che svolge un servizio amministrativo e assistenziale al comando del vescovo. Paolo di Tarso li cita nella Lettera ai Filippesi (1,1) e nella Lettera a Timoteo (3, 8. I diaconi distribuivano l’eucarestia, leggevano i testi sacri ed erano dediti alla predicazione.

C’erano anche le diaconesse, le donne che si dedicavano alla cura dei malati, dei poveri e di alcuni uffici liturgici. Esse insegnavano, istruivano le catecumene, assistevano le giovani donne che ricevevano il battesimo per immersioni nelle vasche battesimali, aiutavano le ammalate. 

Paolo nella Lettera ai Romani usa il termine “diacono” riferito anche ad una donna: “Vi raccomando Febe, nostra sorella, diacono della Chiesa di Cencre (16, 1 - 2). Tale termine appare anche nella Lettera a Timoteo (1: 3, 11)
Evidentemente, all'epoca della redazione della lettera (anni cinquanta del primo secolo d.C.), il termine era utilizzato in un contesto in cui i diversi incarichi nelle chiese locali stavano ancora strutturandosi.

È documentato che nel III secolo in Siria esistessero delle diaconesse che aiutavano il sacerdote nel battezzare le donne. Un ruolo attestato anche nelle Costituzioni apostoliche del IV secolo, che citano un apposito rito di istituzione della diaconia femminile distinto da quello dei diaconi maschi.
L ’incarico di diaconesse veniva conferito con un rito liturgico: con l’imposizione delle mani e con la preghiera di invocazione dello Spirito Santo (epiclesi), con la consegna della stola e, a Costantinopoli, del calice.

La loro presenza è attestata fino al V secolo in Occidente e fino all’VIII secolo in Oriente. Poi ci fu il progressivo ridimensionamento delle loro funzioni, sia per la scomparsa del battesimo degli adulti sia per il conflitto all’interno della Chiesa dominata dagli uomini sul ruolo da riconoscere alle donne.

Tra le femmine che svolgevano ruoli di servizio nelle comunità oltre le diaconesse c’erano anche le  vedove che avevano funzioni di collegamento tra i seguaci della fede cristiana.

Nel trattato cristiano “Didascalia degli apostoli”, elaborato nella prima metà del III secolo,  le vedove, insieme alla diaconesse, sono annoverate fra i membri del clero e contrapposte ai fedeli laici, ma in altri contesti veniva loro negata l’appartenenza al clero, ci fanno sapere Epifanio, Tertulliano ed Ippolito.

Le vedove dovevano promettere (propositum) di non risposarsi e di mantenersi caste fino alla morte, narra Tertulliano nel “De virginibus velandis” (= Le vergini che devono velarsi). 

La colta ed aristocratica Olimpia (361 – 408), ordinata diaconessa dal vescovo Nettario di Costantinopoli, collaborò nell’attività pastorale con il vescovo e teologo bizantino Giovanni Crisostomo (in greco antico “chrysóstomos”), che significa “bocca d'oro”, epiteto derivante dalla sua eloquenza e le doti retoriche nell’omiletica. Fu secondo patriarca di Costantinopoli e scrisse anche un trattato dedicato a “La verginità”, per confrontare lo stato di coloro che optano per questa, con coloro che invece si sposano. Egli era dell’opinione che la verginità sia "superiore" e da preferirsi, mentre il matrimonio sia, per così dire, un rimedio (remedium concupiscentiae)  per coloro che non possono in altro modo resistere alle tentazioni carnali.

Il valore della verginità e del celibato fu anche sancito dal  Concilio di Trento, nella sessione XXIV (11 novembre 1563).  Al punto 10 afferma: "Se qualcuno dirà che lo stato coniugale è da preferirsi alla verginità o al celibato e che non è cosa migliore e piú beata rimanere nella verginità e nel celibato, che unirsi in matrimonio, sia anatema"

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #12 il: Ottobre 13, 2016, 00:03:05 »
“Profezia”: parola che deriva dal latino ecclesiastico “prophetìa”, e questa dal greco “prophètéia”. Il lemma è composto da due termini: “pro” (= avanti) + “femi” (= dire), allude alla predizione di eventi futuri su ispirazione divina. Sono esempi le profezie nell’Antico Testamento o quelle della Sibilla cumana. L’annuncio viene dato dal “profeta”: dal latino “prophèta”, che discende dal greco “prophètès”, composto da “pro” (= avanti) e “phètès”, da “phèmi” (= dico).
Il profeta “parla” per conto di Dio, perciò la profezia è un messaggio che Dio, tramite il profeta, vuol diffondere. Non sempre la profezia consiste nella rivelazione di un evento futuro.
Le profezie più importanti sono quelle che annunciano il compimento del disegno divino e l’avvento del regno del messia.

Nell’Antico Testamento il profeta parlava secondo quanto Dio gli aveva suggerito (in visione, direttamente o altro) e riportava spesso avvenimenti che sarebbero successi in futuro. Ciò serviva per confermare la parola di Dio.
 
Il dono della profezia non era un’esclusiva dei profeti ma anche delle profetesse. Per esempio Anna, la figlia di Fanuele, che l’evangelista Luca presenta come testimone silenziosa, modello di preghiera e ascolto (2, 36). Tertulliano, invece, descrive Anna come vedova anziana che con i digiuni e la preghiera era in grado di comprendere i misteri di Cristo (“Sul digiuno” 8, 14).

Profetesse erano considerate anche le figlie di Filippo, citate negli Atti degli apostoli (21, 9) ma anche da altri, per esempio dal vescovo Eusebio di Cesarea, che fu consigliere e biografo dell’imperatore romano Costantino I.

Massimilla e Priscilla erano due profetesse della Frigia (regione dell’Anatolia, Turchia), che con le loro predizioni ebbero notorietà.

Massimilla s’identificava con Cristo: “non ascoltate me, ma ascoltate Cristo” (da “Oracoli montanisti”, 13). A motivo di tale identificazione gli oracoli delle due profetesse erano messi sullo stesso piano  dei testi sacri.

Priscilla raccontò di aver ricevuto da Cristo, in visione, una rivelazione: “Sotto forma di donna, ornato con abito splendido, venne da me Cristo, m’infuse la saggezza, mi rivelò che questo luogo (Pepuzia, nella Frigia) è sacro e che qui sta scendendo dal cielo Gerusalemme” (“Oracoli montanisti, 17). 

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #13 il: Ottobre 14, 2016, 16:29:36 »
Il proselitismo da parte di numerose donne benestanti permise al cristianesimo delle origini di penetrare nelle famiglie più illustri dell’impero romano, divenendo motore di consenso e diffusione. Marcella, Demetriade, Fabiola, Melania, Blesilla, Paulina, Iulia, Olimpia, Teodora, Claudia e tante altre aristocratiche emancipate e dal forte carattere, con i loro beni sostenevano opere di carità e monastiche. Furono intraprendenti fautrici di conversione o di attenzione verso il cristianesimo. L’imperatrice Giulia Domna (170 – 217), moglie di Settimio Severo, consentì alla dinastia dei Severi di aprirsi al sincretismo religioso.

Della libertà della donna cristiana che, nell’accoglienza della fede relativizzava i legami familiari,  abbiamo diverse testimonianze, oltre quelle presenti nella letteratura martirologica dove ci sono donne che rinunciano ai rapporti materni o filiali per non rinnegare la propria fede cristiana.

Il filosofo Celso, vissuto nel II secolo, scrisse il saggio “Alethès lógos” (= La vera dottrina, o discorso della verità) contro i cristiani e la religione cristiana.  Del testo se ne conosce soltanto una parte, ricostruita tramite la confutazione che ne propose il teologo  cristiano Origine nel secolo successivo nel testo titolato “Contro Celso”, che ne contiene ampi stralci per confutarli.

Celso evidenzia le discussioni e le divisioni in molte famiglie a causa delle conversioni femminili. In particolare denuncia la scelta di numerose donne aristocratiche di sposarsi con uomini della stessa fede cristiana, trascurando le differenze economiche e sociali.
La frequenza delle conversioni al cristianesimo di donne di agiata condizione economica determinò il provvedimento di papa Callisto  I (pontificò dal 217 al 222) che permise alle ragazze e alle vedove appartenenti a famiglie senatorie, che non volevano decadere dalla loro condizione sposando uomini di classi sociali inferiori, l’unione anche con schiavi, purché cristiani, dando preferenza a queste relazioni vietate dal diritto romano, disapprovate dalla tradizione e tollerate solo nel concubinato.
L’audace scelta delle aristocratiche cristiane ebbe come conseguenza l’esistenza fatta di rinunce: sessuale, matrimoniale e materna.

Doxa

  • Muhuhuhu
  • *
  • Post: 2666
  • Karma: +37/-15
    • Mostra profilo
Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #14 il: Ottobre 18, 2016, 09:05:46 »
C’erano uomini e donne che preferivano morire anziché rinnegare la loro fede cristiana. Nella comune religione non aveva rilevanza essere schiavo o libero, aristocratico o plebeo, maschio o femmina. Tutti potevano accedere alla “grazia del martirio”, eliminato nel IV secolo. Nel 380 l’imperatore Teodosio I  impose  il cristianesimo come religione di Stato dell’impero romano e da allora il potere dei vescovi,  esponenti del potere della Chiesa, andò crescendo con la “Prammatica sanzione” voluta dall’imperatore bizantino Giustiniano I, nel 554. 

Nel contempo avanzava il processo di definizione dell’identità del cristianesimo tramite l’incontro-scontro con la cultura ebraica, dalla quale proveniva, e si distaccava. Dalla filosofia greca prese gli strumenti concettuali per formulare le proprie verità di fede, mentre della giurisdizione romana usò la parte normativa del vivere sociale, compreso il sistema familiare basato sui rapporti patriarcali, gerarchici. 

La cultura della superiorità maschile nei confronti delle donne fu condivisa sia dai cosiddetti “Padri della Chiesa” sia da altri autori cristiani, predominati dalla filosofia greco-romana e da alcuni brani biblici. Essi furono concordi nel considerare la donna subalterna all’uomo ed inadeguata a svolgere ruoli di potere. L’infirmitas mulieris, la “debolezza della donna”, fu il pretesto per ribadire l’imperfezione e l’insufficienza della natura della donna, nata per essere subordinata all’uomo. Ma nelle famiglie aristocratiche e nelle case regnanti le donne (mogli e madri)avevano  poteri reali come vicarie del pater familias e tutrici, impegnate in fondamentali ruoli di salvaguardia degli interessi economici, sociali e politici delle famiglie e delle dinastie.

La creazione di Eva dalla costola di Adamo (Gen 2, 21), l’essere sedotta dal serpente (Gen 3, 1 – 6) e la sua punizione (“sarai a lui sottomessa”, Gen 3, 16)  interpretati letteralmente, costituirono gli elementi basilari  per un’esegesi funzionale alla gerarchia sessuale.
 
Anche se per Agostino, vescovo di Ippona, maschio e femmina sono creati ad immagine di Dio e con uguaglianza spirituale, la formazione del corpo indica la subordinazione della donna ed innesta tra i due sessi una relazione di dominio-obbedienza. L’uguaglianza davanti a Dio affiancata dalla disuguaglianza nell’ordine della natura: una subordinazione, dunque, secondo Agostino, voluta da Dio.

Le considerazioni sulle donne dipendevano anche dalla valutazione negativa della sessualità da parte della religione cristiana, orientata alla castità. Il dominio del desiderio sessuale era determinante per la degna vita di fede, che nella verginità e nella continenza matrimoniale trovava la strada per la corretta interpretazione del volere divino. L’orientamento ostile verso la sessualità indusse a difendere la verginità come valore prioritario. Agostino considerò positivo il coito nel matrimonio ma, secondo lui, doveva essere finalizzato alla procreazione.

La sessualità coniugale era considerata rimedio al desiderio sessuale (remedium concupiscentiae) e sottoposta a rigidi calendari, con periodi di astinenza collegati alle funzioni fisiologiche della donna (mestruazioni, gravidanza, parto, allattamento) e ai periodi liturgici (Quaresima, Avvento, Pentecoste e feste religiose).

Nei libri penitenziali (secoli VI – XI) ci sono numerose indicazioni rivolte ai peccati della fornicazione (masturbazione, adulterio, pratiche anticoncezionali, aborto), con severe penitenze, alcune delle quali duravano vent’anni.

La sessualità fu l’ossessione del cristianesimo. Il rifiuto del mondo da parte del clero passava ed ancora dovrebbe passare attraverso la negazione dell’eros.