Autore Topic: La Chiesa cattolica e le donne  (Letto 9008 volte)

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #15 il: Ottobre 19, 2016, 09:35:28 »
Dal IV secolo il processo di gerarchizzazione e sacralizzazione del clero diventò più marcato.

Oltre alla pratica di ordinare uomini sposati, c’erano richieste di vivere in castità con la moglie o di allontanarla e rinunciare al matrimonio.

Nel 306 il sinodo di Elvira (l’attuale Granada, in Spagna) decise il divieto di rapporti sessuali ai preti, pena la deposizione (canone 33); tale divieto fu ribadito nel 385 da papa Siricio, affermando la necessità della castità per il clero a motivo della purificazione rituale necessaria per il servizio liturgico (Lettera al vescovo Imerio). L’astinenza dai rapporti sessuali era necessaria perché il coitus era considerato impuro. 

In Occidente gli interventi disciplinari furono più rigidi e mirati all’imposizione della castità, invece in Oriente furono meno drastici.
Nel 325 il Concilio di Nicea proibì al clero la coabitazione con  le donne di servizio, “ a meno che non sia madre, sorella, zia o persona al di sopra di ogni sospetto” (canone 3). Ovunque, però, si sollevarono obiezioni e dissensi. Per esempio, il filosofo Sinesio di Cirene, eletto vescovo di Tolemaide nel 410, alla richiesta di rinunciare alla moglie, rispose negativamente: “Ho una moglie concessami da Dio, dalla legge, dalla sacra mano di Teofilo. Dichiaro pubblicamente e chiamo tutti a testimoni che non intendo essere separato da lei né convivere con lei di nascosto come un adultero, perché la prima ipotesi sarebbe empia, la seconda illecita” (epistola 105).

Anche  il clerico Ponzio Anicio Paolino, discendente di illustre famiglia senatoriale e consolare,  non rinnegò la moglie Therasia, donna ricca e bella. Lei era cristiana e battezzata, e lo convertì al cristianesimo. Nel 389 a Bordeaux fu battezzato dal vescovo Delfino e nel 394 a Barcellona ricevette l’ordinazione sacerdotale. In seguito i coniugi si trasferirono in Italia, dove entrambi decisero di dedicarsi alla vita monastica. A Cimitile, nei pressi di Nola (luogo dove Paolino aveva già soggiornato quanto era stato governatore della Campania) fondò un cenobio maschile ed uno femminile, noti all’epoca per la vita di preghiera e per l’assistenza ai poveri.  Nel 409 Paolino fu consacrato vescovo di Nola.

Queste esperienze diffuse di preti sposati e i ripetuti decreti che si susseguirono nell’alto medioevo, tramite concili regionali che ribadirono le disposizioni per il celibato ecclesiastico, indicano l’esistenza di differenti casi di vita con le donne, il rifiuto e la violazione di tali norme.

L’insistenza di allontanare il clero dalle donne era dovuta a diverse motivazioni:
la purezza, simbolo della superiorità e sacralità sacerdotali, non poteva essere contaminata nel rapporto con l’impurità delle donne e del sesso;
il monachesimo, con la scelta di vivere in austerità e castità, era il modello da imitare. I monaci erano entrati nelle gerarchie della Chiesa ed imponevano il proprio stile di vita rigoroso.

Vivere una vita casta significava rispettare norme (imposizioni giuridiche), controlli sulla sessualità  (confessione), accompagnati da un’impalcatura teologico-morale basata sul senso di colpa e sul peccato dovuto alla trasgressione.

La castità e la purezza richieste al clero allontanava le donne sia da ruoli sacramentali sia da posizioni di potere, ma ci sono testimonianze dell’esistenza fino all’VIII secolo di “presbitere” ed “episcope”, titoli questi che evocano lo status di mogli di preti o di vescovi, ed indicano anche una loro collocazione ecclesiale nell’esercizio del ministero sacerdotale o dell’amministrazione dei beni della Chiesa.
Gregorio di Tours (Historia Francorum) e Venanzio Fortunato (Carmina), ad esempio, narrano di mogli influenti in Gallia nella vita dei loro mariti vescovi e attive nella gestione della vita ecclesiale. A tal riguardo papa Gelasio I, che pontificò dal 492 al 496, espresse il suo disaccordo: “…la mancanza di rispetto verso le cose sacre è giunta a tale livello da tollerare che le donne amministrino sui sacri altari e che un sesso al quale non compete tratta tutte le materie che sono state affidate alla sola cura degli uomini (Decretale 26).
« Ultima modifica: Dicembre 16, 2016, 14:01:36 da dottorstranamore »

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #16 il: Ottobre 20, 2016, 10:42:27 »
Pur sostenendo la liceità del matrimonio alcuni Padri della Chiesa sia in Occidente (Ambrogio, Agostino, Girolamo) sia in Oriente (Clemente Alessandrino, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Giovanni Crisostomo) furono i paladini della verginità, ponendola al primo posto nella gerarchia dei valori.

I testi sulla verginità del vescovo di Milano Ambrogio (tra il 377 ed il 394), l’Orazione funebre per Gorgonia, sorella di Gregorio di Nazianzo (nel 370), la “Vita di Macrina”, elaborata dal fratello Gregorio di Nissa (nel 380), le 17 lettere inviate dall’esilio alla diaconessa Olimpia da Giovanni Crisostomo (nel 400 circa), alcuni scritti di Gregorio Magno (fine VI secolo) offrivano alle donne ideali di vita, modelli in cui riconoscersi.

La verginità era considerata di livello superiore sia alla vita casta della vedova sia a quella della sposa, ma anche questa invitata all’astinenza.

Per Ambrogio la perennità della scelta verginale riscattava con “forza virile” la femminilità debole e peccaminosa. Nel 377 nel suo trattato “Sulle vergini” dedicato alla sorella Marcellina, questo vescovo annota che alla prozia paterna Sotere, martire nel 303 durante l’impero di Diocleziano, durante l’uccisione le fu risparmiato il  velato viso dallo schiaffeggiamento, considerato un affronto al pudore. Ella, come sfida, “Si scoprì il volto  per il martirio”, mentre di solito la martire rimaneva velata anche se il suo corpo era sottoposto a tormenti. Nello stesso anno, il 377, il vescovo Ambrogio pubblicò un altro trattato, riguardante “Le vedove”; nel 386-87 pubblicò “La verginità”, influenzato da Origene e da Gregorio di Nissa; nel 392 pronunciò l’omelia “L’educazione della vergine” ed, infine, nel 394 scrisse “Esortazione alla verginità”. 

Un argomento ricorrente negli scritti di Ambrogio in favore della verginità è l’ostilità al matrimonio per via della posizione subordinata della donna, che poteva emanciparsi solo rifiutando ufficialmente di affidarsi alla tutela di un uomo, cioè facendo voto di verginità. Ambrogio paragona la nubile a una schiava che si vende sul mercato al miglior offerente, avendo al collo una collana d’oro o di perle invece del collare di ferro delle schiave. Emerge dalle sue considerazioni una visione drammatica della società alla fine dell’impero, dove il senso di precarietà esistenziale dovuto a fattori negativi come le guerre ininterrotte, la pressione dei barbari, il calo di natalità, la recessione economica, spingevano sia i più deboli socialmente che i più evoluti culturalmente a cercare solidarietà anche al di fuori del gruppo parentale.

Nel 383 l’imperatore Graziano, su pressione di Ambrogio, emanò una legge che permetteva tra l’altro alle donne che si consacravano a Dio, vergini o vedove, di ricevere la dote o di portare con sé l’eredità, perché lo sposalizio in Cristo era considerato un matrimonio a tutti gli effetti. La cerimonia della velazione, che si svolgeva alla vigilia di Natale e di Pasqua, era strutturata come un matrimonio: durante la Messa, dopo il sermone, il vescovo prendeva il velo dall’altare, dove era stato collocato per essere santificato e lo metteva sul capo della vergine.

Riservatezza, penitenza, digiuno, preghiera, studio, atteggiamento umile erano gli elementi che costituivano lo scenario della vita quotidiana riservato alle donne che emerge dalle “Lettere” di Girolamo, divenuto nel 382 la guida spirituale del gruppo ascetico delle donne aristocratiche residenti sulla collina dell’Aventino, a Roma. La “Lettera 22” da lui indirizzata alla romana Eustochio nel 383, con i suoi richiami alla necessità di una vita ritirata ed austera, offre un quadro significativo dei pericoli che insidiavano la donna. Con la scelta monastica poteva sottrarsi alle decisioni parentali e ai pericoli del matrimonio: “Il seno che ingrossa, il bimbo che vagisce, le rivali che ti fanno dannare, le faccende domestiche che non lasciano un attimo di quiete, e tutti quei beni che si credono sorgente di felicità, ma che pensa la morte a portar via” (Epistola 22, 2).

La scelta monastica veniva presentata come occasione di riscatto per la donna, che così si rendeva indipendente dai legami familiari, si sottraeva agli obblighi matrimoniali ed era libera dalle necessità della procreazione.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #17 il: Ottobre 28, 2016, 06:04:37 »
Atanasio,  vescovo di Alessandria d’Egitto dal 328 al 373, con varie interruzioni, la Chiesa cattolica lo considera uno dei 36 “dottori della Chiesa”. Fu lui uno dei primi ad introdurre a Roma le suggestioni dell’ascetismo egiziano. Tra il 341 ed il 343 fu ospite nella casa della vedova Marcella che, nel suo palazzo sull’Aventino (uno dei cosiddetti 7 colli di Roma) aveva accolto altre donne (Asella, Paola, Eustochio) dedite alla preghiera, allo studio e all’ascetismo ma non alla vita monastica.

Fino al IX secolo la religiosità cristiana femminile veniva espressa in modo differenziato: dall’eremitismo alla vita cenobitica, dall’isolamento domestico alla coabitazione con comunità maschili, da piccoli gruppi spontanei riuniti intorno ad una “magistra” a comunità monastiche più strutturate. I diversi contesti sociali consentivano maggiore o minore libertà e le molteplici esperienze creavano l’esigenza di norme da osservare per le specifiche esigenze spirituali.

Tra il IV ed il VI secolo Agostino vescovo di Ippona, Basilio vescovo di Cesarea, ed il monaco egiziano  Pacomio (fondatore del monachesimo cenobitico) elaborarono norme scritte per il monachesimo cenobitico maschile e femminile. Ma la prima “Regola” dedicata alle donne fu elaborata nel 513 in Gallia da Cesario di Arles per la sorella Cesaria (“Regula ad virgines”), che governava un monastero e per il quale chiedeva, tra l’altro, la clausura come garanzia di stabilità. Tale Regola superò l’ambito locale ed influenzò il monachesimo fino all’affermazione della Regola benedettina, conosciuta come “Sancta regula”, del 534, che dall’epoca carolingia del IX secolo prevalse in Occidente.

Benedetto da Norcia fece confluire nella sua “Regula” le precedenti normative ed ispirazioni di vita monastica riservata agli uomini, nonostante la sorella Scolastica fosse consacrata a Dio fin dall’infanzia. A lei, comunque, tradizionalmente si fa risalire l’origine del ramo femminile dell’Ordine benedettino, ma solo con la riforma del monaco Benedetto di Aniane la Regola venne introdotta in tutti i monasteri femminili per decisione del Concilio di Aquisgrana nell’817. Tale Regola venne criticata dopo due secoli dalla badessa Eloisa (1101 – 1164) perché compilata da uomini che non tennero conto delle specifiche esigenze del corpo e della spiritualità femminili. A loro ci pensò Chiara d’Assisi nel 1253 con la “Forma di vita dell’Ordine delle sorelle povere”, una Regola scritta da una donna per le donne.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #18 il: Novembre 02, 2016, 10:08:42 »
Nei primi secoli del cristianesimo per le donne c’erano tre diversi Ordini nell’ambito ecclesiale: Ordo virginum (Ordine delle vergini), l’Ordo viduarum (Ordine delle vedove) e le diacone o diaconesse.

L’Ordo virginum e l’Ordo viduarum erano forme di vita consacrata. La loro presenza è attestata nelle prime comunità cristiane  (lCor 7,17-8,25; At 21,9).

Il carisma dell’Ordo Virginum ha le sue radici nei primi quattro secoli del cristianesimo. Nel Canone Romano sono menzionate alcune delle prime vergini cristiane: Sant’Agata, a Catania; Santa Lucia, a Siracusa; Sant’Agnese e Santa Cecilia, a Roma; Santa Cristina, a Bolsena; ecc.

Fino al Concilio di Nicea, nel 325,  le vergini vivevano nelle loro  case dedite al culto divino, poi, dal VI secolo cominciarono a riunirsi in comunità monastiche o a partecipare nei movimenti di vita evangelica senza consacrazione pubblica e solenne. Successivamente la funzione dell’Ordine delle Vergini fu ritenuto superfluo ed abbandonato. 

Dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II la consacrazione a Dio si esprimeva all'interno delle varie famiglie religiose o in forma privata. Il Concilio Vaticano II ripristinò per gli uomini il diaconato permanente e per le donne l'Ordine delle Vergini, riconoscendo  il carisma di una vita consacrata.

Il 31 maggio 1970, festa della Visitazione della Vergine Maria, la Sacra Congregazione per il Culto Divino per mandato del pontefice  Paolo VI promulgò il rito della consacrazione delle vergini: “Ordo consecrationis virginum”. Nello stesso anno si svolsero le prime consacrazioni nelle diocesi di Vicenza e Roma, successivamente in altre. La celebrazione del rito in quegli anni si svolgeva in forma riservata in una delle cappelle laterali delle chiese. Negli anni ’90 la “consecratio virginum” venne accolta in molte diocesi con la celebrazione davanti l’altare maggiore nelle parrocchie, nei santuari o  nella cattedrale.

Dal vescovo diocesano vengono consacrate con rito liturgico ed unite in mistiche nozze a Cristo-Dio. Il rito prevede l’eventuale consegna  del velo alla donna, l’anello sponsale con Gesù Cristo, e il libro della liturgia delle ore. Esse non sono monache o suore, non vivono nella comunità monastica o conventuale, non hanno una struttura gerarchica, non hanno obblighi di vita comunitaria, non pronunciano voti ma promettono la loro verginità, dipendono dal vescovo e svolgono diverse mansioni al servizio della Chiesa. Il loro Ordine è riconosciuto dal Diritto Canonico.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #19 il: Novembre 04, 2016, 06:03:20 »
La vedovanza è  citata varie volte nella Bibbia.

L’Antico Testamento narra di vedove con problemi economici e di solitudine. E’ il caso di Tamar, vedova di Onan, che ritorna alla casa del padre (Gen. 38);
della vedova di Tekòa (2 Sam. 14);
di Noemi, moglie di Elimelec e suocera di Rut la moabita (Rut, 1, 1 ss.);
della stessa Rut che invitata dalla suocera a risposarsi,  per obbedienza sposa Booz e diviene antenata di Davide da cui nascerà il Messia (Rut 3,1ss.).
La vedova di Zarepta,  che in occasione della siccità incontra il profeta Elia e mostra doti di generosità, in seguito premiate con il miracolo della risurrezione del figlio morto (1Re 17,10-24).
La vedova Giuditta (Giud. 8,2-8) vissuta in castità.

Nel Nuovo Testamento è citata la vedova e profetessa Anna, elogiata per la sua castità e la perseveranza nel pregare (Lc 2,36-38). 

Dai vangeli di Marco e Luca sappiamo che Gesù consolava e lodava le vedove che incontrava (Mc 12,43;  Lc 7,13).
Seguendo l’insegnamento del messia la Chiesa dei primi secoli del cristianesimo cercò di occuparsi delle necessità delle vedove (At 6,1). Se non hanno più parenti (1 Tm5,16), la comunità cristiana deve prendersene cura, come esige la vera pietà (Gc 1,27).

Paolo di Tarso
per evitare pericoli di cattiva condotta delle giovani vedove, in alcune sue lettere auspica per loro un secondo matrimonio se non riescono a vivere in castità (1 Cor. 7, 9 – 39; 1 Tim. 5, 13 – 15), altrimenti è meglio rimanere caste vedove come opportunità che apre all’azione di Dio.

Il teologo Girolamo, Padre e dottore della Chiesa, nel “De viduitate servanda” consiglia preghiere, rinunce ed offerte finanziarie alle ricche ed aristocratiche vedove sue seguaci abitanti a Roma. Queste donne avevano  formato dei gruppi di studio della Bibbia e di preghiera collettiva. Una di loro si chiamava  Melania, ricca gentildonna di origine spagnola. Le erano morti due figli ed era rimasta vedova in giovane età. Decise di non risposarsi ed affidò ad un tutore l’unico figlio vivente per dedicarsi alla vita religiosa. 

Agostino, vescovo di Ippona, nel “De bono viduitatis” consiglia il voto di castità alle donne cristiane vedove.  La pia continenza, dice Agostino, è grazia di Dio che si ottiene con la preghiera e la lettura della Sacra Scrittura come nutrimento dell’anima.

Le vedove consacrate che contraevano seconde nozze venivano considerate scomunicate.

Pure il vescovo di Milano, Ambrogio, scrisse un trattato sulle vedove, il De Viduis ove illustra i meriti della viduità (vedovanza)  accettata per amore di Dio. 

Dal VI secolo cadde in disuso la consacrazione delle caste vedove dedite al servizio della Chiesa.

Dopo circa 15 secoli, nel 1957, il pontefice Pio XII in occasione di un congresso dedicato all’infanzia orfana di padre (anche a causa della seconda guerra mondiale),  rivolse alle vedove un messaggio di speranza, poi utilizzato nel Concilio Vaticano II e successivamente dal pontefice Giovanni Paolo II per l’esortazione apostolica “Vita consecrata” ( ripeto: “consecrata”, non “consacrata”), pubblicata il 25 marzo 1996. Nel paragrafo 7 di questo documento si evidenzia che: “Torna ad essere oggi praticata anche la consacrazione delle vedove (Ordine delle vedove = Ordo viduarum), nota sin dai tempi apostolici (cfr. 1 Tim. 5, 5. 9-10; 1 Cor 7,8), nonché quella dei vedovi. Queste persone, mediante il voto di castità perpetua quale segno del regno di Dio, consacrano la loro condizione per dedicarsi   alla preghiera e al servizio della Chiesa”.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #20 il: Novembre 05, 2016, 16:11:59 »
Per  la Bibbia il matrimonio è molto più di una convenzione sociale: è un’unione sacra tra un uomo ed una donna.

Nell’Antico Testamento c’è scritto che “Dal principio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina.  Per questo motivo l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne” (Genesi 2: 24).
Prima di dare una moglie al primo uomo Dio disse: “Non è bene che l’uomo stia solo. Gli farò un aiuto come suo complemento”. (Genesi 2, 18). E Dio creò la donna per essere il complemento dell’uomo.

Nel Nuovo Testamento: "In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “E’ lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”  Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19, 3 - 6).

Dell'indissolubilità del matrimonio ne parla anche l'evangelista Marco (10, 1 - 12) e l'aposto Paolo nella Lettera agli Efesini (5, 22 - 32).

 La Chiesa dei primi secoli aveva una propria idealità etico-religiosa della vita matrimoniale, ma non aveva una propria  tipologia di matrimonio. Consentiva ai fedeli di sposarsi secondo il diritto romano o secondo le regole o le consuetudini dell’ambiente sociale in cui vivevano, eliminando però il sacrificio animale agli dei, l’aruspice e gli eccessi del corteo nuziale. L’haruspex fu sostituito dal presbitero, che si limitava a benedire gli sposi, che esprimevano la loro volontà di essere marito e moglie. Il cristiano poteva sposare una pagana e viceversa. Successivamente, però, la Chiesa proibì i matrimoni misti.

Per il diritto romano il matrimonio era un atto privato fra due individui. Era necessario il consenso alle nozze espresso dagli sposi come fatto costitutivo dello sposalizio, che aveva effetti civili. I cristiani si sposavano senza la presenza del sacerdote. Se era presente nella comunità, si limitava a benedire il letto coniugale o il tavolo del pranzo nuziale.

Le nozze ed il convivio di solito si espletavano in casa, ed anche in Palestina, dove Gesù, a Cana di Galilea, proprio in occasione di un matrimonio ebbe modo di compiere il suo primo miracolo : la tramutazione dell’acqua in vino. L’evento è narrato nel Vangelo di Giovanni.
Con lo sviluppo  delle comunità cristiane aumentò la cura pastorale della Chiesa per il matrimonio. Vennero proibite le nozze tra individui legati da alcuni gradi di consanguineità o di affinità,  quelle tra cristiani ed ebrei e  tra cristiani e pagani.

Tertulliano non ammetteva che un cristiano potesse sposare una persona che non conoscesse Gesù Cristo (cfr. A uxorem II,2; De corona 13). E qualificando i matrimoni misti come veri e propri “stupra”, invitava le vedove che avessero voluto sposarsi a seguire l’insegnamento dell’apostolo Paolo (1 Cor. 7,12-16) e ad unirsi in matrimonio soltanto con un uomo cristiano. Analogamente Cipriano ribadì i termini del divieto del “matrimonium cum gentilibus non iungendum”; egli associava i matrimoni misti ai peccati carnali e li riteneva una delle cause principali delle persecuzioni contro i cristiani.

Nel 314 al Concilio di Arles venne decisa la scomunica per le ragazze cristiane che sposavano i pagani. Scomunica confermata nei Concili di Laodicea (343) e di Ippona (393).

Nel IV secolo ci furono altri sfavorevoli ai matrimoni misti. Il vescovo di Milano, Ambrogio, esortava a condannare i matrimoni misti, qualificandoli come non veri sul piano teologico. Tuttavia la questione della validità delle unioni miste era ancora aperta nel V secolo, visto che Agostino, pur mettendo in risalto i pericoli che potevano comportare, evidenziava chiaramente che non erano proibite nel Nuovo Testamento e non potevano essere ritenute in alcun modo viziose (cfr. De fide et operibus 21). Certamente il fatto che nei primi secoli gli obblighi del matrimonio derivanti dalla fede non siano stati compresi nello stesso modo da tutti gli autori cristiani dimostra che nelle diverse situazioni contingenti nelle quali la Chiesa si venne a trovare non sempre vennero ritenute vincolanti le coeve deliberazioni conciliari.

Agostino fu il primo teologo a considerare il matrimonio un sacramento istituito da Cristo. Nel  “De nuptiis” (11) e nel “De bono coniugali”(24, 32) scrisse che lo sposalizio è giustificato da tre funzioni: proles (procreare i figli), fides (essere fedeli per evitare l’adulterio) e sacramentum: l'indissolubilità del matrimonio come unione divina voluta da Dio fin dall’inizio del creato.
Agostino pur affermando l’uguaglianza spirituale tra maschio e femmina, ribadì la sottomissione della donna al marito. A Ecdicia ricordò i doveri della moglie: “Alla moglie non è lecito dire: ‘Del mio faccio quel che voglio’, dal momento ch’essa non appartiene più a se stessa, ma al suo capo, cioè al marito”, perciò deve essere a lui sottomessa, come fece l’obbediente Sara che chiamava il marito Abramo: “mio signore” (1Pt 3, 5 – 6).

Nel IV secolo emerse anche l’esigenza di accompagnare la celebrazione del matrimonio con atti di significato religioso: preghiere, benedizione degli sposi, Messa nuziale, per la quale vennero elaborati i primi testi liturgici. E vennero consolidati due importanti valori, quello della fedeltà coniugale e quello dell’indissolubilità del matrimonio:

il patto di fedeltà, imposto senza distinzione all’uomo ed alla donna, era molto innovativo in quel tempo, perché instaurava un principio di parità tra i due sessi;

l’indissolubilità del vincolo coniugale impegnava ed impegna gli sposi cristiani a restare uniti per tutta la vita, non consentendo loro di utilizzare le possibilità di divorzio offerte dalle legislazioni dell’epoca.

Nell’VIII secolo la Chiesa d’Oriente considerò legittimo il matrimonio tra cristiani solo se celebrato in chiesa alla presenza del sacerdote e con la benedizione nuziale. Tale modalità si estese anche in Occidente.     

Dall’ epoca carolingia cominciò ad espandersi la tendenza di ridurre ad un’unica occasione sponsalia e nozze alla presenza di un sacerdote e di due testimoni.

Nell’XI secolo il matrimonio non è più un istituto regolato dalle leggi civili, ma è sottoposto, in ogni suo aspetto, al diritto e all’autorità della Chiesa. Il diritto canonico stabiliva i requisiti necessari per la validità del matrimonio; fissava e disciplinava i diritti e gli obblighi derivanti dallo stato coniugale. L’autorità ecclesiastica risolveva controversie riguardanti lo stato matrimoniale delle persone, all’autorità civile, invece, era demandata la regolamentazione degli aspetti economici, che non incidono sul vincolo coniugale.

Nel XII secolo la Chiesa d’Occidente stabilì per le nozze due fasi, con la presenza del presbitero. La cerimonia introduttiva veniva svolta sul sagrato della chiesa, dove la coppia esprimeva la volontà di sposarsi. I due dovevano parlare a voce alta, per evitare le unioni combinate dalle famiglie contro la volontà dei nubendi. Dopo il pubblico annuncio del consenso i due sposi entravano in chiesa fino all’altare, dove il sacerdote, alla presenza di due testimoni di nozze, celebrava la Messa nuziale ed impartiva la benedizione

Nel 1215 la parte liturgica del matrimonio fu regolamentata dal Concilio Lateranense IV, mentre nel 1439 il Concilio di Firenze disciplinò gli aspetti giuridici. In occasione del Concilio Lateranense IV la Chiesa cattolica per la prima volta impose l'uso delle pubblicazioni per evitare i matrimoni clandestini o le convivenze di fatto. Inoltre, fu solennemente proclamato che il matrimonio tra cristiani è un sacramento.

La Riforma protestante contestò la natura sacrale del matrimonio. E Martin Lutero considerò ammissibile il dìvorzio nei casi di infedeltà, impotenza, rifiuto di rapporti sessuali, ed abbandono. Egli difese la possibilità di nuove nozze per il partner offeso.

Filippo Melantone, discepolo di Lutero, limitò il divorzio all'infedeltà ed all'abbandono. Anche i riformatori Calvino e Beza permisero il divorzio dopo l'adulterio del partner.

Per reazione alla liberalità protestante, nel 16/esimo secolo la Chiesa cattolica nel Concilio di Trento fece elevare a legge canonica l'indissolubilità del matrimonio cristiano. Divorzio e nuove nozze furono ufficialmente banditi anche nei casi di adulterio.

Questa situazione di “monopolio” ecclesiastico sul matrimonio cominciò ad incrinarsi con la ripresa ed il rafforzamento del potere statale, che si delineò all’inizio dell’età moderna. Al sistema giuridico canonico della Chiesa si cercò di affiancare le prescrizioni tendenti a salvaguardare determinati interessi di ordine sociale.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #21 il: Novembre 17, 2016, 07:13:26 »
Dal secondo al quarto secolo della nostra ci furono dibattiti cristologici  per affermare Gesù = Dio, che si è “incarnato” come Figlio di Dio nascendo da donna. E Maria, madre di Gesù Cristo e vergine per volere divino,  divenne oggetto di devozione e culto da parte dei cristiani, coinvolgendo la liturgia, l’arte e la letteratura.

Maria ponendosi al servizio di Dio, permette l'entrata nel mondo di Gesù il “salvatore”  (Lc 1, 38).

Maria la “theotòkos”:  = “colei che genera Dio”, più brevemente in italiano “Madre di Dio”; in latino “Deipara” o “Dei genetrix”. Il titolo onorifico di “theotòkos” le fu dato il 22 giugno del 431 durante il Concilio di Efeso.

La maternità di Maria garantisce l’umanità di Cristo; la sua verginità (prima e durante il parto) per volere di Dio ne tutela la divinità. Per i teologi la concezione ed il parto di Maria sono miracolosi, non corrompono la sua verginità carnale. Quindi niente travaglio, né cordone ombelicale da recidere.

Nell’alto medioevo nelle scuole carolingie e nell’ambito monastico venne esaltata la perpetua verginità di Maria, l’assenza in lei del peccato originale.  I teologi elaborarono “verità” dottrinali per tutelare l’inviolabilità della purezza di Maria. Indicata come esempio di virtù, la sua verginità divenne modello per la Chiesa e per le donne consacrate. Anche per gli uomini consacrati Maria è l’ideale mistico di donna.

Maria, secondo la Chiesa, partecipa, anche se in forma subordinata, alla vittoria di Cristo sul peccato.

In alcuni concili del periodo tardo antico e altomedievale,  indetti  anche per confutare le eresie cristologiche che negavano l’umanità di Cristo (monofisismo) o lo separavano dalla divinità (nestorianesimo) si discusse del ruolo di Maria nell’ambito della cosiddetta “salvezza”.

Salvezza da cosa ? Nel Nuovo Testamento per  “salvezza” (in latino salus, da cui deriva anche “salute”) s’intende la liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze temporali ed eterne,  anche se il suo compimento è escatologico: riguarda i destini finali dell’umanità e dell’universo. 

La salvezza si ottiene solo tramite Gesù, perché è il Figlio di Dio incarnato, secondo il vangelo di Giovanni (3, 16). E per il credente la salvezza diventa realizzabile tramite lo Spirito Santo, che nella tradizione cristiana è lo Spirito di Dio.

I monaci di Cluny  (secoli XI – XII)  e gli scritti di Bernardo di Chiaravalle su Maria  favorirono la devozione mariana, con attenzione specifica al suo ruolo di mediatrice di “salvezza”. 

Nella preghiera dell’Ave Maria viene invocata come “Madre di Dio”, come tale è oggetto di devozione e culto da parte della cristianità.
 
La religione cristiana celebra ogni anno a Natale la nascita di Gesù, incarnazione di Dio, ma nell’iconografia e nell’arte non ci sono rappresentazioni del momento della nascita di Gesù: viene raffigurata solo la gravidanza di Maria, come nella famosa “Madonna del Parto” affrescata nella metà del Quattrocento da Piero della Francesca a Monterchi, in provincia di Arezzo, nella cappella di Santa Maria di Momentana. L’affresco è ora conservato in un museo locale.



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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #22 il: Novembre 24, 2016, 12:06:12 »
Ascetismo: è una parola di origine greca, significa “esercizio”, riferita nell’antichità all’allenamento degli atleti per acquisire le doti corporee per vincere. Il termine fu  poi ampliato di significato dai filosofi cinici e stoici per indicare l’educazione spirituale per dominare le passioni.

Le pratiche ascetiche inducono alla svalutazione corporea tramite solitudine, rinunce, astinenze, digiuni, repressione del desiderio sessuale (scambiato per diavolo tentatore), flagellazioni, ecc.,  al fine di raggiungere la spiritualità: questa non è collegata ad una religione, ma la pratica spirituale induce alla trascendenza, alle domande esistenziali  sul significato della vita e della morte.

Nell'individuo convivono due “nature”: quella materiale e quella spirituale. Chi considera soltanto la realtà materiale, apparente, vive soltanto nel mondo, invece la realtà spirituale, non dimostrabile, è uno stato del nostro Essere interiore.

La spiritualità deriva dall’esperienza religiosa  del credente che prega e cerca continuamente la volontà di Dio su di lui.

L’ascetismo può essere  “intramondano” od “extramondano”. L’ascetismo terreno è quello praticato da persone ascetiche che vivono ed operano nella quotidianità. L’ascetismo “ultraterreno” è quello attuato da persone che  preferiscono l’isolamento, come gli eremiti, o nel ritiro in una comunità cenobitica, come i monaci.  E' noto, per esempio, l’eremita Antonio (il calendario lo commemora il 17 gennaio: sant’Antonio abate), che visse in Egitto,  ma c’erano anche le donne, cosiddette “Madri del deserto” (ammas), come Sincletica (266 – 350), Maria, sorella di Pacomio (fine del III secolo), Teodora di Alessandria d’Egitto (fine del IV secolo). La loro scelta di vita solitaria attrasse altre donne che poi confluirono nel monachesimo femminile.
 
Fra le motivazioni che inducevano le donne verso la vita ascetica  c’erano le dure condizioni reali e le difficoltà che incontravano nella quotidianità dei rapporti con gli uomini. Nel contesto coniugale i rapporti sessuali erano un dovere da sopportare con rassegnazione. La donna era obbligata ad avere rapporti sessuali, anche brutali, ogni volta che lo desiderava il marito, spesso imposto dalla famiglia e di età avanzata. Ogni coito, inoltre, poteva provocare una gravidanza e il parto significava sofferenza, spesso la morte. Alla partoriente non era risparmiata alcuna forma di dolore nel travaglio perché condannata ad espiare il peccato di Eva (il cosiddetto “peccato originale” (Genesi 3, 16). Le pratiche ostetriche potevano creare lesioni alla madre o mutilazioni al bambino; le emorragie e le infezioni puerperali causavano frequenti morti per parto. Anche gli aborti con l’uso di erbe e rischiose tecniche strumentali, causavano molte morti femminili. Non meravigliano, allora, le numerose testimonianze di ragazze che rifiutavano il matrimonio per aderire alla fede cristiana e di tante vedove che rinunciavano al secondo matrimonio per dedicarsi alla preghiera, al raccoglimento, alla carità e all’evangelizzazione. Per esempio la regina Radegonda (520 – 587), che  fuggì per sottrarsi a Clotario, marito assassino, e per fondare un monastero nel quale ritirarsi con altre donne nella vita consacrata come rifugio e sicurezza. Fattasi ordinare diaconessa dal vescovo Medardo, Radegonda fece del monastero di Poitiers un luogo di meditazione e pacificazione.

Le prime protagoniste della vita monastica in Occidente furono le nobili riunite a Roma intorno al cenacolo della vedova  Marcella (330 – 410), legate da amicizia spirituale e culturale con Girolamo (san Girolamo). La domus di Marcella era frequentata da vergini e vedove, preti e monaci per studiare la scrittura. Dopo il 373 divenne un luogo di propaganda monastica e di proselitismo con l’aiuto del vescovo e teologo Atanasio di Alessandria d’Egitto  (venerato come santo), che fece loro conoscere gli esempi di esperienza religiose alessandrine.

Col tempo il monachesimo femminile divenne una fenomeno sociale elitario, in particolare dall’epoca carolingia, per le figlie dell’aristocrazia, spesso obbligate. Alcune sceglievano la vita religiosa per obbedire alle strategie familiari, altre per scelta. Le donne di condizione umile vi entravano come “servitrices” (chiamate poi “converse); solo alle aristocratiche spettava il ruolo preminente di direzione.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #23 il: Novembre 30, 2016, 06:39:24 »
Badessa: forma abbreviata di “abadèssa”: è la superiora di un monastero autonomo di monache.
Badessa deriva dal  tardo latino “abbatĭssa”, femminile di “abbas”,  cioè "abate".

Nel medioevo nei monasteri femminili le badesse ebbero potere, ruolo strategico e politico per rendere stabile e visibile il prestigio e l’autorità delle famiglie nobili da cui discendevano. Esse gestivano il potere economico, sociale e religioso nell’area territoriale di competenza. Per esempio,  la monaca Lioba, badessa del monastero di Wimborne, nel Wessex (Inghilterra),  fu anche consigliera alla corte di Carlo Magno. Dall’Inghilterra si trasferì in Germania, chiamata dal suo parente Bonifacio (san Bonifacio) e fu nominata badessa del monastero di Tauberbischofheim.

Nei monasteri femminili fra le varie mansioni si praticava  pure l’attività scrittoria. Le monache elaboravano codici, manoscritti, raccolte di preghiere, opere letterarie, come nel monastero  delle canonichesse di Gandersheim, nella Bassa Sassonia, in Germania. Di fondazione imperiale, questo monastero  non era soggetto all’autorità vescovile. Aveva un proprio esercito, un proprio tribunale, un rappresentante alla Dieta imperiale, la facoltà di coniare monete. Qui le canonichesse, figlie nubili dell’alta nobiltà, conducevano una vita pia. Avevano il privilegio di conservare il proprio patrimonio e non avevano l’obbligo della “professione solenne”: nella Chiesa cattolica significa l’emissione in perpetuo dei  voti religiosi (di povertà, castità ed obbedienza) da parte di chi entra in modo definitivo in un Ordine religioso.  Esse avevano libertà di movimento, di studiare ed avere scambi culturali anche con uomini.
Una delle canonichesse più conosciute dell'abbazia fu la badessa Roswitha (935 – 973) nota per essere stata la prima poetessa donna in lingua tedesca. Scrisse poemi storici, scritti spirituali e testi teatrali, nonché le “Gesta Ottonis” per celebrare la dinastia degli Ottoni.


Abbazia di Gandersheim


Facciata della chiesa abbaziale.

Le badesse erano vere e proprie sovrane nel territorio da loro amministrato. Avevano la giurisdizione  sul clero e sulle popolazioni locali. 
Nel monastero spagnolo di Las Huelgas, fondato nel 1187 dal re Alfonso VIII per volere della moglie Eleonora d’Inghilterra, la “domina abbatissa” aveva ampi poteri temporali e spirituali su territori della Castiglia e del Leòn: riceveva obbedienza e sottomissione  dai monaci, permetteva al clero di amministrare i sacramenti; lei stessa aveva il privilegio di battezzare, confessare e predicare; rilasciava licenze matrimoniali, aveva giurisdizione in materia giudiziaria, emetteva censure ecclesiastiche ed infliggeva scomuniche nell’ambito territoriale di competenza. In sintesi esercitava un’attività governativa, aveva il privilegio di confermare le badesse di altri monasteri e di convocare i sinodi.

Dopo il XII secolo molte funzioni delle badesse furono riservate solo al clero maschile, in linea con la ridefinizione del termine “ordinazione” e del ruolo del clero come unico mediatore della grazia di Dio.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #24 il: Dicembre 07, 2016, 06:20:18 »
Regine. Nel Medioevo la condizione di inferiorità sociale della donna era ratificata dagli ordinamenti giuridici, però la nobile che poteva esercitare il potere, che poteva esplicare la sua autorità, superava le norme giuridiche, le consuetudini.

Il potere femminile in molteplici espressioni, veniva elogiato o biasimato dai Padri della Chiesa o da altri cristiani  a seconda di come era esercitato: se per il bene della Chiesa o per danneggiarla. In quest’ultimo caso quel potere femminile veniva demonizzato, come nel caso della biblica regina Gezabele che introdusse nel regno di Israele il culto pagano.
Nella Tanakh Gezabele è una regina dell'antico Israele, la cui storia è narrata nel libro 1 dei Re.  Fu una principessa fenicia, figlia del re Ithobaal I di Tiro, che sposò il re ebreo Acab. Ella convinse il marito a disconoscere il Dio dei Giudei per dedicarsi alla venerazione di Baal, scatenando l'ostilità dei sacerdoti ebrei e del profeta Elia. Tale regina è  simbolicamente evocata come falsa profetessa nel giovanneo libro dell’Apocalisse (2,20): “Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Gezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli”. Essa evocò nel Medioevo un esempio negativo del potere femminile.

Al contrario, la madre dell’imperatore romano Costantino I, la regina Elena, fu considerata esempio della sovrana devota che conduceva alla fede cristiana, perciò fu proclamata santa.

Nel ruolo di guida nella fede ci furono nella Chiesa cattolica altre regine attive nell’evangelizzazione e conversione forzata di popoli cosiddetti “barbarici”: Clotilde (475 – 545) regina dei Franchi; Teodolinda (570 – 628) regina dei Longobardi; Adelaide di Borgogna (931 – 999) reggente del Sacro Romano Impero; si ritirò infine nel monastero di Seltz, in Alsazia, e dopo la morte fu venerata come santa dalla Chiesa cattolica.

Diversamente dalla tradizione dell’impero romano d’Occidente che, ostile al potere delle donne, le escludeva dalle cariche pubbliche, la cultura bizantina nell’Impero Romano d’Oriente ammetteva la regalità femminile: la moglie del re non solo condivideva la sovranità del marito, ma, se vedova, aveva la reggenza in attesa della maggiore età del figlio maschio e trasmetteva il potere con un nuovo matrimonio. Il principio dinastico, contrariamente alla monarchia militare elettiva presente nelle popolazioni barbariche, consentiva alle donne di esercitare il potere.

Nella società medievale basata sui rapporti parentali, il potere veniva concesso ad una famiglia dominante che riusciva a controllare, anche con la violenza, territori e città e si attuava con il passaggio dinastico da padre a figlio: le donne costituivano oggetto di scambi matrimoniali, indispensabili per la procreazione, trasmissione e conservazione del potere.
Come mogli dei sovrani le donne potevano svolgere il ruolo di reggenti o di vicarie  (consortes regni) quando i mariti erano impossibilitati a governare per assenza  dal regno o per malattia; in quanto madri, assunsero il potere come “madri tutrici”, in nome del figlio minore; in quanto figlie, succedevano al padre qualora non vi fossero stati fratelli.

Di governo femminile si hanno esempi dal IV secolo, quando Pulcheria (399 – 453) e Galla Placidia (386 – 450) guidarono gli imperi d’Oriente e di Occidente. Pulcheria in nome del fratello Teodosio II, Galla Placidia per conto del figlio Valentiniano III.

Anche nel periodo di transizione tra il dominio romano e quello barbarico (VI secolo) non fu inconsueto l’esercizio del potere femminile , in particolare da parte di madri tutrici di figli minori. Per esempio, Amalasunta (500 – 535), figlia del re ostrogoto Teodorico, alla morte del padre nel 526 regnò per otto anni per conto del figlio Atalarico, ancora minorenne, da lei stessa istruita nella complessa arte del governare. Procopio di Cesarea la descrive come donna che “tenne il comando con saggezza e giustizia, dimostrando nei fatti un temperamento mascolino” (La guerra gotica V, 2, 2-3). Morto Atalarico, Amalasunta sposò Teodato e lo associò al trono come “consors regni”; questi, però, nell’intento di rafforzare la propria posizione tra i Goti, avversi ad Amalasunta perché non tolleravano che fosse una donna a governare, la fece uccidere.

Teodora (502 – 548), moglie di Giustiniano ed imperatrice d’Oriente, considerata complice dei Goti nell’uccisione di Amalasunta, aiutò il marito nella gestione del potere con le sue capacità decisionali. Essa riuscì ad imporsi non solo nell’ambito politico ma anche religioso: favorì i monofisiti ritenendo utile mantenere compatto l’Impero romano d’Oriente.

Relativamente al cristianesimo bizantino è da evidenziare come Bisanzio si distinse per l’importanza attribuita al culto di Maria “Theotòkos” (= Madre di Dio) e per la possibilità di accesso delle donne al potere imperiale. L’imperatrice Irene (753 – 803), moglie dell’imperatore Leone IV, rimasta vedova nel  780, governò per dieci anni in nome del figlio Costantino VI, poi regnò insieme a lui per sei anni, fino al momento in cui lo fece deporre ed accecare. Governò da sola per altri cinque  anni. Fu la prima donna nella storia europea a ricoprire il ruolo di monarca  sovrano. Venne deposta nell’802 da una rivolta.

Carlo Magno, non riconoscendo il legittimo potere di Irene imperatrice bizantina, in quanto donna, si fece incoronare imperatore dal papa  nell’anno 800: in questo modo, nel contrapporsi ad Irene, contribuì al rifiuto in Occidente del potere femminile.

I papi non trascurarono i ruoli delle regine, consapevoli dell’influenza che potevano esercitare sui loro popoli. Papa Gregorio Magno cercò di influenzare l’imperatrice bizantina Costantina (560 – 605), la longobarda Teodolinda, la visigota Brunilde (545 – 613), le merovinge Berta (560 – 616) e Batilde (630 – 680).

Queste donne dalla forte personalità non esitarono a far torturare ed uccidere i loro oppositori. Far parte delle logiche del potere significò acquisirne i mezzi e renderli funzionanti agli interessi personali della famiglia e della Chiesa.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #25 il: Dicembre 12, 2016, 15:58:55 »
Il 15 luglio 1099 Goffredo di Buglione, a seguito della prima crociata, conquistò Gerusalemme, e diede origine ad un regno che durò  fino al 1291. Quei circa duecento anni videro la presenza di regine dalla energica personalità: Melisenda, Agnese di Courtenay, Sibilla, Maria Comnena, Isabella, Maria di Monferrato, Isabella II.

Un caso particolare di autorità femminile è quello denominato “pornocrazia romana” o “governo delle prostitute”: con riferimento a Marozia e Teodora, due donne che dominarono la vita politica romana e l’elezione papale, nel periodo della storia del papato che va dall’888 (quando l’autorità imperiale venne meno e l’Europa fu coinvolta dal caos politico) al 1046. 

Il problema cominciò con l'incoronazione di Carlo Magno nell'anno 800: si venne a creare la concezione dei due “poteri universali”, quello laico e quello religioso,  che ebbe tanta influenza nei secoli a venire, specialmente nell'XI secolo con la “lotta delle investiture”. I due poteri universali reggevano il mondo e si "autolegittimavano" a vicenda: il papa governava la cristianità per condurla alla “salvezza eterna” e come vicario di Cristo consacrava l’imperatore, deputato a governare il “mondo” assicurandogli stabilità politica.
Questa duplice diarchia, così ben costruita a livello teorico, era però suscettibile a vari fattori, tra i quali spiccava la sicurezza militare offerta dall'imperatore nei confronti del Papa. Finché sul trono ci fu 'energico Carlo Magno il papato poté godere di una certa autonomia politica e protezione dalla rissosa nobiltà romana. Quando però il “Sacro Romano Impero” fu in crisi a seguito dei contrasti tra Ludovico il Pio e i figli (anni '30 dell’800) per poi dissolversi nell'888, il trono di Pietro divenne preda delle fazioni locali, screditando così la sua missione spirituale.

Il cardinale Cesare Baronio negli “Annales ecclesiastici” definì “saeculum obscurum” il periodo dal 1046 al 1122,anno in cui fu firmato il Concordato di Worms. “Secolo oscuro” per modo di dire, perché la Chiesa cattolica fu coinvolta da una serie di riforme, la più nota è quella gregoriana, dal nome del pontefice Gregorio VII, eletto al soglio pontificio nel 1073, rimasto famoso  per il ruolo svolto nella “lotta per le investiture”, che lo pose in contrasto con l’imperatore tedesco Enrico IV, quando questo decise di nominare il chierico Tedaldo alla diocesi di Milano divenuta vacante.
 
Il 24 gennaio 1076 a Worms, in Germania, fu convocato dall’imperatore Enrico IV un sinodo di vescovi tedeschi per rispondere al divieto delle investiture laiche degli ecclesiastici stabilito da Gregorio VII. L’assemblea episcopale dichiarò decaduto il papa dalla sede pontificia. Gregorio VII reagì scomunicando Enrico IV e sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà all’imperatore.

Nell'inverno fra il  1076 ed il 1077  Enrico IV per ottenere la revoca della scomunica da parte di papa Gregorio VII fu costretto ad umiliarsi al pontefice nel castello di Canossa (prov. Di Reggio Emilia), feudo della marchesa Matilde di Canossa, la quale cercò di mediare tra papato ed impero ed ebbe un ruolo da protagonista nella lotta per le investiture, finendo per schierarsi con la riforma ecclesiastica voluta da Gregorio VII. Ma dovette subire rivolte e tradimenti che la portarono ad essere addirittura vittima di feroci gossip, come li chiameremmo oggi, da parte dei propri avversari politici che non esitarono ad accusarla di essere la meretrice del papa.
 
La città di Worms dà anche il nome al concordato firmato nel 1122 fra l'imperatore Enrico V di Franconia e papa Callisto II. Con tale atto i due contraenti si impegnavano a rispettare i limiti delle proprie competenze nell'investitura dei vescovi-conti: la Chiesa aveva il diritto di nominare i vescovi, mentre l'imperatore conservava la prerogativa di conferire loro i poteri politici e civili.

La figura dei vescovi-conti era stata istituita dall'imperatore Ottone I di Sassonia (936 – 973) per avere  funzionari statali fedeli al potere centrale, in antagonismo ai feudatari laici. Il vantaggio per l'imperatore era che il vescovo-conte dopo la morte non lasciava eredi legittimi e pertanto il feudo ritornava nelle mani dell'imperatore.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #26 il: Dicembre 15, 2016, 08:26:52 »
il rapporto tra teologia e le donne per secoli è stato problematico.

Nel passato la condizione femminile fu oggetto di riflessione teologica ed argomento della predicazione riguardante il “peccato originale” ed Eva tentatrice, “agente di Satana”.

Tertulliano:“Donna, tu sei la porta del diavolo. Sei colei che ha toccato l'albero di Satana e violato la legge divina ". Questa proposizione evidenzia la misoginia patriarcale causata dalla tradizione biblica, da cui è emersa la teologia cristiana, usata per rafforzare l'ordine sociale patriarcale in Occidente.

Il cristianesimo non progettò il patriarcato, ma le teologie cristiane nel passato contribuirono ad affermarlo. Forse perché la Chiesa stessa ha adottato questo ordine nella sua struttura interna, anche se Gesù chiamò uomini e donne nel discepolato di uguali.

Alcune frasi nelle Lettere attribuite a Paolo di Tarso rafforzarono l’errata opinione della donna colpevole, esposta alla seduzione del Male. Come tale doveva essere necessariamente sottomessa all’uomo: “La donna impari in silenzio, con perfetta sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato; ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza” (I Tim I, 11 – 15).

La letteratura e l’arte iconografica comunicarono con efficacia persuasiva tale concezione paolina. Il serpente era spesso raffigurato con il volto di donna. Significative varianti iconografiche sono nei mosaici bizantini del XII secolo della Cappella Palatina di Palermo e in una miniatura del XIV secolo (Bibbia angioina) realizzata dal napoletano Cristoforo Orimina: i due “progenitori” sono rappresentati mentre raccolgono insieme il frutto proibito.

Nel “Malleus maleficarum”, il manuale per gli inquisitori pubblicato nel 1486, si afferma la teologia  della subordinazione femminile, fino a giungere alla creazione ideologica della “donna strega”, per natura incline al Male.

Non sempre, però, gli uomini di Chiesa divulgarono pensieri negativi della femminilità. Alcuni esempi.  Il filosofo Abelardo (1079 – 1142) aiutò le monache a trovare la propria identità claustrale nel ruolo positivo delle donne nella Bibbia e nella storia della Chiesa (Lettera VII ad Eloisa).  Il monaco Guglielmo da Vercelli (1085 – 1142) fondò il Goleto, un monastero doppio, femminile e maschile, governato da una badessa. Il riformatore Pietro Valdo (1140 – 1218) era accompagnato dalle donne nella predicazione itinerante.

L’esegesi dei teologi medievali legittimava l’inferiorità della donna in vari ambiti: quello fisico (perché nata dall’uomo e in sua funzione: “sarai a lui sottomessa”, Genesi), quello morale (in quanto incapace di scelta etica: è lei che induce Adamo a trasgredire) e quello giuridico (in quanto considerata soggetta alla tutela dell’uomo: padre, marito, guida spirituale del prete).

La pregiudiziale antropologica che riteneva naturale la superiorità maschile, si rafforzò con l’affermarsi della riforma gregoriana. Nell’XI secolo la Chiesa era in crisi per la frequente simonia (vendita di cariche ecclesiastiche), per il nepotismo (successione di parenti alle cariche ecclesiastiche), per la presenza di numerosi religiosi senza vocazione, di preti incapaci, vescovi eletti dal potere politico che conducevano una cosiddetta “vita libertina”.  Il papa Gregorio VII, che pontificò dal 1073 al 1085, dette esecuzione alla riforma della Chiesa, iniziata nel 1046 e conclusa nel 1122 con il “concordato di Worms”. Tale riforma, una delle più estese ed incisive della storia cristiana, servì ad ostacolare la situazione di degrado morale, a modificare sistema delle investiture vescovili, e a trasformare la Chiesa in una istituzione monarchica dal potere centralizzato con l’esaltazione del primato di Pietro (“Dictatus papae2, del 1075).
L’operazione politica e teologica di rafforzamento del clero fu di tale portata da implicare il ridimensionamento dei laici  e la marginalizzazione delle donne. In modo particolare, le concezioni rigoriste del monachesimo riformato, orientate all’affermazione della purezza dei ministri di culto e l’inasprimento delle leggi contro il clero corrotto, tracciarono in maniera netta il ruolo del potere del prete, separato dal popolo. L’ambito temporale di competenza dei laici e delle donne era sottomesso alla sfera spirituale riservata ai soli chierici.
Leone IX, con il sinodo di Pasqua del 1049 a Reims, ribadì la regola del celibato, ma fu il Concilio Lateranense II del 1139 a considerare illecito ed invalido il matrimonio celebrato dai preti dopo l’ordinazione sacerdotale.
« Ultima modifica: Dicembre 15, 2016, 20:08:07 da dottorstranamore »

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #27 il: Dicembre 16, 2016, 13:58:47 »
Nel 1091 il benedettino tedesco Bernoldo di Costanza nel suo  “Chronicon” scrisse che numerose donne ed uomini del suo tempo cercavano di ricreare un’esperienza religiosa simile alla struttura della primitiva comunità cristianaTale scelta, però, era avversata dalle autorità ecclesiastiche perché non facilmente controllabili. Quei movimenti laicali  avevano una significativa presenza femminile: valdesi, catare, umiliate, premonstratensi, almariciane, beghine, tutte tentavano di esprimere la propria fede e di fare proselitismo con la predicazione itinerante, con il lavoro, la meditazione.

Le seguaci di Valdo annunciavano tempi nuovi predicando il Vangelo nelle strade e nelle piazze, ma la loro missione evangelizzatrice destava preoccupazione nella gerarchia ecclesiastica, con il conseguente intervento dell’Inquisizione. Le procedure istituite dal pontefice Lucio III nel 1184 con la bolla “Ad abolendam” per estirpare le eresie e condannare le devianze, permise al tribunale dell’Inquisizione di agire con maggiore libertà contro le trasgressioni teologiche o morali.

Papa Innocenzo III capì che l'insoddisfazione e i problemi dei ceti più umili erano facile preda dei predicatori, che senza molte difficoltà potevano diffondere movimenti ereticali nella popolazione, perciò nel 1210 dette un primo assenso orale alla creazione dell’Ordine religioso francescano, in accordo con  l'autorità gerarchica ecclesiastica.

Gli Ordini mendicanti, francescano e domenicano, creati nel XIII secolo per indirizzare nell’ortodossia le “pericolose” velleità di rinnovamento, ebbero la funzione di allontanare le donne da movimenti considerati eretici. Nella sua “Confessio fidei” del 1210, Bernardo Primo, fondatore dei “Poveri riconciliati” per riavvicinarsi alla Chiesa di Roma dovette giurare che nessuna donna avrebbe preso parte alla predicazione.

Nel 1298 papa Bonifacio VIII con il decreto “Periculoso et detestabili” stabiliva per le religiose la clausura perpetua come precetto assoluto: “per tutte le singole monache, presenti e future di qualsiasi congregazione e Ordine, in qualsiasi parte del mondo risiedano”, e indirizzava le donne verso la monacazione o verso il Terzo Ordine, non tollerando alcuna attività esterna che non fosse sotto il controllo dell’autorità ecclesiastica.

Particolarmente aggressiva fu la repressione nei confronti del “Movimento degli apostolici” di Gherardo Segalelli, messo al rogo nel 1300, condannato per la sua utopia di una Chiesa egualitaria, povera e penitente. Ebbero conseguenze anche i suoi discepoli, guidati da “Dolcino” (Davide Tornielli) e Margherita Boninsegna. Contro di loro nel 1306  il pontefice Clemente V bandì una crociata. I “dolciniani” si rifugiarono a centinaia sul monte Rubello, nel vercellese. Furono assediati per circa un anno e si arresero nel 1307.  Dolcino e Margherita vennero imprigionati, torturati ed arsi vivi.

La repressione del dissenso, la propaganda, la predicazione e l’insegnamento furono determinanti per “normalizzare” la vita dei credenti, il comportamento dei fedeli e delle donne in particolare, per essere funzionali alla società gerarchica e patriarcale, alla Chiesa clericocentrica.
 
Domenicani e francescani si rivolgevano alle donne tramite gli “exempla” ricavati dalle cosiddette “sacre scritture” per formare vergini ubbidienti, vedove caste, madri operose, indicando ruoli e compiti conformi ai modelli sociali cristiani.
La funzione pedagogica induceva i predicatori a modificare il testo biblico alle esigenze etiche e sociali, per rafforzare il ruolo laborioso ma passivo della donna nella famiglia.

Il teologo francescano Bernardino da Siena (1380 – 1444) in alcune sue prediche esaltava il matrimonio e l’importanza delle donne nella vita degli uomini, nel ruolo di mogli, madri ed educatrici. Nel contempo invitava i mariti ad aiutare la propria consorte nelle faccende domestiche, specie  se lei era in stato di gravidanza o aveva  bambini da accudire: “Tutta questa fadiga vedi che ella è sola della donna, e l’uomo se ne va cantando… E però… tu, marito… fa’ che tu l’aiti a portare la fadiga sua”.
 
Di una madre che si occupa del suo bambino dice: “Ella el fascia e fascia; ella el netta, ella el lava quando n’ha bisogno; ella l’adormenta quando el piagnie; ella il lusinga con cotali giocolini; ella il vuol fare venire a sé, e mostrali talvolta la saragia”.
 
Il frate inveisce contro quei mariti che trattano meglio le galline delle mogli, e avverte che dalla donna maltrattata si ottiene solo il contrario di quel che si pretende: “O pazzi da catena di molti,… che tali so’ che sapranno meglio comportare una gallina, che fa ogni dì un uovo fresco, che non comporteranno la propria donna… che come ella parla una parola più che a lui non pare, subito piglia il bastone e comincia a bastonare; e la gallina, la quale gracida tutto dì e tu hai pazienza di lei per avere l’ovicciuolo!”. Solo un uomo sciocco, dice Bernardino, picchia la moglie: “Così dico a te, marito, non dare busse a la donna, però che mai busse fecero buona la donna; farà meglio co’ le buone parole… mostrandole il suo errore”. E la donna che si sente “dispregiata, farà del male più che del bene”.

Raccomanda ai mariti di essere amorevoli e tolleranti con le spose novelle giovanissime, per far loro superare il trauma dell’aver abbandonato la famiglia d’origine. E aggiunge: “fra la donna e ‘l marito bisogna che sia delle più singolari amicizie del mondo… se uno è lordoso e l’altro è virtuoso non si accorderanno mai insieme, ma se tutti e due sono virtuosi et amansi di vero e buono amore generasi tanta amicizia che pare già fatto un paradiso”. Ed ancora: “Iddio non fece la donna dell’osso del piè dell’uomo, acciò che non se la mettessi per soggiogazione sotto de’ piedi. E no la fece dell’osso del capo dell’uomo, perch’ella non soggiogasse l’uomo. Fecela dell’osso del petto ch’è presso al cuore… per darti ad intendere che con amore l’ami come tua compagna”.

Bernardino si preoccupava pure del decoro personale delle donne:  le invita curarsi anche stando in casa, ma di non recarsi in chiesa agghindate: “Quando va alla chiesa, ella vi va ornata, lillata, inghiandata, che pare che la sia madonna Smiraldina, e in casa sta come una zambraca (pezzente)… ve ne dovreste vergognare…  che doveste stare meglio e più in ponto in casa col tuo marito, che in vescovado fra la gente”. 

In una predica elogia le donne  che sanno suonare, cantare, danzare, leggere e scrivere poesie: “La bellezza d’una donna è una bella grazia datale da Dio, quando ella è savia, e stalle molto bene…  io voglio che tu stia ornata e dilicata, ma con discrezione ogni cosa, e con modo onesto”.

Questo frate non  era contrario all’istruzione delle giovani donne: “istruite, foss’anche per lieggere solo la Bibia”. Perciò riteneva se non indispensabile almeno utile che anche le donne imparassero a leggere: per edificarsi coi testi sacri e devoti. Diceva che le letture avrebbero aiutato le ragazze a purgarsi da tante vanità: “Volite voi le vostre donne oneste? Fatele imparare lettera, che, t’avviso, che non possono stare senza diletto, e se farai si dilettino nelle Scritture, bon per te”, però avverte che ci sono libri che possono al contrario sollecitarne prurigini poco onorevoli. E invita a vigilare sulle giovani lettrici.

Bernardino oltreché elogiare le donne non aveva remore nel criticarle: “Superbe e lussuriose che si orientano verso le arti magiche e le seduzioni del demonio”. Per esse chiede lo sterminio: “E perciò dico che là dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda o incantatore o streghe, fate che tutte siano messe in sterminio per tal modo che se ne perde il seme” (da “Le prediche volgari”).
« Ultima modifica: Dicembre 16, 2016, 14:02:31 da dottorstranamore »

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #28 il: Dicembre 17, 2016, 09:11:43 »
Il “Malleus maleficarum” (= martello delle streghe) è un testo in latino della seconda metà del 15/esimo secolo  redatto dai dai frati inquisitori domenicani  Jacob Sprenger ed Heinrich Institor Kramer. Fu usato  come “manuale” per reprimere l’eresia, il paganesimo e la stregoneria in alcune zone della Germania.  Nello stesso secolo furono pubblicati sull’argomento altri testi, i più noti dei quali sono: il “Formicarius” (un trattato demonologico sugli “inganni dei malefici” (“De maleficis et eorum deceptionibus”, scritto dal frate domenicano tedesco Johannes Nider),  e il “De lamiis et phitonicis mulieribus” (Delle streghe e delle indovine) di  Ulrich Molitor.

Il “Malleus Maleficarum” non fu mai adottato ufficialmente dalla Chiesa cattolica, ma non fu neppure inserito nell'indice dei libri proibiti, anzi ricevette consensi della quasi totalità degli inquisitori e di autorevoli ecclesiastici, nonché di giudici dei tribunali statali.
Il libro è diviso in tre parti. La prima affronta la discussione sulla natura della stregoneria. Le donne, a causa del loro “intelletto inferiore” sono predisposte a cedere alle tentazioni di Satana. Alcuni degli atti confessati dalle streghe, quali ad esempio le trasformazioni in animali o mostri, sono illusioni indotte dal diavolo, mentre altre azioni, come la possibilità di volare ai sabba, provocare tempeste o distruggere i raccolti sono possibili. Gli autori, inoltre, si soffermano con insistenza sulla licenziosità dei rapporti sessuali, che le streghe intratterrebbero con i demoni.

La seconda parte riprende opinioni espresse nella prima e le approfondisce nel tentativo di far comprendere il modo di fare le stregonerie e il modo in cui si possono facilmente eliminare.

L'ultima parte dà istruzioni pratiche sulla cattura, il processo, la detenzione e l'eliminazione delle streghe. Discute di quanta fiducia si debba riporre nelle dichiarazioni dei testimoni, le cui accuse sono spesso perpetrate per invidia e malizia; tuttavia gli autori affermano che i pettegolezzi pubblici sono sufficienti a condurre una persona al processo e che, anzi, una difesa troppo vigorosa da parte del difensore è prova del fatto che anche quest'ultimo è stregato. Il manuale fornisce indicazioni su come evitare che le autorità siano soggette alla stregoneria e rassicura i lettori sul fatto che, in quanto rappresentanti di Dio, i giudici sono immuni dai poteri delle streghe.

Largo spazio è dedicato all'illustrazione di tecniche di estorsione delle confessioni e alla pratica della tortura durante gli interrogatori: in particolare è raccomandato l'uso del ferro infuocato per la rasatura dell'intero corpo delle accusate, al fine di trovare lo “stigma diabli”che ne proverebbe la colpevolezza.

L'Inquisizione torturò e bruciò sul rogo migliaia di persone. Erano accusate di stregoneria e di eresia contro i dogmi religiosi e giudicate senza processo, in segreto, col terrore della tortura.  Se “confessavano" erano dichiarate colpevoli di stregoneria, se invece "non confessavano" erano considerate eretiche, e poi arse sul rogo. 

Alcune personalità famose caddero vittime dell’Inquisizione.  La più nota è senza dubbio Giovanna d'Arco, la pastorella che assunse il comando dell'esercito, salvò la Francia dall'invasione nemica e rimise in trono il legittimo sovrano.  Fu però accusata di stregoneria ed eresia perché indossava i pantaloni e cavalcava come un uomo e fu quindi bruciata viva.  Ora però è canonizzata.

Il francescano Alvaro Pelayo, penitenziere alla corte papale di Avignone (dal 1309 al 1377) nel “De statu et planctu ecclesiae” espose 102 motivazioni per dimostrare l’inferiorità e la pericolosità della donna: “origine del peccato e arma del diavolo. Per Pelayo la donna doveva essere controllata ed esclusa da tutti gli incarichi pubblici.

Questa visione negativa del femminile e l’angoscia del diavolo trovarono nelle donne il capro espiatorio. La stregoneria, considerata fino ad allora una superstizione, e come tale tollerata, alla fine del quindicesimo secolo fu reputata eresia.

Gli inquisitori usavano fonti tratte dalla Bibbia e dalla letteratura classica per dimostrare le donne come soggetti infedeli  e lussuriose ed oggetto di particolare attenzione da parte del demonio. Le streghe potevano così compiere gli atti più delittuosi: evirare gli uomini, trasformarli in bestie, infliggere malattie, provocare l’aborto, uccidere i bambini e offrirli al diavolo.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #29 il: Dicembre 18, 2016, 09:59:46 »
Bellezza Orsini: strega ! Il 16 dicembre scorso è stato presentato il libro titolato: “Bellezza Orsini. La costruzione di una strega (1528), scritto da Michele Di Sivo e pubblicato dall’Associazione “Roma nel Rinascimento”.

Servendo nella nobile famiglia Orsini, a Bellezza fu concesso il cognome della casata.Ebbe modo di conoscere nobili e prelati, di viaggiare. Fu madre di tre figli.

Questa donna del Rinascimento sapeva leggere e scrivere. Praticava ciò che imparava dai primi libri di medicina ed erboristeria stampati in lingua volgare, divenendo una curatrice, nota nella zona della Sabina.

All’età di vent’anni cominciò a guarire qualche persona, ma anche a colpire –si disse-  con “fatture”, malefici su richiesta altrui.

Nel tempo ebbe varie denunce. L’ultima, al ritorno da una novena pasquale a Roma. Morì un ragazzo del gruppo di pellegrinaggio che  da tempo veniva curato da lei perché malato.  Si chiamava Camillo. La madre del ragazzo, di nome Sabetta, denunciò Bellezza accusandola di averlo stregato e ucciso  col maleficio.

Bellezza Orsini fu imprigionata  nel 1528 nel carcere del castello di Fiano. Aveva circa 50 anni. Fu processata per stregoneria e fattucchierìa,  torturata “alla corda” e costretta a confessare ciò che non aveva commesso.

In cella scrisse una “confessione” autografa separata dal verbale degli interrogatori.  Il memoriale autoaccusatorio ella lo consegnò alcuni giorni dopo le torture ricevute. Dice, fra l’altro, di essere volata fino a Benevento dove c’è un noce noto come luogo di riunione  triennale delle streghe, per partecipare al sabba infernale. La frase magica per volare era questa: “Unguento, unguento, portace alla noce  di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo”.

Rivela l’organizzazione delle streghe  e dice che sono governate dalla Befana, delle quali è maestra: “Andamo alla noce de Benevento e illi facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro”.

In un altro interrogatorio fu costretta a dire l’inverosimile: “E andamo alla noce  de Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e jova (gioco) e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare (stregare) e far male ad qualcheduno…”.

Ai giudici dell’Inquisizione disse: “Ho un libro de 180 carte dove stanno tucti li segreti del mondo”.

Chiese inutilmente pietà: “Per tutti quisti mali che ò fatto io me mereto de murimme, ma perdonateme… Vicaru meu, si me lassi viva un munnistero non te ne  penterrai. Io pregharò sempre per te…”. Così si chiude il lungo memoriale che la donna presenta al tribunale al termine del processo. Il documento testimonia l’ambiente storico culturale di quegli anni, ma soprattutto coglie lo stato d’animo di chi era accusata di essere una strega in tempi in cui per questo si finiva al rogo.

Stremata dalle torture la povera Bellezza Orsini per non finire sul rogo preferì suicidarsi nella cella dov’era imprigionata. Si colpì più volte alla gola con un chiodo ferendosi alla vena giugulare.

Le persecuzioni delle streghe possono considerarsi iniziate con le prediche di san Bernardino da Siena, che inveì contro di loro. Le additava al popolo come responsabili delle sciagure, perciò dovevano essere sterminate.

Un'ulteriore motivazione per la “caccia alle streghe” venne dalla pubblicazione, del citato “Malleus maleficarum”  in cui si spiega come riconoscere le streghe, processarle ed interrogarle con crudeli torture. In questo modo, tra il quindicesimo ed il diciassettesimo secolo furono estorte numerose confessioni di supposte streghe, le quali più volte parlano di sabba a Benevento. Nella maggior parte dei casi le "streghe" venivano bruciate col rogo,  mandate al patibolo o comunque punite con la morte con metodi più o meno atroci.