Autore Topic: La Chiesa cattolica e le donne  (Letto 8940 volte)

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #60 il: Febbraio 20, 2017, 16:47:59 »
Il papa Pio X pontificò dal 1903 al 1914, anno della sua morte. Era ossessionato dal “modernismo”, l’orientamento politico, religioso, artistico e letterario che voleva rinnovare le ideologie le strutture, i metodi,  per renderli aderenti alle esigenze del mondo moderno.

Il modernismo cattolico nacque nei primi anni del Novecento con l'intento di interpretare la dottrina e la tradizione cristiana alla luce delle esigenze razionalistiche della cultura contemporanea. Fu patrocinato da una minoranza del clero e del laicato cattolico, ma avversato da Pio X.

Il  3 luglio 1907 la “Sacra Congregazione del Sant’Uffizio”  emanò il decreto “Lamentabili sane exitu” nel quale  sono elencate 65 proposizioni “che stravolgono la dottrina cattolica pur presentandosi come derivate e fondate sulla stessa dottrina”. Tale decreto fu un anticipo di ciò che Pio X espose l’8 settembre 1907 nella lettera enciclica “Pascendi Dominici gregis”.

Per dare incisività ai due suddetti provvedimenti,  monsignor Umberto Benigni, professore di storia della Chiesa, organizzò nel 1909 una rete segreta di censori che avevano l’incarico di segnalargli i teologi, laici o religiosi (compresi i cardinali), sospettati di diffondere il modernismo. Monsignor Benigni aveva il compito di denunciarli al Sant’Uffizio. Secondo la testimonianza del cardinale Pietro Gasparri, Pio X approvò questa organizzazione denominata “Sodalitium pianum”, nota anche come “La Sapinière”, e la sostenne finanziariamente, incoraggiando personalmente i collaboratori.

Originariamente il Sodalitium Pianum dipendeva dalla  Segreteria di Stato della cosiddetta “Santa Sede”, dove monsignor Benigni aveva l'incarico di sottosegretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari.
L'influenza di questa rete di controllo  declinò dal  1914 con l'elezione de pontefice Benedetto XV che la smantellò, però fu ripristinata nel 1915 e definitivamente abolita il 25 novembre 1921. Secondo la testimonianza del teologo domenicano e cardinale Yves Congar, l'organizzazione proseguì la sua attività fino al 1946.

Altre reazioni vaticane in risposta al modernismo teologico, fu la messa all’indice di numerosi libri considerati modernisti  e l’instaurazione del  cosiddetto “giuramento della fede”  o “giuramento anti-modernista”, introdotto da papa Pio X con il motu proprio “Sacrorum antistitum”, emanato l’1 settembre 1910.
Tale giuramento, redatto in lingua latina, fu imposto al clero  ed era obbligatorio per i laureandi nelle università pontificie e  all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il giuramento obbligava i modernisti a riconoscere “l’errore e convertirsi, o almeno, di gettare la maschera e scoprirsi (…) riconducendoli ad una sincera adesione e ad una professione schietta delle dottrine di fede”.

Il pontefice Pio XI esonerò professori ed alunni delle predette università dall’obbligo del giuramento, ma fu ripristinato da Pio XII, poi abolito definitivamente nel 1966 da papa Paolo VI, dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, ma già qualche anno prima l'Università Cattolica aveva sostituito il giuramento antimodernista con la recita del “Credo”.

L’anti-modernismo di Pio X coinvolse anche le donne, molte delle quali seppero porre elementi nuovi di crescita culturale rispetto al passato. Diverse di loro furono legate al presbitero e teologo Ernesto Buonaiuti (1881 – 1946), uno dei principali esponenti del modernismo italiano. Come tale fu scomunicato dalla Chiesa e gli fu vietato di indossare l’abito talare. Fu anche esonerato dalle attività didattiche, in base ai  Patti Lateranensi tra Chiesa e Regno d'Italia, e poi, nel 1931,fu privato della cattedra universitaria  di Storia del cristianesimo per essersi rifiutato, con pochi altri docenti , di giurare fedeltà al regime fascista. 

Una delle donne “moderniste”  fu la scrittrice italiana di origine svizzera Dorette Marie Melegari, indicata generalmente come Dora Melegari (1849 – 1924) vagheggiò una spiritualità aperta al confronto con la “modernità”, sosteneva in politica la separazione delle Chiese dallo Stato.
Attenta alle questioni religiose e sociali, nel 1894 fondò a Roma con Giulio Salvadori e Antonietta Giacomelli l’associazione interconfessionale  “Unione per il bene”, per favorire incontri culturali e filantropici aperta ad entrambi i sessi ed anche al clero, praticando la carità. Nel 1900 pubblicò Âmes dormantes (tradotta in italiano come Il sonno delle anime o Il destarsi delle anime), nella quale coltivava un confronto fra le culture diverse (latina, anglosassone e slava), per tentare forme di sincretismo religioso.
Dora Melegari fu tra le più appassionate cultrici della ricerca della donna  nuova, moderna, tollerante ed ecumenica.

La sua collega, la giornalista trevigiana Antonietta Giacomelli (1857 – 1949), terziaria dell’Ordine francescano e  per parte di madre cugina del filosofo  Antonio Rosmini, nel suo salotto riceveva  noti personaggi: per esempio, lo scrittore Antonio Fogazzaro, il sacerdote barnabita  Giovanni  Semeria (noto per i suoi impegni prioritari riguardanti la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa, il dissidio tra Scienza e Fede, il rinnovamento del pensiero cristiano e l’aiuto ai poveri nelle aree depresse del meridione d’Italia),  il chimico francese Paul Sabatier (premio Nobel per la chimica insieme a Victor Grignard), Romolo Murri, presbitero e politico italiano, tra i fondatori del cristianesimo sociale; subì la sospensione a divinis e la scomunica nel 1909, revocata nel 1943. La Giacomelli riceveva anche vescovi di ispirazione rosminiana, come Geremia Bonomelli e Giovanni Battista Scalabrini, favorevoli alla riconciliazione tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.
Nel 1912 alcuni scritti della Giacomelli furono messi all’Indice e lei stessa fu dichiarata scomunicata.

Anche suor Valeria Paola Pignetti (1875 – 1961), conosciuta come “Sorella Maria”, fondatrice dell’eremo di Campello, fu a lungo osteggiata dalla Chiesa per le sue amicizie con non cattolici come Gandhi ed Albert Schweitzer, sia con “preti inquieti” come Ernesto Buonaiuti, don Primo Mazzolari e Michele Do. Per tali rapporti e la presenza nella sua comunità di donne non appartenenti alla Chiesa cattolica, le fu vietato per quasi trent’anni la partecipazione all’eucarestia, ma lei continuò nella sua esperienza di comunione universale con i tanti che le si avvicinarono, come  Aldo Capitini, Giovanni Vannucci, padre David Maria Turoldo, don Orione, Ambrogio Tonini. In un periodo di censure ed ostracismi da parte della Chiesa cattolica, durante il quale i cattolici non potevano dialogare con i protestanti  e gli scomunicati come Buonaiuti, sorella Maria non rinnegò le sue frequentazioni né venne meno alla sua fede, avendo l’esigenza di affermare la libertà di coscienza in una comunità ecumenica.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #61 il: Febbraio 25, 2017, 00:06:48 »
Un'altra donna vicina ad esponenti del  “modernismo” fu la terziaria francescana, giornalista e scrittrice Elisa Salerno (1873 – 1957), che può essere considerata la prima femminista cattolica italiana. Impegnata in campo politico ed ecclesiale cristiana la scrittrice vicentina dedicò la vita a lottare contro ciò che ostacolava la dignità femminile in diversi ambiti:  familiare, lavorativo, sociale ed ecclesiale. Nel contempo ritenne necessario smascherare la falsità dei presupposti esegetici e filosofici che legittimavano la discriminazione delle donne nella società italiana e nella Chiesa cattolica dell’epoca.

Nel 1909 fondò il giornale titolato “La donna e il lavoro”, dedicata alle donne che lavoravano fuori dall’ambiente domestico.

Nel 1915 dopo aver letto la “Summa theologica” di Tommaso d’Aquino rimase sconvolta. Sulla base del messaggio evangelico ella  credeva fosse compito della Chiesa affermare e difendere la dignità della donna, invece negli scritti tommasiani  lesse affermazioni che la denigravano. Per reazione a questa lettura, Elisa nel 1916 scrisse il saggio “Per la riabilitazione della donna” sotto forma di un esposto-lettera indirizzato a papa Benedetto XV.  in questo scritto analizzava e contestava le affermazioni dell'aquinate, traendone le conseguenze su quelli che avrebbero dovuto essere i rapporti tra l'uomo e la donna cristiani e le indicazioni della Chiesa. La pubblicazione nel 1917 di questo opuscolo suscitò la violenta reazione da parte degli ambienti cattolici ed ecclesiastici. il vescovo di Vicenza, Ferdinando Rodolfi,  dichiarò che il giornale “La donna e il Lavoro” non apparteneva più alla stampa cattolica. La Salerno ritenne che la sconfessione fosse stata ispirata dal papa, a sua volta istigato dagli ambienti conservatori del Vaticano.

Nonostante la sua prima reazione a questo atto autoritario fosse di dolore e di sdegno, poco dopo essa presentò al vescovo "un regolare e completo atto di sottomissione". Tenuto conto dell'estremo rispetto che la Salerno nutriva per la Chiesa e per la sua autorità, la ritrattazione fu probabilmente un atto di obbedienza; nello stesso tempo essa non smentiva le proprie idee nella sostanza, tanto che le ripropose tutte negli anni successivi sulle pagine del nuovo periodico “Problemi femminili”, che nacque alla fine del 1918 in sostituzione del precedente “La donna e il Lavoro”.

Il fine del nuovo giornale - il cui sottotitolo era "Periodico nazionale delle operaie, impiegate, professioniste" -  era la promozione della donna: "Noi tratteremo il problema femminile in tutte le sue parti, onde contribuire a rialzare le sorti della dignità della donna e rivendicare tutti i suoi legittimi diritti di donna e di cristiana, di madre e di cittadina" era scritto nel programma.

Tra il 1920 e il 1927 la Salerno diede alle stampe vari scritti, che generalmente in precedenza erano già stati pubblicati a puntate sul periodico. La maggior parte di essi ribadiva e ampliava i temi già esposti  e attaccava l'antifemminismo cattolico, mettendo anche in dubbio l'autorità dei vescovi e del papa, quando prendevano posizioni antifemministe.

Una delle polemiche più pesanti della Salerno riguardò il catechismo, scritto e pubblicato dal vescovo di Vicenza. Così nel marzo 1925 Rodolfi proibì con apposito decreto la stampa, la lettura e la vendita del periodico diretto da questa giornalista.
A differenza di quanto era avvenuto nel 1917, questa volta la Salerno rifiutò di sottoscrivere l'atto di sottomissione e accettò, seppure con grande sofferenza ma coerente con la propria coscienza, la conseguente condanna ad essere privata dei sacramenti.
Da questo momento la battaglia giornalistica di Elisa Salerno sui problemi del lavoro femminile e sulla promozione della donna divenne sempre più difficile. Al divieto ecclesiastico relativo alla pubblicazione del giornale, ribadito nel 1926, si aggiunsero la sempre più pesante azione censoria dell'autorità di polizia fascista e i problemi economici. Così il periodico “Problemi femminili” cessò di essere pubblicato nel marzo 1927. Insieme con la chiusura del giornale cessò la sua attività giornalistica, anche perché le restrizioni alla libertà di stampa da parte del fascismo non le permise più di pubblicare i suoi lavori. Continuò comunque la sua attività di scrittrice. Affrontò l’analisi testuale della Bibbia per evidenziare la reale figura biblica della donna, “deturpata dalla cattiva e malevola interpretazione degli uomini di Chiesa” (cfr. “Commenti critici alle note bibliche antifemministe”, 1926; “La donna in san Paolo apostolo”, 1952; “Porrò inimicizia tra te e la donna”, 1954).

Lei, “fedele in tutto alla religione cattolica, eccetto che all’antifemminismo”, aveva individuato nell’errata interpretazione della Sacra Scrittura i fondamenti dell’esclusione femminile. Nel Nuovo Testamento, la Salerno seppe cogliere quegli elementi di novità rappresentati dalla presenza delle donne nella storia della “salvezza” e dal messaggio di Gesù che le aveva liberate dalla marginalità riconsegnando loro un’autentica dignità.

Il suo fu impegno sociale e politico per la creazione di una forte solidarietà tra le donne, per coniugare fede e quotidianità, spiritualità e difesa dei diritti umani. Con questa impostazione culturale avvicinò due termini che nella Chiesa di quegli anni erano inconciliabili: femminismo e cattolicesimo.

Elisa Salerno morì emarginata e povera.

Di lei restano due romanzi, diversi saggi e  molti articoli  orientati a combattere l'errata concezione di inferiorità della donna, derivante dalla mentalità del tempo, diffusa anche negli ambienti cattolici e nelle gerarchie ecclesiastiche.

Annabel

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #62 il: Febbraio 25, 2017, 17:30:41 »
Che il problema della donna sia la religione monoteista?

Ahahahah... mi fa morire  :happy:
Il divertente (ma triste se si pensa il perché) è che questi individui difendono ingenuamente l'islamismo!  :D

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #63 il: Marzo 03, 2017, 09:12:09 »
L’organizzazione cattolica femminile “St. Joan's International Alliance”, dal nome di santa Giovanna d’Arco, fu creata l’8 dicembre 1910 in Inghilterra da Gabrielle Jeffery (1866 – 1940) e May Kendall (1861 – 1943) al fine di ottenere i diritti civili e politici per le donne.

Nel 1931 un’altra cattolica, Marie Lanoel, in occasione dell’apertura della sezione francese dell’Alleanza Giovanna d’Arco, disse che era giunto il momento di dimostrare che si poteva essere femministe ed anche cattoliche.

Successivamente, negli anni ’50 dello scorso secolo,  questa organizzazione, presente in 24 nazioni, tra le quali l’Italia, focalizzò l’attenzione verso la condizione femminile nell’ambito della Chiesa.

L’appello che il pontefice Giovanni XXIII rivolse ai laici affinché esprimessero le loro richieste in vista del Concilio ecumenico Vaticano II, sembrò un’opportunità da non perdere e l’Alleanza Giovanna d’Arco formulò le prime petizioni, fra le quali quella riguardante la partecipazione delle donne al ministero sacerdotale (sacerdozio femminile) e la richiesta del diaconato per i laici aperto anche alle donne.
 
In quell’anelito di rinnovamento ci fu anche l’italiana Silvia Lubich (1920 – 2008), detta Chiara, che nel 1943 fondò il “Movimento dei Focolari”, organizzazione  che ha come obiettivo l'unità fra i popoli, la fraternità universale.

Durante quel Concilio parteciparono numerose donne come uditrici. La loro presenza influì sull’elaborazione di due Costituzioni: la “Lumen gentium” (in cui c’è il rifiuto della discriminazione sessuale) e la  “Gaudium et spes” (nel quale emerge la visione unitaria dell’uomo-donna come persona umana e la loro uguaglianza).

Fu rilevante anche il superamento della tradizionale concezione contrattualistica e giuridica dell’istituto familiare, che deve essere basato sull’amore coniugale e non più come “rimedio alla concupiscenza”. L'espressione “remedium concupiscentiae” indicava fino al 1983  uno dei fini secondari del matrimonio. Nella pratica sembrava suggerire che il matrimonio desse uno sbocco legale alla concupiscenza sessuale (o libidine), e pertanto i coniugati potevano indulgervi dal momento che tale concupiscenza veniva "legittimata". Ma la condizione morale era lo scopo procreativo del rapporto sessuale.


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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #64 il: Marzo 07, 2017, 00:14:46 »
Nel gennaio 1965, durante il Concilio ecumenico Vaticano II, la filosofa e teologa cattolica statunitense Mary Daly (1928 – 2010), convinta della chiusura paternalistica della Chiesa cattolica nei confronti delle donne, iniziò a lavorare alla stesura del libro “The Church and the second sex” (La Chiesa e il secondo sesso), rivisitazione in chiave cattolica del noto libro “Il secondo sesso” (“La deuxième sexe”) scritto dalla filosofa francese  di Simone de Beauvoir (1908 – 1986), pubblicato nel 1949. In questo libro la de Beauvoir esamina i ruoli attribuiti dal pensiero maschile alla donna, ed affronta il tema della sessualità, il lesbismo, la prostituzione, l'educazione religiosa e la maternità, indicando alle donne la via per l'indipendenza e l'emancipazione. .

Mary Daly, nell’autunno del 1965 si recò a Roma per assistere ad alcune sedute del Concilio Vaticano II. Nella basilica di San Pietro era nel settore riservato alla stampa e poteva osservare cardinali e vescovi, “uomini anziani in vesti color cremisi”.

In un altro settore c’erano gli uditori, tra cui “alcune donne cattoliche, per lo più suore con lunghe vesti nere e il capo velato. Il contrasto tra il portamento arrogante e l'abbigliamento vistoso di quei ‘principi della chiesa’ e l'atteggiamento umile, dimesso e le vesti scure di quelle pochissime donne suscitava sgomento”.

Solo discorsi di uomini, “voci senili, lagnose”: le poche donne “sedevano docilmente, ascoltando la lettura in latino di documenti che né loro né i lettori sembravano comprendere”. Il messaggio di quella scena “s'impresse profondamente nella mia coscienza a caratteri di fuoco. Nessun film di  Fellini avrebbe potuto superare quell'involontaria autoparodia del cattolicesimo”.

Nel 1967, negli Stati Uniti, alla Daly le fu offerto di insegnare al “Boston College”, un istituto amministrato dai Gesuiti, e nel 1968  lei pubblicò il sopra citato saggio “The Church and the second sex” con la conseguenza che la direzione del college le mutò il rapporto di lavoro in un contratto a termine e poi la licenziò per il contenuto del suo libro, suscitando proteste da parte degli studenti e l’attenzione dei mass media.  I Gesuiti dovettero fare “buon viso a cattivo gioco” e le offrirono un nuovo contratto a tempo indeterminato.
La Daly trasse un insegnamento dalla vicenda: “i giudici del mio libro non avevano mai scritto un libro né capito il mio. Sedendo in giudizio per condannare il mio insegnamento, avevano però paura degli studenti che non sapevano che farsene del loro insegnamento [...] mi apparivano sempre più chiari gli stretti legami tra le strutture oppressive di una società patriarcale e la dinamica distruttiva che esse generano nelle loro vittime”.

Nel suo libro successivo, pubblicato nel 1973 col titolo “Beyond God the Father. Toward a Philosophy of Women's Liberation”, sostiene che la Chiesa ha contribuito a mantenere l’oppressione delle donne. Il testo rappresenta la fondazione di una teologia femminista che interpreta l'androcentrismo dell'ebraismo e del cristianesimo. Mary Daly sostiene la tesi che la visione sessista della Chiesa sia connaturata alle sue premesse teologiche fondamentali: “Se Dio è maschio, allora il maschio è Dio".

Nel dibattito post conciliare altre donne dettero il loro contributo ideologico. Nelle comunità di base, in sintonia con la teologia della liberazione sudamericana,portarono avanti  le riflessioni sull’essere donne credenti, legate più all’esperienza di una fede liberante che all’appartenenza ad una Chiesa considerata lontana.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #65 il: Marzo 10, 2017, 08:58:14 »
Papa Francesco auspica una “teologia del femminile” non una “teologia femminile”, né una “teologia femminista”. E le teologhe cattoliche s’interrogano sull’ordine gerarchico e sugli stereotipi sessuali nella Chiesa; sulla natura, il destino, la vocazione delle donne; sulle affermazioni della tradizione della Chiesa; ripensano in modo critico i linguaggi, i modelli, le immagini e le rappresentazioni della tradizione cristiana interamente determinata dagli uomini.

Le teologhe considerano Gesù un liberatore ed un profeta più che il “Figlio di Dio”; Dio, come signore potente e impassibile viene criticato e cede il posto a un Dio materno, vicino, comprensivo e misericordioso.

Dopo gli anni ’70 dello scorso secolo i movimenti femministi furono sospettati di essere causa dei mutamenti nelle società occidentali, invece ne erano un’espressione.

Nella tradizione cristiana, sessualità e impurità sono state associate alle donne, perciò guardate con sospetto. L’idea di impurità rituale (durante le mestruazioni, dopo le relazioni sessuali e dopo i parti) impediva alle donne (e agli uomini che stavano con loro) di avvicinarsi all’altare.

L’associazione tra Eva, la disubbidienza a Dio, il corpo e il sospetto nei confronti delle donne, la troviamo in 1 Tim 2,12-15: “Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza”. È l’unico versetto biblico che afferma la salvezza attraverso la maternità, contraddicendo così la salvezza ad opera di Cristo! La congiunzione Eva-Maria manifesta i limiti imposti dalla tradizione occidentale alle donne: un corpo ridotto alla funzione riproduttiva e il legame tra sesso femminile e seduzione.

Il sospetto nei confronti delle donne non fu l’unico ostacolo a impedire un vero partenariato. La reazione più insidiosa fu l’idealizzazione e la venerazione del femminile, visto attraverso il modello di Maria, la madre di Gesù, la cui fede e virtù hanno valso, a contrario, ad Eva di essere la figura della donna debole, seduttrice e peccatrice. Eva e Maria furono associate fin dal II secolo.

Era necessario che le donne si riconciliassero con il loro corpo e con la loro testa, poiché erano state private della facoltà di pensare razionalmente, ma anche della fierezza del loro corpo. La strada passò anche attraverso la liberazione sessuale, il diritto alla contraccezione e per alcune l’esigenza del diritto all’aborto. Le donne erano in prima linea nelle reazioni delle Chiese contro ciò che esse interpretavano non come una liberazione ma come lussuria e incitazione a comportamenti ambigui.

Le Chiese temevano la perdita di ogni morale in materia di sessualità, mentre le donne volevano innanzi tutto che la loro integrità fosse rispettata.
 
La filosofa e scrittrice francese Simone de Beauvoir cercò i motivi della sottomissione delle donne, dal momento che la differenza dei sessi non deve necessariamente implicare subordinazione dell’uno all’altro. E scrisse: “Non si nasce donna, lo si diventa. Nessun destino biologico, psicologico, economico, definisce la figura che la femmina umana riveste in seno alla società; è l’insieme della civiltà che elabora questo prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che viene qualificato come femminile”.

Attraverso l’educazione, vengono inculcati alle donne i modelli dei ruoli e i compiti inerenti a tali modelli, mentre si potrebbe vivere un vero rapporto di partenariato egualitario.
Il lavoro delle donne e l’accesso agli studi ha mostrato che le capacità non si riducono agli stereotipi del femminile e del maschile, ma sono ripartite negli individui.

Il problema quindi non sta nella differenza tra uomini e donne ma nella gerarchizzazione.

« Ultima modifica: Marzo 10, 2017, 09:33:26 da dottorstranamore »

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #66 il: Marzo 10, 2017, 09:34:17 »
Il testo ebraico di Genesi afferma  che Dio creo l’umano, non uomo e donna, ma maschio e femmina”.  La qualità di uomo e di donna è quindi un  divenire, è un incontro di parole e riconoscimento da parte dell’altro, come mostra Adamo che parla solo quando definisce la donna come colei che è “osso delle sue ossa e carne della sua carne”.

L’apostolo Paolo di Tarso (o dei redattori  delle lettere paoline che si rifanno a lui) insiste sulla necessaria sottomissione della donna all’uomo essendo l’uomo capo della donna (nel duplice significato greco di testa e di leader) come Cristo è capo della Chiesa (Ef 5,21-24, Col 3,18-19, 1 Cor 11,1-16). Paolo non voleva fissare un’etica del matrimonio; al contrario, ha trovato nella relazione coniugale un’immagine ideale per rappresentare l’unione tra Cristo e la Chiesa, come i profeti facevano per la relazione tra Dio e il popolo. Così ha conferito a una realtà conosciuta anche dai pagani un significato cristiano ideale, dato che si tratta di amore dell’uomo per la donna la cui sottomissione, in risposta, è  “come al Signore”, quindi nel dono di sé.

Ma tutte queste evoluzioni nella comprensione dei ruoli degli uomini e delle donne conducevano a una complessità tale che non si riusciva più a definire le caratteristiche biologiche.
 
Gesù si rivolgeva alle donne come agli uomini, le considerava interlocutrici e le accoglieva come seguaci. Ma la tradizione cristiana non ha valorizzato le donne discepole che seguivano Gesù, e neppure le prime convertite che aprivano le loro case, come Marta e Maria oppure Lidia. Certo non facevano parte dei dodici apostoli, ma il vangelo di Luca precisa che c’erano anche delle donne che lo seguivano (Lc 8,1-3). Se Gesù avesse scelto delle donne fra i dodici, la società maschilista dell’epoca le avrebbe ridicolizzate o respinte.
Ma la tradizione deve esser sempre rinchiusa negli stessi modelli?
Non deve forse servire da matrice per nuove generazioni, partendo dall’affermazione che in Cristo tutti i battezzati sono una cosa sola e che non c’è più «né uomo né donna» (Ga 3,28) ?

La Chiesa cattolica teme che le donne  prendano il potere entrando a far parte del clero come donne sacerdote (diverso è il caso delle Chiese protestanti in cui il potere si trova comunque già a essere largamente in mano ai laici). Si temono scismi. Il timore è fondato, anche se nessuna Chiesa è stata divisa a causa dell’ordinazione delle donne. Le Chiese luterane oggi sostengono addirittura che il ministero pastorale delle donne è un “dono”. E’ importante considerare l’individuo e le sue competenze, non il sesso; è fondamentale non chiudere le persone in categorie fisse per l’eternità;  non negare le differenze biologiche, ma comprendere come esse, pur essendo solo una delle differenze che costituiscono l’essere umano, siano state anche costruite socialmente e culturalmente e rappresentino dei fattori di ineguaglianza.

In questi anni le teologhe hanno offerto elementi per ripensare la questione femminile con nuovi criteri interpretativi. L’indagine di queste studiose parte dal presupposto che l’essere umano non è più pensabile solo al maschile e che alcuni temi devono essere approfonditi, come l’uso del concetto filosofico di “natura”, che ha significato relegare la donna in categorie statiche di emarginazione e subalternità: per natura è “debole”, è “incapace”, è “inferiore”.
Al concetto di natura è legata la visione antropologica e la Chiesa ha prevalentemente utilizzato un’antropologia androcentrica e gerarchica di stampo aristotelico-tomista.
Il concetto di natura e la visione antropologica sono stati fatti risalire a Dio tramite l’interpretazione della Bibbia che ha legittimato la struttura patriarcale della società e della Chiesa. Bibbia e tradizione orientano, non definiscono la fede.

La struttura della Chiesa, monarchica e gerarcocentrica, è immodificabile ? Nel cattolicesimo si è affermata un’istituzionalizzazione androcentrica attraverso un lungo processo di assimilazione e di adattamento con le culture e istituzioni patriarcali che ha incontrato (giudaismo, filosofia greca, diritto romano, istituzioni barbariche, Stati assoluti, ecc.). La domanda è se quella che si è storicamente imposta sia l’unica organizzazione ecclesiale possibile o se, piuttosto, sia un modello fra altri, e come tale, perfettibile e soggetto a mutamenti.

Se l’essere Chiesa assume nuove dimensioni strutturali non legate alle dinamiche del potere, quali possono essere i ruoli ministeriali delle donne senza escluderne alcuno ?

Venendo meno i criteri dell’inferiorità, si possono applicare anche per le donne i principi di corresponsabilità apostolica, comprese le questioni della presenza femminile in tutti gli organi di governo della Chiesa ?

Svincolandosi dai codici di comportamento maschile, quale contributo può offrire il soggetto femminile nel cambiare i modelli violenti e dominanti di sviluppo per trasformarli in criteri di sostenibilità e di cura ?

Come intervenire nella bioetica, nella morale sessuale, nella geopolitica, nell’ecologia, per cambiare l’intero sistema valoriale ?

Superando il linguaggio androcentrico e maschile, come muta l’immagine di Dio ?

Se non c’è incompatibilità tra divinità e femminilità, come cambia la narrazione di Dio ?

Sono domande che attendono risposte !

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #67 il: Marzo 12, 2017, 00:07:37 »
Il “femminismo”, fenomeno sociale “laico”, iniziò alla fine del XIX secolo con la richiesta delle donne di poter partecipare alla vita politica e di avere diritto di voto.


suffragette che chiedevano il diritto di voto

Non bisogna sottovalutare, rispetto alla genesi delle rivendicazioni femminili, quanto è accaduto anche nei movimenti cristiani riguardo al ruolo dei fedeli  nella vita ecclesiale. Ma la Chiesa cattolica è androcentrica e non riesce a liberarsi dalle catene ideologiche della cosiddetta “Tradizione”. Infatti la teologia cristiana, pensata, elaborata ed espressa da un punto di osservazione maschile, ha eliminato tutte le domande che riguardano i vissuti delle donne; perciò è emersa l’esigenza di formulare nuove domande che portino alla liberazione da tutto ciò che umilia l’essere umano, che lo discrimina e lo fa soffrire a causa delle differenze; che lo annulla perché non risponde alle rappresentazioni della figura femminile individuate da una sola parte dell’umanità.

La teologia femminista evidenzia che i testi biblici e la produzione teologica sono stati prodotti nell’ambito di una cultura e di una storia patriarcali ed androcentriche . Non solo il punto di vista maschile è prevalente ma esso rispecchia e legittima gli interessi ed i pregiudizi propri della società patriarcale. Società nella quale s’intrecciano diverse forme di discriminazione ed oppressione (in base al genere, alla razza, al ceto sociale, alle condizioni economiche, ecc.) e che viene da alcuni definita “kiriarcale”,  dalla parola greca “kurios”,  = padrone o signore.

I testi biblici non sono "rivelazione ispirata", né la proclamazione di principi dottrinali, ma formulazioni che si sono prodotte all’interno del contesto storico e culturale di una determinata comunità religiosa. Essi hanno come punto di partenza un’esperienza parziale e limitata alla quale non può essere attribuita validità universale. Eppure questa considerazione apparentemente ovvia e comprensibile per chiunque, è stata a lungo ignorata dalla cultura e dalla teologia androcentrica che ha scambiato l’esperienza maschile per la totalità dell’esperienza umana e l’ha elevata a norma universale diventando così un modello di riferimento per indicare che cosa significa essere veramente “persona”.

Nell’ambito della “European Society of Women in Theological Research" (ESWTR), associazione europea interreligiosa fondata in Svizzera nel 1986 alla quale si sono collegate le associazioni nazionali delle teologhe, è nato un progetto internazionale, interconfessionale e interreligioso, titolato: “La Bibbia e le donne. Esegesi, storia e cultura”, che si avvale di specialisti cattolici, protestanti ed ebrei che mettono a confronto l’approccio esegetico con quello storico per colmare le lacune esistenti nella storiografia biblica, tramite l’esposizione sistematica delle più importanti questioni relative al rapporto donna-Bibbia.

Le donne sono le prime ad essere oppresse dal fondamentalismo religioso. Ancora oggi per molti uomini di Chiesa la nuova eresia sembra sia rappresentata dalle questioni legate al genere: le donne.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #68 il: Marzo 14, 2017, 00:04:57 »
Il cardinale e teologo francese Yves Congar (1904 – 1995) insieme al cardinale e teologo francese Jean Daniélou (1905 – 1974)  ed al teologo francese Henri de Lubac (1896 – 1991), fu uno dei precursori della nuova teologia. Questi tre studiosi posero al centro della loro riflessione il problema dell’immutabilità e della storicità della “verità”[esiste in assoluto (= Dio) e non può essere falsa], il rapporto tra Natura e Grazia divina. Questi temi fecero  anche parte della discussione teologica  del Concilio  ecumenico Vaticano II e del post concilio.

Durante i lavori conciliari il domenicano Congar voleva inserire nel documento dell’apostolato dei laici un’espressione che paragona le donne alla delicatezza dei fiori, ma l’uditrice australiana  Rosemary Goldie intervenne con fermezza  dicendogli: “Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vogliono dalla Chiesa è di essere riconosciute come persone”.

Sono ormai passati oltre 50 anni dal Concilio Vaticano II che ha segnato nella Chiesa cattolica l’inizio  per riflessioni, studi, ricerche e proposte  da parte delle donne. Fra i risultati ottenuti c’è l’aumento delle donne teologhe, non solo laiche ma anche monache e suore. 

Per interrogarsi sul cammino percorso finora, quest’anno, il 5 e 6 maggio ci sarà a Roma il convegno internazionale dedicato a “La Bibbia e le donne a partire dalla riforma conciliare”. Un convegno del genere era impensabile all’inizio del secolo scorso. Infatti nel 1904 il cardinale Rafael Merry del Val (1865-1930), per perpetrare il monito di Paolo di Tarso sul silenzio delle donne nell’assemblea liturgica, disse: “Non si dia mai la parola alle signore benché rispettabili e pie. Se alcuna volta i vescovi crederanno opportuno di permettere un’adunanza di sole signore, queste parleranno sotto la presidenza e la sorveglianza di gravi persone ecclesiastiche”.

Queste parole del cardinale del Val sono nella circolare con la quale veniva sciolta l’Opera dei congressi, il cui filone democratico cristiano rendeva visibile la domanda esplicita di organizzazione femminile. Quanto detto dal predetto cardinale evidenzia anche l’opposizione alle istanze dei movimenti femministi da parte della Chiesa cattolica: un universo religioso teocentrico, come pretendeva il pensiero premoderno.

Ormai la concezione antropocentrica dell’universo religioso, postulata e tenacemente difesa, deve essere cambiata, l’anthropos non è più pensabile solo al maschile. Il femminismo, più che a un rinnovamento, mira all’elaborazione di una prospettiva teoretica nuova,  non ha postulato un passaggio di potere, ma ha costretto a ripensare totalmente l’universo religioso con i suoi simboli e i suoi linguaggi, i suoi contenuti e le sue norme, le sue promesse e i suoi riti.

La teologa Marinella Perroni, che insegna il “Nuovo Testamento” nel Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, a Roma, dice: “Il rischio è che il nostro modello resti per sempre Maria, madre, vergine e obbediente. Mentre là fuori, in cerca di pace e di Dio, ci sono tante donne non madri, non vergini e con nessuna voglia di obbedire” .

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #69 il: Marzo 17, 2017, 12:02:50 »
Le origini del cristianesimo vanno individuate nella predicazione itinerante e negli atti di Gesù, considerato dai suoi discepoli il Cristo, l’esecutore delle aspettative messianiche, presenti nella tradizione e degli scritti sacri della civiltà ebraica.

Il gruppo nascente di seguaci di Gesù si considerava nell'alveo dell'ebraismo. Negli adepti la coscienza collettiva di essere diversi maturò lentamente ma in modo progressivo, con la definizione delle caratteristiche che distinguevano il cristianesimo dall’ebraismo. La loro ereticità cominciò ad essere evidente nel corso del primo decennio di vita del movimento cristiano, in concomitanza con la persecuzione a Gerusalemme e la fondazione della nuova comunità  cristiana di Antiochia di Siria. Fu, probabilmente, proprio la violenta reazione farisaica e sacerdotale che motivò i credenti cristiani a dare inizio a comunità proprie e distinte.

Il movimento cristiano  oltre che con l’ebraismo fu in contatto con l’ellenismo e la filosofia greca, con la romanità e il diritto romano, ma fino alla metà del I sec. d.C.  i Romani non erano in grado di distinguere la religiosità dei cristiani da quella degli ebrei, perciò  ritennero il cristianesimo una setta estremista giudaica. In seguito i Romani si resero conto che il cristianesimo era una religione diversa da quella ebraica, considerata religio licita, ed il 30 aprile 311 a Serdica (oggi corrisponde alla città di Sofia in Bulgaria) il “primus augustus” Galerio, a nome del collegio tetrarchico che governava l’impero romano, promulgò l’editto che concedeva anche al cristianesimo lo status di “religio licita”, cioè di culto ammesso. Fu il primo editto di tolleranza della religione cristiana.

Nel  febbraio del 313 a Milano i due augusti dell’impero romano Costantino I (per l’Occidente) e Licinio (per l’Oriente) per favorire  una politica religiosa comune alle due parti dell’impero  firmarono un rescritto di tolleranza per concedere a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le proprie divinità.

A distanza di secoli ci si chiede se la soluzione istituzionale creata nel tempo di tipo gerarchica e monarchica della Chiesa cattolica può ancora oggi essere considerato un modello assoluto, credibile ed accettabile.

I tentativi di democratizzazione della Chiesa spingono verso modalità differenziate di inculturazione dei testi sacri e di ricerca di soluzioni più attinenti all’uguaglianza tra uomini e donne. Ma la “Chiesa non è una democrazia” affermano numerosi cardinali: la Chiesa non è il luogo per rivendicare diritti.

Adriana Valerio nel saggio  “Quale cristianesimo per le donne ?” ha scritto che la tradizione cristiana per secoli ha legittimato un'asimmetrica visione antropologica: ha affermato l'uguaglianza tra uomini e donne solo davanti a Dio e non nei loro compiti familiari e sociali, perché ha considerato i due sessi sottoposti alle differenze della "natura" (biologiche e psicologiche). Tutto ciò ha comportato, da una parte, la difesa delle differenze e delle contrapposte identità tra uomo e donna, da un'altra, la gerarchizzazione della società e la subordinazione della donna, relegata, per "natura", a ruoli privati e condannata a invisibilità istituzionale e politica. Per natura le donne sono state ritenute inferiori in tre aspetti: inferiorità fisica: il corpo delle donne è stato considerato imperfetto ed impuro, inadeguato a rappresentare Dio, del quale è immagine riflessa; inferiorità morale: la donna è stata giudicata incapace di operare scelte eticamente autonome; inferiorità giuridica: la donna è stata posta sotto la tutela maschile: del padre, del marito, del confessore.
Queste tre inferiorità non hanno consentito alle donne né di svolgere all'interno del cristianesimo ruoli autorevoli, né di vivere a pieno nella società e nella Chiesa quello che oggi si definisce "cittadinanza".

Oggi, alla luce delle riflessioni portate avanti dalle donne, cristiane e laiche, ci si interroga su cosa s'intenda per natura?  Un concetto astorico, immutabile, che gode di uno status ontologico o, piuttosto, un criterio etico che guida il comportamento del singolo? Si intende la fissità biologica nella quale sono iscritte le identità del maschile e del femminile e, dunque, i loro rispettivi ruoli, o, piuttosto, una costruzione storica, sociale, culturale? E ancora: uguaglianza e differenze sono principi inconciliabili e incompatibili?
La differenza non può escludere i diritti dovuti all'uguaglianza. L'uguaglianza è un principio, non una descrizione fattuale: non dice che uomini e donne siano uguali, ma che, pur nella loro diversità, essi godono di uguale dignità umana e di uguali diritti. Inoltre,  il riconoscimento di tale differenza comporta anche la visibilità sociale.

Anche se il cristianesimo si è innestato in culture patriarcali e androcentriche, caratterizzate dai ruoli bio-sociali differenti, nel nostro tempo non si può più accettare che esista incompatibilità tra donne - diritti umani - e Chiese.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #70 il: Marzo 23, 2017, 00:30:11 »
La Chiesa cattolica come istituzione non può essere paragonata ad una democrazia politica, ma neanche può  continuare come monarchia assoluta, a gerarchia maschile, che chiede l’obbedienza dei sudditi. Questa configurazione non è aderente al messaggio evangelico, come tante volte è stato rilevato nei secoli. Infatti Gesù proponeva una fede che libera dall’emarginazione, che vuole l’uguaglianza tra maschi e femmine, che non discrimina in base all’identità sessuale o l’appartenenza etnica. Diversamente dalla religione ebraica del suo tempo, che distingueva tra sacerdoti e popolo, tra degni ed indegni, puri e impuri, giusti e peccatori, maschi e femmine, Gesù contrappose una fede basata sull’amore e la condivisione, non sull’emarginazione della donna considerata “impura”.
 
Nella religione ebraica il Ṭoharoth  (= "Purezze", Purificazioni) è il sesto Ordine della Mishnah (e anche della Tosefta e del Talmud). Questo Ordine esamina la distinzione tra puro e impuro e tratta della purezza familiare.

Niddah è il termine ebraico che allude alla donna nel periodo del ciclo mestruale o alla donna che ha avuto le mestruazioni ma non ha ancora svolto i rituali di purificazione nella mikveh (bagno rituale). 

Niddah significa scostata (cioè, separata) e generalmente si riferisce alla separazione per motivi di impurità (in ebraico "tumah").
La parola niddah è correlata al termine menadechem, che in ebraico significa “coloro che ti scacciano”.  Le donne in questo stato non potevano essere accolte all'interno del  tempio di Gerusalemme.

Nella Torah, il Levitico proibisce i rapporti sessuali con una niddah e tale proibizione è stata mantenuta dalla Legge ebraica tradizionale. Le regole della niddah vengono anche citate come taharath hamishpacha (= purezza familiare).

Tumah e taharah sono termini ebraici che si riferiscono alle "impurità e purità" rituali secondo la Legge ebraica (Halakhah).

Il sostantivo ebraico tum'ah  ("impurità") descrive uno stato di impurità rituale. Una persona o oggetto che contrae tumah si dice diventi tamei ("ritualmente impuro"), e pertanto non idoneo a determinate  attività sacre: per acquisire la purezza deve eseguire degli atti purificatori e far decorrere un periodo di tempo specificato.

Il sostantivo ebraico opposto, taharah descrive uno stato di purità rituale che qualifica il tahor (persona o oggetto ritualmente puri). Il metodo più comune per ottenere taharah è l’immersione in un mikveh (bagno/vasca rituale).

La purità rituale è un’antica pratica prevista in numerose culture religiose, fra le quali ebraismo, cristianesimo ed Islam: determinati atti religiosi sono validi soltanto se compiuti in stato di "purità rituale" o "cerimoniale", che dipende dalla precedente “purificazione” del corpo e  simbolicamente dello spirito del devoto nei confronti della divinità.

La purità si consegue  con l'acqua o altre sostanze di solito liquide.
Nel Paganesimo, nell'Ebraismo, nell'Islam e, in misura residuale, anche nel Cristianesimo, la modalità principale per recuperare la purità necessaria per adempiere ad alcuni riti è l'abluzione con l’acqua. Nella religione cristiana l’acqua battesimale e la cosiddetta “acqua santa” nei contenitori all’entrata delle chiese sono anche reminiscenze della purificazione del corpo con lavacri di acqua, simbolo di purificazione.
 
Il sostantivo "battesimo" deriva dal latino “baptismu(m)”, e questo dal greco  “baptismòs” (= immersione): nel cristianesimo è il primo dei sacramenti con cui si entra a far parte della Chiesa.

Il battesimo può essere effettuato per “immersione” (totale, come avveniva nell’antichità, o parziale, come nel rito ambrosiano), per infusione (versando l’acqua sul  capo del battezzando) e per aspersione (il ministro di culto con l’aspersorio asperge, spruzza alcune gocce di acqua lustrale benedetta sulla testa del battezzando).

Anche Gesù si fece battezzare da Giovanni Battista: nel vangelo di Matteo si narra che all'uscita di Gesù dall'acqua del fiume Giordano si aprirono i cieli, ed egli "vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui" (Mt 3, 16).

Per quanto riguarda l’acquasantiera collocata all’ingresso della chiesa, ebbe probabilmente origine dal kantharos”, vasca collocata al centro del quadriportico delle domus romane e, successivamente, delle basiliche paleocristiane, dove veniva usata per le abluzioni dei fedeli.

La stessa usanza viene rispettata ancora oggi  dai musulmani all’ingresso delle moschee.

Le prime acquasantiere erano realizzate in marmo o pietra, a forma conca o di vasca quasi piatta; sorretta da un supporto verticale a pilastro o colonna, oppure incassata a mensola sul muro.

In età gotica alle acquasantiere dettero forme più articolate.

Nel Rinascimento si affermarono sostanzialmente due tipi di acquasantiere: a pilastrino o a mensola.

Nel XVII e XVIII secolo, con l'affermazione del barocco e del rococò le acquasantiere furono ornate con sculture.

Non sono state mai stabilite regole circa misura, forma e modello delle acquasantiere, perciò sono di diverse tipologie.
 
Le norme diocesane emanate per Milano da san Carlo Borromeo (1538-1584) influenzarono notevolmente gli usi successivi. Egli scriveva: “L’utensile concepito per l’acqua santa… dovrà essere di marmo o pietra solida, né porosa né con crepe. Verrà collocato su un pilastro adeguatamente ornato il quale non sarà fuori dalla chiesa ma all’interno e, nei limiti del possibile, alla destra di coloro che entrano. Ve ne sarà uno a fianco della porta da cui entrano gli uomini e uno per la porta delle donne. Non dovranno essere fissati al muro ma separati da esso secondo la convenienza. Li supporterà una colonna o un piedistallo, che non dovrà avere rappresentato nulla di profano.”

L’attuale usanza di bagnarsi la punta delle dita della mano nell’acquasantiera prima di farsi il segno della croce nell’ingresso in chiesa è di origine più tarda.
« Ultima modifica: Marzo 23, 2017, 00:36:58 da dottorstranamore »

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #71 il: Marzo 24, 2017, 08:04:24 »
La tradizione giudaico-cristiana vuole l’essere umano creato “a immagine di Dio”. Questo assunto significa accettazione come dato di fatto della dualità maschile e femminile. Ma nell’Occidente monoteista fino al recente passato è il maschile a definire l’umanità, con la conseguente strutturazione della società (e delle comunità religiose) nella modalità patriarcale e piramidale, dalla quale scaturì l’idea dell’esistenza di un dio unico creatore. 

Non fu Dio a creare Adam, ma fu l’uomo ad immaginare l’esistenza di “Dio”. Le qualità che l’individuo gli  conferisce sono gli attributi dell’uomo fatti soggetto, convertiti in una potenza estranea, adorata come una forza che domina, giudica, protegge.  E’ la rappresentazione di un Dio unico e monarca, utilizzando categorie del maschile escludenti e discriminanti.
L’uomo ha bisogno di Dio per la sua incomprensione dell’infinito, perché c’è la morte, il dolore ed ha bisogno di speranza nell’aldilà. Ma non gli basta aver creato dio, deve anche “parlargli”, ecco allora nascere la preghiera e la religione con gli intermediari fra il comune mortale e Dio. 

L’incompatibilità tra divinità e femminilità e il ritenere il maschile come immagine esclusiva (“Imago Dei invenitur in viro non in muliere” = l’immagine di Dio è nell’uomo non nella donna, scrisse il fondatore del diritto canonico, il giurista Graziano (1°75 circa – 1145 circa) hanno caratterizzato per secoli la teologia della Scolastica, che afferma la gerarchia creazionale tra i sessi e la donna incapace di ricevere il ministero sacerdotale per la debolezza della sua natura: “impedimentum sexus”.
La donna a causa della sua “imperfezione e minorità” era destinata a mansioni ausiliarie e subalterne. La sua inferiorità era fisiologica (il corpo femminile considerato imperfetto ed impuro), morale (la donna ritenuta incapace di scelte eticamente autonome), giuridica (doveva essere sottoposta a tutela).

La concezione per la quale “la donna non può ricevere l’ordine sacro perché per natura è situata in condizione di servitù” (Decretum Graziani), dovuta alla contingente visione antropologica e culturale, è oggi superata e non ci sono fondate obiezioni teologiche per escludere le donne dall’ammissione al sacerdozio.
E’ cambiata la concezione antropologica, liberata dalle ideologie  che legittimavano le gerarchie sociali. L’ethos di uguaglianza induce al sacerdozio femminile anche nella Chiesa cattolica, sollecitata dalla presenza di donne ai vertici delle Chiese riformate: vescove nelle Chiese luterana, anglicana, pastore e moderatrici a capo della Tavola valdese e delle Chiese battiste.
I ruoli ministeriali aprono alla questione della gestione del governo della Chiesa e della rappresentanza femminile.

Riconoscere dignità e autorevolezza della persona significa consentirle la partecipazione ai processi decisionali. Non accettare nella donna capacità di governo  significa relegarla nella “non visibilità”, in una condizione minoritaria che richiede per esistere la mediazione maschile che controlla, approva, giudica, dirige. Accetterebbero i maschi di vedersi rappresentati da un Concilio o da un sinodo di sole donne che decidono anche per gli uomini ? Le ridicolizzerebbero, ne riderebbero e insorgerebbero.
Per questi motivi nella Chiesa cattolica occorrono riforme: l’episcopato dovrà affrontare il problema della condivisione del governo della Chiesa e della necessaria riorganizzazione della comunità cristiana. Per non perdere “clienti” le religioni si devono adeguare ai tempi.

Le ostilità e le opposizioni tra i vescovi sono ancora oggi molto elevate, perché il loro ruolo pastorale viene esercitato come un potere e non come un servizio. Le donne sono elogiate quando si mettono “a servizio degli altri” ma non sono ammesse al sacerdozio.
Inoltre,  fra gli ecclesiastici facenti parte della gerarchia ci sono interventi contro la “questione di genere”, considerata “eresia”, non considerano che ormai è opportuna un’antropologia dove il maschile e il femminile possano interagire senza il predominio dell’uomo sulla donna o viceversa. L’antropologia della corresponsabilità e della reciprocità accetta la differenza di genere nella condivisione e nella responsabilità: donne e uomini possono svolgere non ruoli diversi, ma gli stessi ruoli in modo diverso.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #72 il: Marzo 30, 2017, 10:56:22 »
Papa Francesco ha più volte ribadito che “la Chiesa non può essere se stessa senza la donna ed il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. […] E’ necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva”.

Il ruolo delle donne da promuovere nella Chiesa cattolica, vanno inserite nei cambiamenti  che questo pontefice auspica nell’ambito di una Chiesa povera e aliena dal potere. Potere e potestà sacramentale possono confliggere.
 
Papa Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in Terris”, promulgata, l’11 aprile 1963,  annoverava tra i segni dei tempi la partecipazione della donna nella vita pubblica. Oltre cinquant’anni dopo  negli organismi centrali della Chiesa  le “quote rosa” sono ancora simboliche e la  loro "valorizzazione"  è intesa come gentile  “concessione”.

Nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, promulgata il 24 novembre 2013, papa Francesco afferma:  “C’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa […] nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali” (104).

Solo il superamento dell’egemonia clericale può offrire spazi per la diversa presenza femminile nell’ambito ecclesiale, che deve studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti ma partecipi.

Papa Francesco il 7 febbraio 2015 ai partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura sul tema: “Le culture femminili. Uguaglianza e differenza” ha detto: !"Sono convinto dell’urgenza di offrire spazi  alle donne nella vita della Chiesa e di accoglierle, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. E’ auspicabile, pertanto, una presenza femminile più capillare ed incisiva nelle comunità, così che possiamo vedere molte donne coinvolte nelle responsabilità pastorali, nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, così come nella riflessione teologica”.
 
Nei seminari il clero va formato ed educato in modo adeguato  e non come nel passato. I seminaristi non devono avere paura della femmina, non devono vedere  in lei “Eva tentatrice” che li fa allontanare dal celibato ecclesiastico.

Nella Chiesa  dei primi secoli l’ordinazione  sacerdotale di uomini sposati era frequente ed il significato primario del celibato consisteva  solo nella continenza sessuale. I candidati sposati potevano accedere agli ordini sacri e rinunciare all’uso del matrimonio solamente col consenso della moglie.

Le prime leggi scritte sul celibato sacerdotale  proibiscono l’ulteriore generazione di figli nel matrimonio già contratto. Il divieto di sposarsi era all’inizio di importanza secondaria ed emerse solamente quando la Chiesa preferì, e poi impose, i celibi come candidati agli ordini sacri. Inoltre, Il clero venne abituato ad esaltare le virtù della donna,  però confinandola nell’ambito domestico, come voleva la società patriarcale. 

Ci sono teologi che da alcuni anni tentano di elaborare una “teologia della donna”, ma questa denominazione limitativa si giustifica con la divina “salvezza”  che coinvolge maschi e femmine ? 
Dal punto di vista psicologico vi sono differenze tra  l'uomo e la donna, ma la teologia, che ha Dio come oggetto, deve forse  riservare alla donna una considerazione particolare ? Essa non ha bisogno della rivelazione cristiana per apparire nel suo significato essenziale. 

Il clero dovrebbe essere educato ad ascoltare le donne,  alla religiosità femminile, non considerando monache e suore soltanto strumenti al servizio delle comunità  religiose maschili. Oltre ad offrire servizi caritatevoli esse possono anche svolgere l’attività pastorale come le donne nelle Chiese protestanti.

Nelle parole di papa Francesco riecheggia tante volte l’antica tradizione della spiritualità femminile:  la Chiesa come “pastora” che ha “cura”, che “si fa carico” delle persone, che è “prossimità”, che “accompagna con  misericordia”, Dio che s’incontra “nel cammino, nel dubbio, nell’esperienza”.  In questa sua modalità di rapportarsi agli altri, Francesco integra  il maschile e il femminile in una Chiesa da rinnovare.

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #73 il: Aprile 04, 2017, 11:42:35 »
Molti clerici e fedeli interpretano e fanno dire alla Bibbia tutto ed il contrario di tutto: contro la democrazia e per la democrazia, contro le donne e a favore delle donne, ecc..

Ispirazione divina ? E’ ancora possibile affermare che in questi testi Dio ha voluto esprimere questa o quell’altra cosa ? Generazioni di cristiani hanno attribuito all’autorità divina espressioni dipendenti da circostanze e contesti solamente umani.

La Bibbia è come una biblioteca, una raccolta di testi  basati sulla tradizione culturale e religiosa ebraica e cristiana. Testi raccolti in “canone” dagli ebrei tra il II ed il VII sec. d.C., dai cristiani tra il III ed il XVI secolo. Si distinguono in Bibbia ebraica e Bibbia cristiana, comunemente note come Antico e Nuovo Testamento.

I Salmi vengono considerati “parola di Dio” che devono ispirare l’umana parola rivolta a Dio nella preghiera. In realtà sono preghiere umane rivolte a Dio per lodarlo, invocarne l’aiuto ed altro. Ed è parola umana ogni altro testo che compone la Bibbia, nata dal bisogno di un dio onnipotente, onnisciente ed onnipresente, che tutto trascende.

In molte pagine bibliche sono presenti, e teologicamente giustificate, disposizioni che autorizzano lo sterminio dei nemici, la vendita degli schiavi e la violenza sulle donne. Le cosiddette “sacre scritture” giustificano subalternità e gerarchie proprie delle culture patriarcali nelle quali quei testi  sono stati redatti.   

I testi giuridici della Torah e le leggi citate nelle Lettere deutero-paoline (Col 3; Ef 5) descrivono, ad esempio, il ruolo delle donne nella famiglia di tipo patriarcale, che vide coincidere la condizione femminile con gli interessi dei capifamiglia maschi. La dipendenza della donna era normale. Non veniva valutata la sua incolumità fisica e psichica, tanto meno la sua sessualità, gestita dall’uomo.

La tradizione cristiana per secoli ha legittimato un'asimmetrica visione antropologica: infatti, ha affermato l'uguaglianza tra uomini e donne solo davanti a Dio e non nei loro compiti familiari e sociali, perché ha considerato i due sessi sottoposti alle differenze della "natura" (biologiche e psicologiche). Tutto ciò ha comportato, da una parte, la difesa delle differenze e dunque delle contrapposte identità tra uomo e donna, da un'altra, la gerarchizzazione della società e la subordinazione della donna, relegata, per "natura", a ruoli privati e condannata a invisibilità istituzionale e politica. Per natura le donne sono state ritenute inferiori in tre aspetti: inferiorità fisica: il corpo delle donne è stato considerato imperfetto ed impuro, inadeguato a rappresentare Dio, del quale è immagine riflessa; inferiorità morale: la donna è stata giudicata incapace di operare scelte eticamente autonome; inferiorità giuridica: la donna è stata posta sotto la tutela maschile: del padre, del marito, del confessore. Queste tre inferiorità non hanno consentito alle donne né di svolgere all'interno del cristianesimo ruoli autorevoli, né di vivere a pieno nella società e nella Chiesa quello che oggi si definisce  diritto di "cittadinanza". I  cosiddetti “diritti delle donne” sono maturati in una costante conflittualità tra norma e violazione di essa.  E fino alla “Riforma del diritto di famiglia” del 1975 il modello familiare italiano ha continuato ad essere di tipo patriarcale e gerarchico.

Molti esponenti della Chiesa cattolica italiana osteggiarono quella legge, perché ritenuta in contrasto con i dettami della Bibbia e con il concetto di famiglia presenti nelle Lettere paoline. Quegli esponenti cattolici facendo riferimento ai testi biblici volevano dare valore normativo a ciò che invece era legato al contesto culturale dell’antichità.  In mala fede o per incultura specifica usano la Bibbia per giustificare tutto.


« Ultima modifica: Aprile 14, 2017, 08:33:33 da dottorstranamore »

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Re:La Chiesa cattolica e le donne
« Risposta #74 il: Aprile 14, 2017, 08:18:03 »
I principi di uguaglianza e di universalità del diritto, il problema dell’inclusione attiva delle donne: sono due temi che attualmente coinvolgono le religioni, le costringono a ridefinire se stesse, a prendere atto delle proprie contraddizioni.

La questione femminile tocca tutte le religioni che si sono affermate in contesti culturali fondati  su valori asimmetrici. Oggi la sensibilità per la pari dignità della donna e dell’uomo costringe ogni fede a ridiscutere i presupposti teorici contrari a quei principi.

In ambito cristiano il paradigma della corresponsabilità (partnership)  della donna è maggiormente presente nell’area protestante, dove le donne sono inserite in ogni attività sociale. Invece in area cattolica ancora prevale il paradigma della complementarietà della donna nella società, con mansioni di tutela della famiglia.

Le nazioni che aderirono alla Riforma protestante hanno raggiunto con anticipo rispetto a quelle cattoliche la parità in ambito politico e l’autonomia di coscienza. Per esempio, la Chiesa cattolica ancora vieta i metodi contraccettivi e non consente di dissociare la sessualità dalla procreazione. 

La Chiesa insegna che l'unione sessuale ha il proposito di esprimere il significato pieno dell'amore, unisce la coppia nella “procreazione”. Sopprimere la fertilità usando anticoncezionali significa, secondo la Chiesa, negare parte del significato inerente la sessualità matrimoniale. Perciò i due aspetti inerenti l’atto coniugale, quello unitivo e quello procreativo, non possono mai essere lecitamente separati. Chi lo fa contraddice la volontà di Dio sull’amore umano e commette “peccato”.
 
Troppo spesso la religione ha fatto ricorso all’inesistente Dio per giustificare le asimmetrie sociali ed economiche, per legittimare disuguaglianze, dando valore normativo a ciò che era legato al contingente contesto culturale.

La locuzione “Ecclesia semper reformanda” per adeguarsi ai  “segni dei tempi” e sopravvivere, fa anche comprendere che la “revisione” va calibrata tenendo sempre presenti le parole di Gesù di Nazaret, alieno da ogni forma di dominio (Lc 22, 25-26).

L’esclusione delle donne da alcuni ambiti e la loro invisibilità istituzionale è dovuta solo ad una questione di potere maschile. Se non lo fosse, non ci sarebbe alcun ostacolo a condividere e distribuire servizi e mansioni nella comunità ecclesiale.
Se la Chiesa si apre alla condivisione può cambiare anche l’immagine di Dio, non più punitivo e dominatore di sudditi timorosi, ma Padre “materno” e compassionevole, che tutti accoglie.

Ciò detto, non mi resta che ringraziare i pazienti lettori di questo topic giunto alla conclusione.

“io gitto con grazia il cappello,
poscia comodamente, pian pianino,
mi libero del mio vasto mantello
che mi attabarra, e lo spadon sguaìno”
.
(dal  "Cyrano de Bergerac" di Edmond Rostand)


Jean-Léon Gérôme: “Reception of “Le Grand Condé at Versailles”, 1878
« Ultima modifica: Aprile 14, 2017, 08:34:23 da dottorstranamore »