Scrittura creativa

Fuori Tema => Cassonetto differenziato => Topic aperto da: nihil - Settembre 29, 2012, 19:25:58

Titolo: perchè si dice così
Inserito da: nihil - Settembre 29, 2012, 19:25:58
avere la coda di paglia


Un'antica favola racconta che una giovane volpe cadde disgraziatamente in una tagliola; riuscì a fuggire ma gran parte della coda rimase nella tagliola. Si sa che la bellezza delle volpi è tutta nella coda, e la poveretta si vergognava di farsi vedere con quel brutto mozzicone. Gli animali che la conoscevano ebbero pietà e le costruirono una coda di paglia. Tutti mantennero il segreto tranne un galletto che disse la cosa in confidenza a qualcuno e, di confidenza in confidenza, la cosa fu saputa dai padroni dei pollai, i quali accesero un po' di fuoco davanti ad ogni stia. La volpe, per paura di bruciarsi la coda, evitò di avvicinarsi alle stie. Si dice che uno ha la coda di paglia quando ha commesso qualche birbonata ed ha paura di essere scoperto.


Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: presenza - Settembre 29, 2012, 23:48:51
e già, e aggiungo che quest'espressione ce l'ho in mente e con la stessa intonazione di come è stata pronunciata da quando vedendo il film Toy Story 2 con i miei figli, Woody il cowboy con la voce di Fabrizio Frizzi dice a Jessy la cowgirl: abbiamo la coda di paglia, eh?
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Settembre 30, 2012, 07:23:00
mi volevo attaccare al tuo post in cui  citavi il detto, ma non l'ho più trovato. :P
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Settembre 30, 2012, 08:06:57
a bizzeffe

Viene dalla lingua araba, dove bizzaf significa "molto".
E' anche interessante notare quanto dice il Minucci nelle "Note al Malmantile":
"Quando il sommo magistrato romano intendeva fare a un supplicante la grazia senza limitazione, faceva il rescritto sotto al memoriale, che diceva 'fiat, fiat' (sia sia) anziché semplicemente 'fiat', che scrivevasi quando la grazia era meno piena, dipoi per brevità costumarono di dimostrare questa pienezza di grazia con due sole 'ff', onde quello che conseguiva tal grazia diceva: Ho avuto la grazia a 'bis effe'".
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: presenza - Settembre 30, 2012, 11:08:48
Significato e derivazione delle parole in pillole... brava nihil. Spesso usiamo le parole senza sapere il vero significato, per induzione, abitudine, perché anche la parola sembra dovuta. Invece sapere la derivazione, chiedersi il perché è proprio di chi va alla ricerca delle cose e non ingoia soltanto.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Settembre 30, 2012, 14:25:55
io sono curiosissima di questi antichi modi di dire, di cui ormai si è perso la traccia originaria. Chissà se tre mille duemila anni si domanderanno come è nata la frase rompic...   :happy:
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Ottobre 02, 2012, 08:37:04
fare fiasco

Anticamente c'era a Firenze un artista comico che, ogni sera, si presentava tenendo fra le mani un oggetto nuovo; e su questo oggetto improvvisava versi buffi che facevano ridere il pubblico. Una sera si presentò con un fiasco, ma i versi non piacquero e ci fu un concerto di fischi. Da allora in poi si disse far fiasco per non riuscire in qualche cosa.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: presenza - Ottobre 07, 2012, 00:20:16

cani ca fui



Letteralmente "cane che fugge" per indicare un colore non ben definito, appunto simile a quello di un cane che fugge ed essendo molto veloce non sempre ne viene identificato chiaramente il suo colore.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Ottobre 08, 2012, 07:43:44
un colore interessante!  :D
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: ziaci - Ottobre 10, 2012, 00:25:47
a proposito di colori a me viene in mente il
tra su de ciuc (un po' coatto  ;D)
anche conosciuto come il moderno viola bordeaux  ;D
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Ottobre 10, 2012, 07:51:46
sì, sì, lo dicevamo sempre anche noi, ma bisogna tradurlo per i non lombardi.
tra = tirato
su= su
de= da
ciuc= ciucco, ubriaco

insomma colore vomito da ubriaco...una poesia!   :)
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Ottobre 10, 2012, 12:06:01
Fare la cresta sulla spesa


 
   Anticamente si chiamava agresto un condimento asprigno che si ricavava dall'uva poco matura e i contadini, quando coglievano l'uva poco matura per far l'agresto, coglievano anche un po' di quella buona che avrebbero invece dovuto portare al padrone; e si diceva far l'agresto per indicare questa piccola ruberia. In seguito, far l'agresto è diventato far la cresta.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Ottobre 16, 2012, 19:15:53
Per filo e per segno


Un tempo, gli imbianchini sul muro e i segantini sul legno usavano 'batter la corda', ossia tenevano sul muro o sul legno un filo intinto di una polvere colorata e poi lo lasciavano andare di colpo, in modo che ne rimanesse l'impronta. Tale impronta o segno indicava la linea da seguire nell'imbiancare o nel segare. Da lì è derivato l'uso di dire per filo e per segno per intendere 'ordinatamente, con sicura esattezza'.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Novembre 07, 2012, 20:41:17
baldacchino

La copertura di stoffa utilizzata fin dall'antichità dai regnanti deve il suo nome a BALDAC, un prezioso tipo di drappo originario della città di Babilonia,  chiamata anche BALDACCO.
Il nome della città mesopotamica, considerata nel medio evo covo di tutti i vizi, è all'origine della parola baldracca.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: RAFFAELE49 - Dicembre 05, 2012, 00:09:12
Da barbarea a natalea.

Sinonimo di 4 aprilante giorni 40 si usa a Napoli per dire che il giorno di santa Barbara sarà uguale a quello di Natale. Considerando il giorno spero di essere rimasto in tema. Non so se sia usato anche altrove.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Dicembre 05, 2012, 07:56:56
questa battuta non la sapevo, se è vera a Natale sarà una giornata bruttissima.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Dicembre 15, 2012, 19:14:27
porco boia!
ecco questa è facile, ma magari Bersani, mentre smacchia i giaguari o depila le palline del biliardo, ha un'altra versione. :) :prtr:
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Dicembre 16, 2012, 08:36:02
Tabula rasa



Si sa che gli antichi scrivevano su tavolette. Quando poi volevano usar di nuovo la tavoletta, facevano scomparire lo scritto precedente radendolo. Tabula rasa significava appunto la tavoletta da cui lo scritto era stato fatto scomparire.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: RAFFAELE49 - Dicembre 31, 2012, 01:18:56
mi sembra  che anche a Pompei usassero lo stesso sistema, però invece di pulire le tavolette ogni notte imbianacavano a calce i muri. Foorse che avremmo qualcosa da imparare sul riciclo da persone vissute 2000 anni fa ? 
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Gennaio 22, 2013, 07:52:53
vela latina

è il nome che si dà alle vele triangolari, ma non esiste alcuna testimonianza che la vela triangolare fosse effettivamente usata dai romani, che come gli altri popoli usavano vele rettangolari. Fu infatti inventata dagli arabi e portata in occidente nel periodo delle crociate dove assunse il nome di vela trina, per distin guersi dalla "vela alla quadra". Poi il nome fu corrotto i, "vela latina".
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Febbraio 19, 2013, 07:37:02
Troia

sempre in ricordo della mitica Elena. Deve essere stata una cosa che proprio non è andata giù a nessuno! :mah:
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 17, 2013, 23:07:04
Gorgiera

(http://www.origamigianluca.com/PHP/Immagini/Home/Gorgiera.jpg)

(http://www.lombardiabeniculturali.it/img_db/bcoa/C0050/2/l/1338_58ac00169.jpg)

Gorgiera: questo termine deriva da “gòrgia”, parola che indicava la gola.

Nelle antiche armature la gorgiera era la parte metallica o di rigido cuoio  che serviva per proteggere la gola dai colpi di spada.

Nell’abbigliamento femminile  medievale era la striscia di lino o di seta che  fasciava il mento, la gola ed il collo.

Nei secoli XVI e XVII  venne denominato gorgiera il collaretto di lino (spesso inamidato) o di pizzo increspato a cannelli, che circondava il collo e veniva legato dietro la nuca, portato dagli uomini e dalle donne dell’aristocrazia.

La testa dei nobili pareva poggiata su un piatto  pieghettato ed inamidato che stringeva il collo.

Poi la moda lanciò vestiti più accollati e gorgiere più ampie. Erano di lino, mussola o pizzo con piccole pieghe rese rigide dall’amido , da sottili fili di ferro e da cannucce nascoste che tenevano la gorgia rialzata sulla  nuca.

Nei ritratti della pittura fiamminga gli abiti sono neri, solo il viso è illuminato dal bianco della gorgiera, che nel  ‘700 venne modificata in “jabot”.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Marzo 18, 2013, 08:40:47
senti senti, interessante. ;)
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Marzo 18, 2013, 08:51:14
Il pomo della discordia

Gli antichi credevano che ci fosse una dea, figlia della Notte, sorella di Nèmesi (vendetta) e delle Parche (brutte vecchie dalle mani artigliate). Questa dea, amica di Marte, si chiamava Discordia e faceva onore al suo nome aizzando continuamente litigi, pettegolezzi e malignità. Giove, sereno e tollerante come tutti i grandi, la sopportò per un bel po' ma alla fine perse la pazienza e scacciò Discordia dal cielo. Rabbiosa per questo smacco, Discordia cercò ogni occasione per vendicarsi. Quando ci fu il matrimonio di Teti (dea del mare) e Peleo (semplice mortale) furono invitati dee e dei, uomini e donne, ma certo non fu invitata madama Discordia. Al culmine della festa, lei getto sulla tavola una mela d'oro su cui era scritto: "alla più bella". Le dee più belle presenti al banchetto erano tre: Giunone, Minerva e Venere. Ciascuna pretese la mela per sé e nacque un putiferio, la pace della festa fu turbata e l'allegria finì. Le tre dee si rivolsero ad un pastorello, Paride, perché decidesse quale fra loro fosse la più bella e Paride scelse Venere. Le altre due non si rassegnarono e da ciò derivò un mondo di guai.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Marzo 26, 2013, 08:05:17
APPIOPPARE


anticamente si faceva sostenere la pianta di vite a pali di pioppo.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Aprile 16, 2013, 08:41:21
fare una cosa di soppiatto


   L'espressione significa "agire furtivamente, di nascosto". Non tutti sanno, forse, qual è il significato proprio di "soppiatto". E' un aggettivo che si adopera esclusivamente nelle locuzioni simili: uscire di soppiatto; entrare di soppiatto, ecc. e propriamente vale "appiattandosi". E' composto con il prefisso "so(b)" ­ che è il latino "sub" (sotto) ­ e l'aggettivo "piatto" ­ che è tratto dal latino medievale "plattus" ('largo', 'aperto') ­ quindi "schiacciato". La persona che entra di soppiatto, quindi, figuratamente si "appiattisce", si "schiaccia" per ridurre il volume e non farsi notare.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Aprile 26, 2013, 14:46:10
Inciucio

Il sostantivo maschile inciùcio è onomatopeico: evoca il  cosiddetto "ciu-ciu" che si percepisce dal pettegolezzo a bassa voce  tra due persone.

La parola 'nciucio è un'espressione dialettale napoletana.

Il termine è entrato nel gergo della politica italiana in seguito all'uso errato che ne fece il giornalista Mino Fuccillo, in un'intervista a Massimo D'Alema per il quotidiano la Repubblica, il 28 ottobre 1995. Da allora "inciucio" è divenuto una parola comune  per riferirsi ad un accordo informale fra forze politiche di ideologie contrapposte che mette in atto un do ut des, oppure la  spartizione del potere od un intrigo.  Nel caso italiano, un tacito patto di non-belligeranza sarebbe stato stipulato, secondo alcuni giornalisti, tra Massimo D'Alema, in quel tempo segretario dei Democratici di sinistra,  e Silvio Berlusconi, durante una cena a casa di Gianni Letta: il cosiddetto "patto della crostata" (in riferimento al dolce preparato per quell'occasione dalla signora Letta). Secondo questa versione, D'Alema si sarebbe impegnato a non fare andare in porto una legge sulla regolamentazione delle frequenze televisive: a tale fine si sarebbe prestato l'allora presidente della ottava Commissione permanente del Senato, Claudio Petruccioli, non calendarizzando l'esame degli articoli del disegno di legge n. 1138 per tutta la XIII legislatura. Tale legge infatti avrebbe costretto il gruppo Mediaset a vendere una delle proprie reti (in tal caso avrebbe scelto probabilmente la meno importante, Rete 4). Inoltre, in quel periodo, Mediaset era in procinto di quotarsi in borsa, e una legge di quel calibro avrebbe fatto calare a picco il valore delle azioni. L'eventuale prezzo che l'altro contraente (Silvio Berlusconi) avrebbe promesso come merce di scambio, non è noto. D'Alema bollò come "inciuci" (cioè pettegolezzi privi di fondamento) tali affermazioni. A causa, probabilmente, della scarsa conoscenza dei dialetti meridionali da parte dell'intervistatore, al termine fu attribuito un significato distorto, che è poi quello per il quale oggi viene più frequentemente utilizzato.

Il lemma "inciucio" è stato usato anche da Ernesto Galli Della Loggia per un suo articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 24 aprile scorso.

"SE OGNI ACCORDO È UN INCIUCIO

Il sospetto universale

«L'inciucio!». Molti italiani si stanno ormai abituando a giudicare la politica nell'ottica di quest'unica categoria demonizzante, e quindi a vedere le cose e gli uomini della scena pubblica del loro Paese in una sola luce: quella del sospetto universale.

La prima caratteristica della categoria dell' inciucio , quella che la rende così facilmente utilizzabile, è la sua indeterminatezza. L' inciucio , infatti, come insegnano i suoi denunciatori di professione, si annida dovunque. Potenzialmente esso riguarda tutto e tutti. Può consistere nella sentenza di un tribunale, in un articolo di giornale, nella decisione di qualunque autorità, in una trasmissione televisiva, in tutto. Ma soprattutto è inciucio la trattativa, l'accordo, il compromesso esplicito, così come pure - anzi in special modo! - l'intesa tacita che su una determinata questione si stabilisce per così dire spontaneamente tra gli attori politici di parti diverse. Tanto più che perché di inciucio si possa accusare qualcuno non c'è bisogno di alcuna prova. Per definizione, infatti, l' inciucio si svolge nell'ombra, al riparo da occhi indiscreti. E dunque, paradossalmente, proprio la circostanza che di esso non si abbiano tracce visibili diviene la massima prova della sua esistenza. In questo senso la categoria d' inciucio , nella sua indeterminatezza e nella sua indimostrabilità, costituisce una sorta di versione in tono minore di un'altra ben nota categoria, da decenni ai vertici dei gusti del grande pubblico: la categoria dei «misteri d'Italia» con la connessa tematica del «grande complotto». Ogni vero inciucio , infatti, contiene inevitabilmente un elemento di «mistero», e d'altra parte ogni «mistero» non implica forse chissà quanti inciuci ?

Un ulteriore vantaggio che offre poi l' inciucio in termini polemico-propagandistici è che esso, di nuovo, può sottintendere tutto, il fare ma anche il non fare. Agli occhi dei suoi teorici esso è anzi soprattutto questo: è il non fare, il disertare, l'abbandono della posizione di fronte al nemico. Un aspetto, questo, che indica assai bene quale sia l'idea della democrazia che hanno i denunciatori di professione dell' anti inciucio . È un'idea per così dire bellica della democrazia, radicalmente fondata sul concetto di ostilità. Per non essere l'anticamera dell' inciucio (sempre in agguato!), la democrazia deve essere scontro permanente, continua denuncia dell'avversario e dei suoi disegni, illustrazione delle sue indegnità morali, smascheramento; ogni discorso deve sbugiardare, denudare, indicare al pubblico ludibrio.

La massima virtù civica non è la probità, è l'indignazione. Chi non si adegua, chi invece guarda alla democrazia come a quel sistema che si fonda, sì, sulle «parti» e sulla loro contrapposizione, ma anche, specialmente nei tempi difficili, sulla ricerca dell'accordo, sulla tessitura di compromessi, sulla moderazione di toni, sul riconoscimento dell'opinabilità di tutti i punti di vista (compreso il proprio, naturalmente) e della buona fede altrui, ebbene costui è già un potenziale «inciucista», un «traditore», un «venduto», degno di essere consegnato ai dileggi parasquadristici di cui per esempio sono stati vittime gli onorevoli Franceschini e Fassina nei giorni scorsi. Poiché in una tale ottica la mediazione non è il momento inevitabile di ogni prassi democratica; al contrario: ne diviene la più indegna negazione. Naturalmente ordita con i più torbidi scopi.

Inutile dire quanto abbia aiutato a radicare l'idea e la categoria d' inciucio la scoperta della spartizione, concordata per anni dietro le quinte, a opera dell'intera classe politica, di privilegi e benefici di ogni tipo e misura. Cioè la scoperta della «casta». Una realtà verissima e certo scandalosa: se si può muovere un rimprovero all'uso pubblico della quale, però, è di non avere sottolineato abbastanza che l'intera società borghese italiana è in verità una società di caste. Che la radice del male, dunque, non sta tanto nella politica quanto nella cultura, nella mentalità profonda delle classi dirigenti (e non solo) del Paese. Per cui in Italia tendono a essere una «casta» i giornalisti, i giudici, gli avvocati, gli alti burocrati, i professori, i manager, i funzionari dei gabinetti ministeriali, e così via: in vario modo tutti impegnati accanitamente a sistemare i propri figli possibilmente nello stesso mestiere, a impedire l'accesso ai nuovi venuti, ad accumulare privilegi, retribuzioni, eccezioni di varia natura, auto blu, simboli di status, diarie, cumuli pensionistici, trattamenti speciali, ope legis , e chi più ne ha più ne metta. Viceversa, declinata unilateralmente la categoria di «casta» porta a conseguenze strabilianti. Per esempio a quella di proclamare «un uomo al di fuori della politica» (Beppe Grillo) una persona certo degnissima come Stefano Rodotà, ma che comunque nei suoi ottant'anni è stato deputato dal 1976 al 1994, deputato europeo per un altro periodo, presidente del gruppo parlamentare della Sinistra indipendente, vicepresidente della Camera, ministro nel governo ombra Occhetto, presidente del Pds, e infine presidente di un'Authority, carica notoriamente di strettissima nomina politica. Qual è insomma, viene da chiedersi, il criterio d'inclusione nella «casta»? Forse non essere nelle grazie degli «anticasta»?

Ma il punto decisivo - lo sappiamo benissimo, senza che ce lo ricordino i professionisti dell' anti inciucio - è che nella politica italiana c'è Berlusconi. Vale a dire il bersaglio di un'indignazione obbligatoria - del quale, a dire di costoro, bisogna a ogni occasione chiedere l'ineleggibilità, la revoca dell'immunità, l'incriminazione, e quant'altro - mentre il solo evitare di farlo, non parliamo dell'avere un qualsivoglia rapporto con lui o con la sua parte, significherebbe, sempre e comunque, l' inciucio più vergognoso. Quando si discute di Berlusconi o con Berlusconi, infatti, se non si vuole passare per collusi il sistema è semplice: ogni sede pubblica deve divenire l'anticamera di una Corte d'assise. Il fatto che da vent'anni egli abbia un seguito di parecchi milioni di elettori (spesso la maggioranza) appare ai custodi della democrazia eticista un dettaglio irrilevante. Non già l'espressione di un problema della storia italiana, di suoi nodi antichi che solo l'iniziativa, le risorse e le capacità della politica, se ci sono, possono sciogliere. No: solo un problema di codice penale o poco più. E in ogni caso, male che vada, un'occasione d'oro per lucrare un po' di consenso mettendo sotto accusa chi si trovasse a pensare che le cose, come spesso capita, sono invece un po' più complicate."

Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Aprile 26, 2013, 19:48:58
ebbravo dott! mi domandavo proprio l'origine di questa parola, venuta all'attenzione dei media solo negli ultimi anni. Io credevo che si riferisse a ciucciare, molto più elegante di  leccare...come usa in politica.  ;D
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Maggio 02, 2013, 08:53:16

Tre vocaboli: nativo, aborigeno  ed indigeno, ci provengono dalla lingua latina e li usiamo attribuendo loro l'equivalente significato;  indicano le popolazioni originarie del  luogo dove abitano e  nonostante le colonizzazioni mantengono un’identità culturale e linguistica.  I tre lemmi furono utilizzati  dai  colonizzatori per indicare chi era lì prima del loro arrivo.

La parola “nativo”  (riferito al luogo di nascita) deriva da“nativus” e questo da “natus”, participio passato del verbo “nàsci” (= nascere). Vengono definiti “nativi” gli americani che abitano il continente da prima dell’arrivo dei colonizzatori europei.

Aborigeno: da “ab-origine” (= fin dalla origine), indica l’autoctono, l’originario abitante di un luogo;  per antonomasia: abitante primitivo dell'Australia.

Indigeno: parola composta da "inde" e "genus" e significa "lì nato".

I popoli indigeni sono circa cinquemila, sparsi in 70 nazioni di cui costituiscono le minoranze etniche, come i  Boscimani del Botswana  ed i Maori della Nuova Zelanda. Secondo le stime dell’Onu sono 370 milioni di individui , circa il 5% della popolazione mondiale. 
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Maggio 16, 2013, 14:40:01
superstizioso


super lo sappiamo cosa significa, ma...stizioso?  :mah:
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Ottobre 19, 2013, 14:58:43
SOSIA

Dalla commedia di Plauto "Anfitrione": in essa Mercurio assume l'aspetto del servo Sosia, generando equivoci e situazione comiche.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Ottobre 23, 2013, 10:07:59
Bischero

Bischero: è un tipico vocabolo del vernacolo toscano ma di origine incerta.

Viene utilizzato per indicare negli strumenti musicali a corda la spina di legno o di metallo girevole che viene usata per dare la necessaria tensione alla corda avvolta intorno ad essa ad un’estremità.

Nel parlato regionale, in particolare fiorentino, il significato corrente è il punto di arrivo di una trafila semantica.  Si dà del “bischero” all’individuo ingenuo, sciocco:  “tre volte bono vol di’ bischero”; “avere il quarto d’ora del bischero”; “tra bischeri s’annusano” (e di conseguenza si associano, anche nel web).

Lo scrittore Cesare Marchi (1922 – 1992) nel suo libro “Grandi peccatori grandi cattedrali”, che sto rileggendo in questi giorni, attribuisce l’origine del detto al cognome della nobile famiglia Bischeri, che nel 13/esimo secolo a Firenze aveva le proprie case nella zona tra Piazza del Duomo e Via dell'Oriuolo, nota oggi come "Canto dei Bischeri", ricordato in questa epigrafe marmorea

(http://1.bp.blogspot.com/_5O29IsFo25w/TPu4xlCWvfI/AAAAAAAAEx0/Tppd3tKX8hs/s200/cantoBischeri_DSC_7365.jpg)

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1c/Bischeri.JPG/250px-Bischeri.JPG)
(Il nome di un componente dei Bischeri inciso sul lato sud della Cattedrale)

Sull’area delle case di Bischeri  si doveva costruire  una parte del nuovo duomo, la chiesa di Santa Maria del Fiore. Ma i Bischeri chiedevano troppo. Le trattative  con loro furono estenuanti, a differenza di altri proprietari. Si narra che la famiglia voleva tirare sul prezzo perché i terreni nella zona erano saliti di valore per speculazione da quando era stato iniziato il progetto della cattedrale. Allora il Comune, la Repubblica fiorentina, espropriò e fece  abbattere le case bischeriane senza sborsare manco un fiorino.

Alcune fantasiose versioni popolari dicono invece che un violento e misterioso incendio bruciò tutte le case dei Bischeri, i quali rimasero senza quel patrimonio immobiliare e furono costretti a cedere i terreni ad un prezzo irrisorio.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Ottobre 23, 2013, 11:48:04
io propendo per la storia della famiglia Bischero.   
Cesare Marchi, un grande scrittore, troppo tresto scomparso.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Novembre 01, 2013, 06:04:50
Dante Alighieri: “E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Inferno XXXIV, 139)

(http://clanlacordata.files.wordpress.com/2013/08/cielo_stellato1.jpg)

Nella lingua latina le stelle o astri sono denominati “sidera”, dai quali deriva l’aggettivo “siderale” ed il verbo “con-siderare”, da “cum-siderare” (= guardare insieme le stelle), ma nel nostro tempo il verbo “considerare” lo usiamo col significato di valutare, analizzare. Collegato a sidera è anche il verbo de-siderare:  il prefisso “de” conferisce a “siderare” un’accezione di allontanamento dal  contemplare le stelle;  le  modifiche semantiche alla parola hanno ampliato il significato nel senso di  “cessare di vedere” e  poi  “sentire la mancanza” di ciò che non si vede e di desiderarlo.

L'etimologia della parola desiderio ci rimanda anche al “De bello Gallico” di Giulio Cesare: i desiderantes erano i soldati che la sera, dopo una battaglia, si mettevano sdraiati a guardare le stelle e ad aspettare i loro compagni che dopo aver combattuto durante il giorno, non erano ancora tornati. Da qui il significato del verbo desiderare: stare sotto le stelle ed attendere.

Gli antichi Romani definivano “sideratus” chi era stato colpito dall’influsso nefasto delle stelle. Da sideratus nacque nel medioevo il verbo “assiderare” (intorpidire per il freddo, colpito da assideramento perché esposto al freddo notturno sotto il cielo stellato).

In epoca romana le stelle venivano osservate anche  dagli àuguri, i sacerdoti  che avevano il compito d’interpretare la volontà divina dai “segni” (signa), “signa ex caelo” o “caelestia auguria”, come le saette (fulmina), i lampi (fulgura), i tuoni (tonitrua). Ma inizialmente gli àuguri traevano “auspicia” dall'osservazione del volo  degli uccelli o dal comportamento dei volatili.  Infatti “auspicia” deriva dalla frase latina “aves specere” = “osservare gli uccelli”.  E l’attività degli àuguri era chiamata augùrio o auspìcio.

Dalla parola “astro” deriva l’astrologia (= studio degli astri), che nel lontano passato scrutava il movimento dei pianeti e dei loro satelliti, invece nel nostro tempo si dedica agli oroscopi e riserva  lo studio del firmamento all’astronomia, la quale etimologicamente significa “legge delle stelle” ed è la scienza che osserva e spiega gli eventi nel “cielo”.

Un altro vocabolo di origine astrale è “dis-astro”, dal latino “disastrum”. Il prefisso  peggiorativo “dis” messo davanti ad “astrum” ne rende negativo il significato:=astro maligno, cattiva stella; di conseguenza avvenimento nato sotto cattiva stella, calamità, sciagura.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: ectobius - Novembre 01, 2013, 09:57:08
Sempre perfetto: rigoroso ed esauriente.
Grazie Stra!
Bellissima anche la foto.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Novembre 04, 2013, 15:05:55
bellissimo post e splendida foto!
Voglio aggiungere che l'uomo è stato definito anche " animale desiderante", il che completa il quadro.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Novembre 04, 2013, 15:21:05
 Da dove deriva il suo curioso nome del nostro fiumo POMi sono sempre chiesta perchè il nostro fiume avesse un nomino così a miseria, così a risparmio insomma...un poco più di fantasia no? Bè, ora ho scoperto il perchè e informo pure voi:

secondo recenti studi, il suo nome proviene da un vocabolo orientale, forse cinese che avrebbe il significato di palude. Tuttavia l’origine del suo attuale nome, si è sempre, considerata derivata da “Padus” facendo riferimento ai numerosi alberi di pino che costeggiavano le rive del fiume. “Pades”, difatti, sta ad indicare una resina prodotta da alcuni esemplari di pini selvatici presenti in abbondanza proprio vicino alle sorgenti del “Padus”.
Quel che è certo, è che da Padus deriva il termine “padano”, da lì il nome alla pianura padana, che per l’appunto si estende ai lati del fiume Po. Era conosciuto invece ai tempi della Grecia Antica con il nome di “Eridano”, che stava ad indicare un fiume mitico, indicato grossolanamente a sud della Scandinavia e formatosi dopo l’ultima glaciazione europea. Secondo i Celto-Liguri, il Po a quei tempi, veniva chiamato “Bondicus” che significa “scavare”, “render profondo”, mettendo in evidenzia la depressione geografica della zona fluviale padana.
Del primo nome del Po, “Eridano”, ad oggi rimangono poche tracce: “Eridano” è il nome di una delle 88 costellazioni moderne, chiamata così proprio in onore del fiume. Svelato quindi l’arcano, in estrema sintesi si può assumere che l’attuale nome del Po è semplicemente una contrazione della parola latina “Padus”.
 
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Novembre 20, 2013, 15:44:32
andare in visibilio

perchè in latino il Credo cristiano recita "visibilium omnium et invisibilium...( di tutte le cose visibili ed invisibili): nel parlare del popolo  invisibilium diventò in-visibilium, a significare prima "moltissime cose o persone" e infine "cose meravigliose, incredibili, emozionanti" ;D




Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Rossy pianist - Dicembre 02, 2013, 19:08:54
e perché si dice "arrampicarsi sugli specchi"? Avete una risposta anche per questo?  ??? :P ;)
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Dicembre 02, 2013, 19:22:11
provo ad informarmi.  ;)
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: piccolofi - Dicembre 03, 2013, 17:21:14

Magari semplicemente perche', essendo cosi' evidentemente lisci e perfetti, nonche' verticali.., l'espressione rende l'idea di cio' che' e' difficilissimo, praticamente impossibile, dunque estensivamente assurdo?
Uno che " si arrampica sugli specchi " e' uno che argomenta in modo distorto pur di arrivare a sostenere l'insostenibile.
Puo' andare una simile interpretazione?
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Rossy pianist - Dicembre 10, 2013, 18:05:30
approvata. ;D ;D ;D grazie :kiss:
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Dicembre 22, 2013, 09:06:49
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Marzo 17, 2014, 08:34:05


Il gioco non vale la candela





Il gioco non vale la candela“ è un’espressione di origine medievale. In quell’epoca, dal tramonto e fino al sorgere del sole, per illuminare era necessario utilizzare candele o lampade ad olio. Il prezzo delle candele era elevato, in special modo per le classi sociali meno abbienti.
I giocatori di carte che venivano ospitati in case private o che si recavano nelle locande, erano soliti consegnare ai proprietari una somma in denaro o, appunto, una candela. Questo modo di dire si diffuse tra i giocatori d’azzardo per indicare che nelle partite nelle quali si era perso molto denaro o nelle quali le vincite erano state minime, l’amaro risultato era quello di non riuscire a coprire nemmeno la spesa per la candela lasciata.
Si dice quindi “il gioco non vale la candela“ per indicare che un’azione non farà ottenere un profitto proporzionato alle aspettative o ai costi sostenuti. In inglese la frase è una traduzione letterale: “The game isn’t worth the candle”.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Aprile 26, 2014, 07:05:19
Mettere i puntini sulle i

perchè il puntino sulle i, assente nella grafia classica e in quella gotica, fu introdotta nel tardo medioevo, per distinguere questa vocale dai tratti verticali di lettere come la M/N/U: poichè l'uso fu ritenuto da molti una prova di scrupolo esagerato, l'espressione passò ad indicare un eccesso di pedanteria. :Ppp:



Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Birik - Aprile 26, 2014, 11:02:33
Quattro aprilante giorni quaranta, vuol dire che se piove il 4 aprile, pioverà per quaranta giorni. E il detto"Scarta fruscia e piglia priméra? Me lo sono sempre chiesta. Interessanti le parole che ci arrivano dopo lunghi giri. Gossip e bungalow due parole hindi arrivate in Europa quando gli Inglesi lasciarono l'India. La prima è in chiacchiericcio del pomeniggio, la seconda è la villa di campagna. Magnus rex è invece derivato da Maha(grande) raja(re). Sembra che la lingua madre sia stato il Sanscrito.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Aprile 26, 2014, 12:01:11
senti senti che notizie! mi ha sempre intrigato l'origine delle parole e dei detti, e molto anche i nomi geografici.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Birik - Aprile 26, 2014, 12:28:06
A me invece l'origine e l'etimologia delle parole. Ho un'amica antropologa che studia il linguaggio della pastorizia in Calabria rimasto invariato fin dai tempi della Magna Grecia.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Aprile 26, 2014, 12:34:00
sì, l'etimologia mi appassiona. ci sono paesi con ancora nomi latini, come Farafiliorumpetri. Incredibile. Mi pare sia in provincia di Chieti. Anche interessantissima è l'origine dei cognomi.
E come nota ovvia, non si può non considerare quanto ancora oggi ci sia di greco o romano nel nostro parlare. E i dialetti poi? sono una poesia della storia, con tutta la strada che hanno fatto le popolazioni.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Birik - Aprile 26, 2014, 12:41:40
Sembra che i cognomi abbiano avuto origine dai soprannomi o dai mestieri praticati. Il mio cognome è garanzia di bontà d'animo.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: RAFFAELE49 - Aprile 26, 2014, 12:48:09
Del mio so solo che ha probabili origini siciliane.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Aprile 27, 2014, 08:23:03
il mio ha origine emiliane.  Ma è interessante anche scoprire le contaminazioni, la mia tata bergamasca aveva un cognome spagnolo! La contaminazione delle varie dominazioni è curiosissima e si trova nelle musiche folk e nei dialetti. Il milanese è farcito di francese e spagnolo, il sardo di greco e portoghese, il siciliano di arabo...Gli assorbimenti si possono vedere anche nei balli e nelle musiche regionali.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Birik - Aprile 27, 2014, 13:26:32
Molti dialetti in realtà sono lingue. Il Napoletano (ricordo il primo documento in Italiano volgare fu il Placido di Capua intorno al '900 dc) è stato riconosciuto dall'Unesco come lingua. E mi sembra anche quella Veneta.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: presenza - Aprile 27, 2014, 19:36:44
I cognomi, come dicevano i latini sono anche conseguentiam rerum. Quanto all'origine, è vero, in Sicilia, in alcune zone come nell'ennese, i cognomi sono arabi: Calì è uno di questi.
Quanto alle parole, nel siciliano alcune sono anche di origine francese quali ammuari “armadio” (fr.armoire).
E quanto ai dialetti riconosciuti come lingua, non dimentichiamo il sardo.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Maggio 26, 2014, 07:05:02
Nella lingua greca la parola “polemòs” significa “guerra”.  Ma il termine italiano “guerra”  deriva dal franco “ẅerra” che significa mischia. Dal VI secolo la parola “guerra” cominciò ad esautorare  il  vocabolo latino “bellum”, che diventò desueto perché si confondeva con il termine bellus (bello).

Nella mitologia greca “Polemòs”  era il demone della guerra e  padre della divinità femminile Alalà:  personificazione del grido di battaglia degli Opliti: soldati della fanteria pesante nell’antica Grecia,  provvisti del caratteristico scudo chiamato oplon.

Il grido di battaglia di Alalà consisteva nel suo nome: "Alale alala". Tale grido di guerra fu usato anche nel medioevo, specie dai crociati.

"Alalà" riaffiorò nei componimenti poetici di Giosué Carducci e Giovanni Pascoli. Il termine fu  poi ripreso da Gabriele D’Annunzio per coniare il celebre incitativo "Eia! Eia! Eia! Alalà!" (o più comunemente "Eia, Eia! Alalà!") , come grido di esultanza degli aviatori italiani che parteciparono all'incursione aerea su Pola del 9 agosto 1917, durante la Prima guerra mondiale. Se "Alalà!" era l'urlo di guerra greco, "Eia!" era il grido con cui si tramanda Alessandro Magno era solito incitare Bucefalo.
In seguito, l'esclamazione fu inserita ne "La canzone del Quarnaro" che racconta l'avventura della "Beffa di Buccari"; raid dimostrativo portato a termine dagli incursori della Regia Marina l'11 febbraio 1918.
Il motto venne poi usato anche dai soldati italiani ribelli che seguirono D'Annunzio nell'Impresa di Fiume del 1919 e divenne popolare in tutta Italia quando fu adottato dal fascismo come grido collettivo di esultanza od incitamento, ma  declinò rapidamente dopo la caduta del fascismo.

La frase "Eia! Eia! Alalà!" è stata inserita nella canzone Giulio Cesare  di Antonello Venditti con la particolarità che Eia! viene ripetuto due volte  anziché tre.

Tornando al lemma polemòs: da questo deriva pure  il vocabolo greco  “polemikos”  “polemico”, che significa “arte della guerra”.

Il filosofo Eraclito di Efeso (544 circa a.C. – 483 circa a.C.) considerava la guerra elemento necessario per la pace.  Egli era convinto che l'armonia, l'ordine e la stabilità del mondo si basino sull'equilibrio degli opposti senza i quali neppure esisterebbero gli esseri. È pura illusione pensare ad una condizione umana vissuta in un'eterna pace, questa c'è perché c’è anche la guerra che simboleggia nel suo pensiero la fonte di ogni realtà.

Da polemos arriva anche “polemizein” (= combattere) e da questo il termine “polemizzare”: essere in polemica con qualcuno, opponendo attraverso scritti o discorsi le proprie idee a quelle dell’avversario.

Dalla stessa radice discendono politica e politèia.

Politica: dal greco “politiké”. Indica l’organizzazione e l’amministrazione della vita pubblica, il governo della polis (= città).

Da polis proviene polites (= cittadino), nel pieno dei suoi diritti e dei suoi doveri, contrapposto allo schiavo e allo straniero.

Per governare la polis è necessaria la politeia (la comunità politica):  termine proveniente dal greco antico che generalmente viene tradotto in italiano con riferimento alla  ”Costituzione”, invece ha un significato più ampio e complesso.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Maggio 27, 2014, 00:07:08

“Cos’è tutto questo ‘ambaradan’ ?”  Disordine ? Confusione ? E’ un toponimo,  ma pronunciato in modo sbagliato. Il nome esatto del luogo geografico è “Amba Aradam”, con la m finale,  e non ambaradan.

Amba Aradam è il nome dell’altopiano etiopico sul quale i soldati italiani comandati da Filiberto di Savoia-Genova, duca di Pistoia,  sconfissero l’esercito abissino il 15 febbraio 1936.  La propaganda fascista esaltò la cruenta battaglia e l’eroismo dei nostri militari.

Nella lingua etiopica  “amba” indica l’altura, il rilievo montuoso, seguito dal nome proprio della montagna, ne sono esempi  “amba Alagi”,  “amba Aradam”, ecc..
 
In Italia questo toponimo venne utilizzato per significare “confusione”, “baraonda”, forse perché  nella battaglia dell'Amba Aradam gli italiani si allearono con tribù locali, a loro volta alleate con il nemico, e nello scontro si creò una tale confusione per cui fu difficile capire contro chi combattevano.

In diverse città italiane vi sono vie che portano il nome "Amba Aradam".

(http://www.antiwarsongs.org/img/upl/ambaaradam.JPG)
Sullo sfondo l’Amba Aradam, in Etiopia.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Maggio 30, 2014, 07:34:25
bravo dott. mi ero sempre chiesta cosa significasse questa battuta.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Luglio 30, 2014, 11:27:31
"Gentrificata"

Il 2014 è l'anno della "gentrificazione". Neologismo che deriva dall'inglese "gentrification",  a sua volta derivato da "gentry"(= piccola nobiltà, poi borghesia e ceto medio).

 Il sostantivo "gentrification" indica la riqualificazione di zone o quartieri di solito periferici. La riqualificazione viene realizzata con nuove costruzioni e dinamiche sociali. l'arrivo di nuovi abitanti più dotati economicamente  Come conseguenza aumenta il costo delle locazioni e degli immobili ed avviene la migrazione degli abitanti originari  economicamente disagiati verso altre aree  urbane meno costose.

A Roma si dice che il "Pigneto" è "er quartiere più gentrificato d'à capitale". 

Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Orizzonti Esagonali - Luglio 30, 2014, 17:58:18
"Gentrificata"

Il 2014 è l'anno della "gentrificazione". Neologismo che deriva dall'inglese "gentrification",  a sua volta derivato da "gentry"(= piccola nobiltà, poi borghesia e ceto medio).

 Il sostantivo "gentrification" indica la riqualificazione di zone o quartieri di solito periferici. La riqualificazione viene realizzata con nuove costruzioni e dinamiche sociali. l'arrivo di nuovi abitanti più dotati economicamente  Come conseguenza aumenta il costo delle locazioni e degli immobili ed avviene la migrazione degli abitanti originari  economicamente disagiati verso altre aree  urbane meno costose.

A Roma si dice che il "Pigneto" è "er quartiere più gentrificato d'à capitale".

Mai sentita nominare questa parola finora; e meno male!
E basta, combattiamo contro il diffondersi di neologismi sciocchi che rovinano la nostra lingua.
“gentrificata”,“gentrificazione”, orridi termini, sia come pronuncia piuttosto difficile e sia perché possono essere accostati a significati volgari; inoltre si confonde con ”centrifugazione” che ha tutt'altro significato.

A dottò, ma nun c'hai proprio niente da fa' a Roma?
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Agosto 04, 2014, 09:17:46
Milano: via  Paolo Sarpi, la "Chinatown" del capoluogo lombardo si sta "gentrificando".  La zona storica dei cinesi sta attirando giovani coppie e professionisti.

Alla fine della prima guerra mondiale i primi immigrati cinesi si trasferirono nella zona di via Sarpi perché era una zona "borghese" in decadenza, come la zona di piazza Vittorio a Roma. I negozi chiudevano e le case costavano poco. Quindi c'era il potenziale per "buoni affari", spiega Angelica de Vito nel blog "Cina-Milano".

Quei cinesi arrivarono dalla Francia, dove erano stati mandati a sostituire gli uomini al fronte, e si spostarono in Italia. Si innescò così l'effetto calamita, e al primo nucleo seguirono altri flussi, prima dalla Francia e dall'Olanda e poi dalla Cina. Così nacque la Chinatown di Milano, zona di manifatture, in particolare abbigliamento.

Negli anni '80 del secolo scorso  i milanesi andavano in via Sarpi e nelle strade adiacenti per acquistare i regali di natale. Negli anni '90 e 2000 questo quartiere era diventato una zona di commercio all'ingrosso, alla ribalta della cronaca a causa dei tafferugli tra commercianti e vigili urbani nell'aprile 2007.

Poi l'arteria principale, via Sarpi,  fu pedonalizzata ed i negozi  commercialmente diversificati. Le trasformazioni stanno cambiando la natura del quartiere, spiega Claudio Bianchi, autore del libro "Il drago e il biscione, cent'anni di convivenza: i cinesi a Milano". Sta mutando anche la stratificazione sociale. Secondo l'anagrafe sono 25 mila i cinesi  residenti in città, ma sono numerosi quelli che lasciano il quartiere Sarpi per andare ad abitare dove le case costano meno, come Bicocca, piazzale Loreto o via Padova. Al loro posto stanno giungendo giovani professionisti che desiderano abitare vicino al centro storico, al quartiere Isola, alla stazione Garibaldi e ai nuovi grattacieli, simbolo del rinnovamento urbanistico di Milano.

Nella zona di via Sarpi man mano che si liberano gli appartamenti arrivano giovani coppie o single. Qui i negozi sono quasi tutti gestiti da asiatici, ma molti di questi abitano in altri quartieri. Inoltre, accanto ai venditori all'ingrosso ci sono anche negozi gestiti da italiani, studi di architetti, designer o videomaker.

Sta avvenendo la "gentrificazione", il processo in cui persone creative o professionisti "colonizzano" quartieri etnici e popolari.           
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Agosto 09, 2014, 12:02:43
"Rifiuti"

L’unità lessicale “rifiuto” deriva dal latino “refutare” (parola composta dalla particella “re” + “futare” (= gettare) da cui il verbo italiano “rifiutare”.

Da refutare deriva anche confutare, e dal latino “irrefutabilis”  abbiamo "inconfutabile", perché una cosa è evidente e non si può negare. 

Dall'italiano rifiutare discende il sostantivo “rifiuto”, che è anche la prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo rifiutare.

La parola rifiuto viene usata in diverse accezioni, per esempio come negazione di consenso, come diniego di un invito, di una proposta o di un’offerta, ma anche come eliminazione di qualcosa perché inutilizzabile, per esempio gli scarti alimentari o di altri materiali, la cosiddetta “immondizia”, perché immonda, sporca.

Rifiuto col significato di rinuncia fa pensare a Dante Alighieri e al suo 60/esimo verso del III canto dell’Inferno: “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”, alludendo al papa Celestino V, che abdicò al pontificato.

Lo scrittore ed aforista statunitense Ambrose Gwinnett Bierce (1842 – 1914) scrisse che “ci sono vari tipi di rifiuto, graduati secondo una scala discendente di finalità: il rifiuto assoluto, il rifiuto condizionale, il rifiuto probabile o ipotetico e il rifiuto femminile".
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Settembre 26, 2014, 16:12:01
"Gentrificata"

Il 2014 è l'anno della "gentrificazione". Neologismo che deriva dall'inglese "gentrification",  a sua volta derivato da "gentry"(= piccola nobiltà, poi borghesia e ceto medio).

 Il sostantivo "gentrification" indica la riqualificazione di zone o quartieri di solito periferici. La riqualificazione viene realizzata con nuove costruzioni e dinamiche sociali. l'arrivo di nuovi abitanti più dotati economicamente  Come conseguenza aumenta il costo delle locazioni e degli immobili ed avviene la migrazione degli abitanti originari  economicamente disagiati verso altre aree  urbane meno costose.

A Roma si dice che il "Pigneto" è "er quartiere più gentrificato d'à capitale". 


interessante, ma come si dice il caso contrario?
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Settembre 26, 2014, 16:14:27
Milano: via  Paolo Sarpi, la "Chinatown" del capoluogo lombardo si sta "gentrificando".  La zona storica dei cinesi sta attirando giovani coppie e professionisti.

Alla fine della prima guerra mondiale i primi immigrati cinesi si trasferirono nella zona di via Sarpi perché era una zona "borghese" in decadenza, come la zona di piazza Vittorio a Roma. I negozi chiudevano e le case costavano poco. Quindi c'era il potenziale per "buoni affari", spiega Angelica de Vito nel blog "Cina-Milano".

Quei cinesi arrivarono dalla Francia, dove erano stati mandati a sostituire gli uomini al fronte, e si spostarono in Italia. Si innescò così l'effetto calamita, e al primo nucleo seguirono altri flussi, prima dalla Francia e dall'Olanda e poi dalla Cina. Così nacque la Chinatown di Milano, zona di manifatture, in particolare abbigliamento.

Negli anni '80 del secolo scorso  i milanesi andavano in via Sarpi e nelle strade adiacenti per acquistare i regali di natale. Negli anni '90 e 2000 questo quartiere era diventato una zona di commercio all'ingrosso, alla ribalta della cronaca a causa dei tafferugli tra commercianti e vigili urbani nell'aprile 2007.

Poi l'arteria principale, via Sarpi,  fu pedonalizzata ed i negozi  commercialmente diversificati. Le trasformazioni stanno cambiando la natura del quartiere, spiega Claudio Bianchi, autore del libro "Il drago e il biscione, cent'anni di convivenza: i cinesi a Milano". Sta mutando anche la stratificazione sociale. Secondo l'anagrafe sono 25 mila i cinesi  residenti in città, ma sono numerosi quelli che lasciano il quartiere Sarpi per andare ad abitare dove le case costano meno, come Bicocca, piazzale Loreto o via Padova. Al loro posto stanno giungendo giovani professionisti che desiderano abitare vicino al centro storico, al quartiere Isola, alla stazione Garibaldi e ai nuovi grattacieli, simbolo del rinnovamento urbanistico di Milano.

Nella zona di via Sarpi man mano che si liberano gli appartamenti arrivano giovani coppie o single. Qui i negozi sono quasi tutti gestiti da asiatici, ma molti di questi abitano in altri quartieri. Inoltre, accanto ai venditori all'ingrosso ci sono anche negozi gestiti da italiani, studi di architetti, designer o videomaker.

Sta avvenendo la "gentrificazione", il processo in cui persone creative o professionisti "colonizzano" quartieri etnici e popolari.           
conosco bene la zona, ma non sapevo la sua origine. Penso alle case dette " ringhiera" che una volta erano dei poveracci, ora fanno tanto figo!
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Settembre 26, 2014, 16:16:04
"Rifiuti"

L’unità lessicale “rifiuto” deriva dal latino “refutare” (parola composta dalla particella “re” + “futare” (= gettare) da cui il verbo italiano “rifiutare”.

Da refutare deriva anche confutare, e dal latino “irrefutabilis”  abbiamo "inconfutabile", perché una cosa è evidente e non si può negare. 

Dall'italiano rifiutare discende il sostantivo “rifiuto”, che è anche la prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo rifiutare.

La parola rifiuto viene usata in diverse accezioni, per esempio come negazione di consenso, come diniego di un invito, di una proposta o di un’offerta, ma anche come eliminazione di qualcosa perché inutilizzabile, per esempio gli scarti alimentari o di altri materiali, la cosiddetta “immondizia”, perché immonda, sporca.

Rifiuto col significato di rinuncia fa pensare a Dante Alighieri e al suo 60/esimo verso del III canto dell’Inferno: “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”, alludendo al papa Celestino V, che abdicò al pontificato.

Lo scrittore ed aforista statunitense Ambrose Gwinnett Bierce (1842 – 1914) scrisse che “ci sono vari tipi di rifiuto, graduati secondo una scala discendente di finalità: il rifiuto assoluto, il rifiuto condizionale, il rifiuto probabile o ipotetico e il rifiuto femminile".

i tipi di rifiuto sono infiniti, come il tempo! ci sarà sempre un rifiuto in più, rispetto agli usuali. Bravo Dott.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Gennaio 31, 2015, 15:43:10
"Diamante"

Il nome “diamante” deriva dal latino “adamàntem” e questo dal greco greco “adamàntos”.

L’ellenico lemma “adamàs” (dal verbo “damao” = io domo) è composto dalla “a” privativa + “damas” (= indomabile). La parola veniva usata per indicare la durezza dell’acciaio, ma fu ampliata di significato e passò a denotare anche la dura pietra del diamante, che dopo il taglio viene  pure denominato “brillante” perché esprime l’eccezionale gioco di luce.
 
Il  diamante è carbonio puro in cristalli, il suo valore è commercialmente determinato dalle cosiddette quattro “c”: colour (colore), clarity (purezza),cut (taglio), carat (la caratura, cioè il peso).

Il dono di un anello “solitario” con diamante alla donna amata simboleggia il legame senza fine.

“Diamonds are a girl’s best friend…”, cantava Marilyn Monroe nel film “Gli uomini preferiscono le bionde”.

Un proverbio ebraico afferma: “Una parola detta al momento giusto è come un diamante incastonato nell’oro”.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Aprile 15, 2015, 15:01:47
"Miserere" è l’incipit  del salmo 51 (salmo 50 nella cosiddetta versione vulgata in lingua greca della Bibbia): significa “abbi pietà”. E’ un salmo penitenziale che esprime il pentimento del peccatore che invoca il perdono di Dio.

La frase in lingua latina è : "Miserere mei, Deus, secundum magnam/ misericordiam tuam". ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia").

Il canto del "Miserere" accompagna numerose celebrazioni del periodo pre-pasquale, in particolare viene spesso cantato durante le processioni che si svolgono il Venerdì Santo.

Alcune espressioni popolari: "È al Miserere", "Gli si può cantare il Miserere", si riferiscono ad una persona in fin di vita, e si spiegano col fatto che le preghiere di veglia per i defunti comprendevano la recitazione del Salmo 51 (50).

Anche “misericordia” deriva dal latino. La parola è composta dal verbo  “misereri” (= avere pietà) e da “cor, cordis” (= cuore), indica la compassione per l’infelicità altrui. 

La misericordia è una  virtù, motiva a far del bene, perciò fu usata per la denominazione di confraternite cattoliche dedite al soccorso, ad alleviare la sofferenza.
 
Fu nella Firenze del XIII secolo che per la prima volta questo sostantivo femminile fu utilizzato come nome per un ente assistenziale, che offriva cure gratuite ad ammalati e feriti, e provvedeva alla sepoltura dei morti derelitti: la “Venerabile Arciconfraternita della Misericordia”,  creata  durante l'epidemia di peste, ed è ancora esistente.

Sono numerose le associazioni e  le confraternite di volontariato che ancora oggi nel nome della Misericordia operano nell'ambito dell'assistenza medica. Sul proprio stendardo associativo raffigurano l’immagine della Madonna della Misericordia che protegge la confraternita. Questa tipologia mariana fu introdotta nell’iconografia cristiana nel XIII secolo. La  “Madonna della Misericordia” è rappresentata stante (in piedi), nell'atto di accogliere sotto il suo ampio mantello i fedeli supplici. E’  la  manifestazione visiva del richiamo alla fratellanza sociale, da cui il nome di“fraternità” o confraternita.  La raffigurazione della Vergine sullo stendardo della compagnia (insegna a due facce dipinta su tela e portata in processione durante le cerimonie pubbliche, oppure dipinta su tavola come pala d’altare per gli oratori della liturgia fraternale) diviene emblema visivo della tutela spirituale concessa da Maria ai suoi devoti.

“Misericordia” è anche il nome di una daga corta, o pugnale,  con lama robusta a doppio filo, adatta a penetrare le maglie della corazza per finire il nemico ferito o agonizzante, diffusa dal XIV al XVII secolo.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Aprile 21, 2015, 08:47:55
Errore ed errante

Dal punto di vista grammaticale “errore” è un sostantivo maschile, invece “errante” è il participio presente del verbo errare ma può avere anche la funzione di aggettivo.

Erróre  deriva dal latino  error,  indica l’allontanamento da ciò che è o è ritenuto vero, giusto, normale.

Errante: Che va senza meta.

C’è differenza tra il commettere un errore e l’incorrere in uno sbaglio. Si commette l’errore  quando deliberatamente ci si allontana dalla verità, da ciò che ci può far raggiungere i nostri obiettivi. Invece si commette uno sbaglio quando erroneamente deviamo dalla meta.
 
Il pontefice Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in terris”, pubblicata l’11 aprile del 1963,  distingue tra l’errore e l’errante.
 
Nel capitolo 83 della predetta enciclica, riguardante i rapporti fra cattolici e non cattolici in campo economico-sociale-politico, il papa afferma: “Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità…”. 
Questo capitolo fa capire che l'impegno dei cattolici con partiti e movimenti lontani dalla chiesa può essere positivo, che la collaborazione con essi può essere in certi frangenti storici opportuna. Tale affermazione fu considerata in Italia come un incoraggiamento alla svolta verso il centrosinistra, l’alleanza tra la Democrazia cristiana e il Partito socialista.

Alcuni anni prima dell’enciclica giovannea fu il sacerdote don Primo Mazzolari a distinguere tra errore ed errante nel libro “La più bella avventura”,  che è un ampio commento alla parabola evangelica del figliol prodigo.

Don Primo Mazzolari indicava “al cattolicesimo italiano la necessità di abbandonare ogni atteggiamento di paura e di contrapposizione polemica verso coloro che  erano considerati estranei, o nemici, rispetto alla comunità cristiana.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Maggio 09, 2015, 18:58:06
Areola - Aureola

Areola ed aureola: due parole da non confondere.

Areola (plurale: areole): deriva dall’omonima parola in lingua latina; diminutivo di area = piccola area.
 
Areola mammaria: è la cute pigmentata  che circonda il capezzolo, in corrispondenza della sommità della mammella.

La colorazione dell'areola dipende  da due pigmenti presenti in questa zona: l’eumelanina e la feomelanina. A seconda della loro concentrazione l'areola può essere più scura se il tessuto areolare è più abbondante di eumelanina, più rossastra o rosacea se il tessuto areolare è più abbondante di feomelanina. La colorazione dell'areola dipende anche dalle variazioni ormonali.

L'areola in genere assume una colorazione più scura durante il periodo della gravidanza, durante la quale aumenta la dimensione. Si espande anche durante l'allattamento.

La cute areolare ha ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee (che rendono il capezzolo morbido ed elastico), e ghiandole mammarie nane che si ipertrofizzano.

Aurèola: deriva dal latino “aureolus” (da “aurum” = “oro”).

Nell’Antico Testamento è citata la “corona aureola” in passi  dell’Esodo(25,25; 30, 3;  37,27).

Nell'arte classica greca (prima nella pittura e poi nella scultura) l’aureola veniva attribuita ad alcune divinità pagane della luce, come Elios (il Sole) ed Artemide (la Luna). 

Nella tardoantichità romana l’attributo dell’aureola è rara e destinata alle statue di alcuni imperatori e consoli.

Nell'iconografia cristiana, invece, l’aureola è diffusa inizialmente come attributo di Cristo e degli angeli; non indicava la santità del personaggio raffigurato, ma unicamente la sua natura ultraterrena. A Roma, nel mausoleo di Santa Costanza (seconda metà del IV secolo) l’aureola di Cristo è di colore blu per simboleggiare la dimensione eterea del soggetto raffigurato. Di colore blu sono anche le aureole degli angeli nei mosaici della basilica romana di S. Maria Maggiore (432-440).

In seguito, in particolare dal VI secolo, per le aureole venivano usati l’oro e l’argento per simboleggiare l’emanazione di luce. Oltre a Cristo e agli angeli le aureole vennero attribuite anche agli evangelisti, all’Agnus Dei (un esempio del V secolo è nella catacomba di Marcellino e Pietro a Roma),  agli apostoli, alla Vergine Maria, ai santi,  e ai profeti.

In numerose pitture paleocristiane, nei mosaici bizantini e negli affreschi romanici anziché gli aloni luminosi venivano raffigurati nimbi di forma quadrata per indicare che il personaggio rappresentato era vivo al tempo dell’esecuzione dell’opera, quasi sempre un papa, un vescovo o il committente.

Sul capo o dietro la testa delle statue le aureole sono metalliche, rotonde o a raggiera e di color oro.


Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Maggio 11, 2015, 14:17:38
Mitopoiesi

Mitopoiesi: sostantivo femminile di origine greca, composto da mito (dal greco “mythos”) + poiesi (dal greco poiesis).

Mito: significa racconto, anche di tipo religioso, come la narrazione biblica (Genesi) della vita sulla Terra.

Poiesi: deriva dal verbo greco 'Poieo' che significa fare. Appare la prima volta in Erodoto col senso di "creazione poetica".

La parola mitopoiesi  viene di solito usata per indicare la creazione di un mito, l’invenzione di una leggenda, una favola, la rielaborazione in forma mitica di fatti, eventi.   

Nell’interpretazione dell’antropologia culturale è il processo di formazione ideologica con cui si attribuisce a fatti reali o alla narrazione di essi un valore fantastico di riferimento culturale e sociale.

Nella letteratura moderna e nei film indica la mitologia fantastica  creata dall'autore (come lo scrittore britannico J.R.R. Tolkien) od elaborata dal regista.


Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Maggio 21, 2015, 16:58:26
Voltagabbana: questa parola composta deriva dal "gabbano", un lungo cappotto senza cintura, spesso con cappuccio e a volte foderato di pelliccia. Veniva usato nel medioevo per proteggersi dal freddo e dalla pioggia, soprattutto durante le cavalcate. Indicava anche la casacca da lavoro per operai e contadini.

La parola “gabbano” deriva dall’arabo “qabà”: il vocabolo evoca la “cappa”, l’ampio mantello usato dai nobili nel XVII secolo. Nel tempo il lemma “cappa” è stato ampliato di significato ed indica anche la parte del sistema di smaltimento dei fumi. In architettura denota lo spicchio di cupola tra due costoloni.

Una variante di “gabbano” è “gabbana”. In passato indossata dai militari.

La gabbana poteva essere rivoltata ed indossata anche al rovescio, motivo per cui i militari che disertavano l’esercito  utilizzavano questo stratagemma per non essere riconosciuti durante la fuga e per essere scambiati per cittadini comuni.

Dal voltare la gabbana dalla parte opposta deriva  lo spregiativo  “voltagabbana”, detto a chi cambia facilmente idee o opinioni o muta il proprio comportamento in modo da trarne un vantaggio.

Fino all'autunno del 2013 Matteo Renzi era solo, attaccato più all'interno che all'esterno del suo partito. Nel giro di pochi mesi, molti dei suoi avversari hanno voltato gabbana, sono diventati renziani, e alcuni fanno parte della squadra di governo. Dopo la clamorosa vittoria del Pd alle elezioni europee del maggio 2014, un folto gruppo della classe dirigente del paese si è messo a disposizione del giovane presidente del Consiglio, sperando di conquistare un ruolo di primo piano. "Ma visto che da noi non cambiava niente, l'ondata di renzismo è improvvisamente cessata" racconta il premier nel lungo colloquio accordato a Bruno Vespa per questo libro. I voltagabbana sono una costante della storia nazionale. Dal Risorgimento, quando venivamo accusati di vincere le guerre con i soldati degli altri, alla prima guerra mondiale, di cui ricorre il centenario, quando in nome del "sacro egoismo" a un certo punto ci trovammo a combattere a fianco delle due fazioni opposte, per scegliere infine quella vincente, rivolgendo le armi anche contro i tedeschi, nostri alleati da trent'anni. Mussolini, che voltò gabbana come interventista prima della Grande Guerra, si alleò con Hitler nella seconda anche perché gli era rimasto il complesso del "tradimento" del 1915. Alla caduta del fascismo, i voltagabbana furono milioni, e Vespa narra con divertito stupore la storia di prestigiosi intellettuali e artisti diventati all'improvviso antifascisti dopo aver orgogliosamente inneggiato al Duce fino al 25 luglio...
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Settembre 04, 2015, 06:50:54
gossip/pettegolezzo

Pettegolezzo, in inglese “gossip”.

Gossip è una parola composta, deriva da “god-sib”: indica la madrina o il padrino di battesimo o cresima del cosiddetto “figlioccio”, dal latino “filiolus”,  diminuitivo di “filius”.
 
Fino a pochi anni fa specie nel meridione d’Italia anziché madrina o padrino si usavano i termini “compare” e “comàre”.  Compare deriva dal latino “compatrem”, parola composta da “com” (in latino “cum” = insieme) e “pàter” (= padre); comàre dal latino “commater”, parola composta da “com”, dal latino “cum” (= insieme) e “mater” = madre.
 
Nel  XVII secolo cominciò l’ampliamento di significato della suddetta parola “god-sib”  e la fecero approdare nel “gossip”, che nel nostro tempo indica la  “cronaca rosa”, gli amori, le infedeltà o altro di noti e meno noti personaggi o v.i.p.

Nel passato il gossip avveniva tra due persone che si scambiavano confidenze iniziate con l’incipit “lo sai che”…. E giù a “sparlare” su amici, colleghi, vicini di casa, conoscenti.  Con la diffusione dei media  il gossip si è focalizzato sui “segreti” dei divi.

I cosiddetti “rumor”, le “dicerie” sono voci che corrono, si diffondono con commenti maliziosi o malevoli verso altre persone.   E per avere informazioni c’è chi guarda il rotocalco televisivo preferito, chi legge giornali specializzati, chi telefona all'amica per le novità dell'ultima ora, chi accosta l'orecchio al muro di casa per ascoltare i litigi dei vicini. Il motivo? Soddisfare l'innata esigenza di entrare nella vita degli altri, famosi e non, di conoscere i particolari di amori e tragedie, debolezze e virtù, insomma di “pettegolare”.

Pettegolo/a  è chi gradisce “sussurrare” notizie riguardanti i comportamenti altrui.

L’aggettivo “pettegolo”  deriva, secondo alcuni etimologisti, dalla parola dialettale veneta “petegolo”, “petegola”, con allusione al  “peto”,  per l’incapacità di mantenere un segreto di cui si è a conoscenza.

Nelle relazioni sociali il pettegolezzo fa parte della “normalità”. Soddisfa la curiosità di chi ascolta o legge la notizia. E’  anche un modo  per manipolare la reputazione altrui o insinuare un dubbio nell’opinione di un’altra persona.
 
“Questo posso dirlo solo a te”…, oppure: “Lo sai solo tu”, per creare complicità, intimità. Se ci si fermasse sulla soglia della maldicenza, il pettegolezzo sarebbe solo una “chiacchiera” da verificare. Un “divertimento”.  Ma purtroppo spesso danneggia.   

Nel biblico Libro dei Proverbi ci sono dei versetti che invitano alla prudenza per evitare le conseguenze dei pettegolezzi.  Per esempio,  “Il  pettegolo tradisce una confidenza; perciò evita un uomo che parla troppo” (20:19).   “Un uomo poco saggio deride il vicino, ma l’uomo saggio trattiene la lingua”. “Un pettegolezzo tradisce una confidenza, ma un uomo degno di fiducia mantiene il segreto” (11:12-13). Il perverso pettegolo crea dissenso e separa gli amici più cari, (16:28).
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Birik - Settembre 04, 2015, 09:18:22
Mi risulta che gossip sia una parola indù gapshap, derivata dal Sanscrito che indica il chiacchiericcio del pomeriggio. Passata alla lingua inglese dopo 150 anni di colonialismo e diventata di uso comune. Un'altra parola che ha fatto lo stesso percorso è bangla, villa, abitazione di campagna che si è trasformata in "bungalow" e che si pronuncia come in Hindi.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Settembre 13, 2015, 00:17:03
Dignità

Il sostantivo “dignità” deriva dal latino “dignitas”, e questo da “dignus”  (= degno) che significa  “meritevole”, per esempio di essere rispettato.

Il concetto di dignità è mutato nei secoli. Nell’antichità la dignità era considerata un oggetto di conquista, come la gloria o l’onore degli eroi omerici. In epoca romana, secondo Marco Tullio Cicerone, la dignità dell’individuo coincideva  con il ricevimento di una onorificenza politica o con l’azione conforme al dovere.

Nel VI sec. d.C. il filosofo Severino Boezio (475 – 525), che con i suoi saggi influenzò la filosofia cristiana medievale, ne “La consolazione della filosofia” ampliò il significato della parola “dignità”, attribuendola all’interiorità dell’individuo e non all’esteriorità con la ricerca della gloria o con il ricevimento di un incarico onorifico. Per Boezio la virtù possiede una dignità che si rende manifesta in chi la possiede.

La questione intorno al carattere ontologico (per dotazione naturale) e al carattere acquisito (per prestazione) della dignità è stata prolungata nei secoli giungendo fino a noi. Nel nostro tempo la  dignità  è considerata un valore in sé, con  valenza etica e sociale; si manifesta nelle relazioni interpersonali con l’esigenza del suo rispetto nella convivenza. 

La Chiesa cattolica proclama la dignità e i diritti della persona nei discorsi pontifici e nelle lettere pastorali, per esempio,  Giovanni XXIII (“Pacem in terris)”; Paolo VI (“Populorum progressio”); Giovanni Paolo II con le encicliche “Redemptor hominis”; “Dives in misericordia” e “Laborem exercens”.
Altri insegnamenti provengono dal Concilio Ecumenico Vaticano II, in particolare dalla costituzione pastorale “Gaudium et Spes”.

Nel linguaggio quotidiano usiamo espressioni come “una persona con una dignità” oppure “perdere la dignità”: sono frasi che tendono ad esprimere un carattere accidentale di questo valore. La dignità, pare dirsi con il linguaggio comune, può essere acquisita con azioni virtuose o persa con azioni deplorevoli.

La “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (1948) afferma che:  “Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. […] Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.  La detta “Dichiarazione” evidenzia l’intrinsecità della dignità e la sua ineliminabilità.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Ottobre 02, 2015, 08:30:55
Giubileo.

Il prossimo 8 dicembre, giorno dedicato dalla Chiesa cattolica alla commemorazione dell’Immacolata concezione, comincerà il giubileo straordinario, detto giubileo della misericordia, voluto da papa Francesco per rendere più evidente ai credenti la missione  misericordiosa della Chiesa e la misericordia di Dio.
 
Questo giubileo o “anno santo” si  aprirà nel cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II e durerà fino alla festa di Cristo Re, il 20 novembre 2016.

Il sostantivo "giubileo" deriva dal latino ecclesiale “jubilaeum” che a sua volta discende dall’ebraico yōbēl: significa montone o ariete; per traslato indica il suono del corno di montone, che veniva suonato per annunciare al popolo d’Israele l’l’inizio dell’anno giubilare, che si svolgeva ogni 50 anni.

Nel biblico libro del Levitico c’è scritto: “... nel giorno dell'espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarate santo il cinquantesimo anno e proclamate la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia”.(Levitico 25, 8-10). Ed ancora nel Levitico: “Il cinquantesimo anno sarà per voi un Giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il Giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi”.(Levitico 25,11-12).

Oltre l’astensione dal lavoro agricolo, avveniva l'affrancamento degli schiavi, la remissione dei debiti e la restituzione agli Israeliti della terra dei loro padri, eventualmente venduta o persa cadendo in schiavitù. Il Giubileo perciò rappresentava un vero e proprio momento di giubilo. Il suo annuncio veniva dato il primo giorno del primo mese dell'anno civile da parte dei sacerdoti, mediante il caratteristico suono prodotto soffiando nel corno vuoto del montone.

Nella Chiesa cattolica il giubileo è comunemente detto "anno santo", perché c’è la remissione dei peccati, la riconciliazione, la conversione e la penitenza sacramentale.

Un evento che precorse il giubileo cattolico fu la “Perdonanza”, istituita dal papa Celestino V il  29 settembre 1294 con la “Bolla del Perdono” che concedeva l’indulgenza plenaria a tutti i confessati e pentiti.
 
Pochi anni dopo il successore di Celestino, il pontefice  Bonifacio VIII, istituì nel 1300  il primo Giubileo, con annessa indulgenza plenaria per i peccati commessi ed obbligo della visita  alle basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura. Inoltre, stabilì la ripetizione del giubileo ogni cento anni. Ma nel 1350  Clemente VI per parificare l’intervallo giubilare cattolico a quello del giubileo ebraico, decise di ridurre la cadenza a 50 anni;  Urbano VI nel 1389, a ricordo degli anni di vita di Gesù, stabilì che il Giubileo si celebrasse ogni 33 anni; ulteriormente ridotti a 25 anni dal pontefice Paolo II nel 1470. 

Il giubileo può essere ordinario, se legato a scadenze prestabilite, straordinario, se viene indetto per qualche avvenimento di particolare importanza. Quello che  comincia il prossimo 8 dicembre è un giubileo straordinario dedicato alla misericordia divina.

La consuetudine di indire giubilei straordinari risale al XVI secolo. Nel XX secolo furono indetti giubilei straordinari  nel 1933, indetto da Pio XI,  e nel 1983, indetto da Giovanni Paolo II.

La durata delle celebrazioni per il giubileo è annuale (Anno Santo) e per fruire delle indulgenze giubilari è prescritta la visita, in spirito di penitenza e conversione, alle tombe degli Apostoli nelle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo fuori le mura,  poi alle basiliche di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore.

L'Anno Santo ordinario inizia il giorno della vigilia di Natale con l'apertura da parte del Pontefice della Porta Santa della basilica di S. Pietro. Essa simboleggia la via della salvezza e varcarla significa (o dovrebbe significare) la conversione spirituale.

In passato la porta veniva smurata parzialmente prima della celebrazione, lasciando un diaframma muraro che il papa rompeva con un martelletto; quindi gli operai completavano la demolizione. Invece per il Giubileo del 2000 papa Giovanni Paolo II  volle un rito più semplice: il muro venne rimosso in anticipo lasciando solo la porta chiusa, che il papa aprì spingendo i battenti.

Si deve al pontefice Alessandro VI, il noto papa Borgia, la definizione delle cerimonie di inaugurazione e di chiusura degli anni santi, che fino ad allora non avevano seguito riti specifici. Alessandro VI stabilì un cerimoniale solenne e da allora rimasto sostanzialmente inalterato. Egli volle che l’inizio dell’anno giubilare fosse segnato da un evento simbolico e lo individuò nell’apertura della "porta santa", esplicito richiamo alle parole del Vangelo di Giovanni: “Io sono la porta. Chi per me passerà sarà salvo”.

Nella basilica di San Pietro l’apertura della “porta santa” spetta al pontefice, invece le porte sante che sono nelle basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e di Santa Maria Maggiore vengono aperte dai legati pontifici, di solito cardinali. 
Le porte sante rimangono aperte (a parte la normale chiusura notturna) fino al termine dell’Anno santo, quindi vengono murate di nuovo.

Del giubileo oltre l’aspetto religioso c’è quello economico, lucroso per la Chiesa cattolica con le offerte e le donazioni dei cosiddetti "pellegrini",  e gaudioso per albergatori, ristoratori, tassisti e guide turistiche.
Titolo: elettricità
Inserito da: nihil - Ottobre 10, 2015, 12:09:11
la storia è lunga, il nome elettricità deriva dall'usa delle prime monete. Era usata la pietra chiamata elettro che è un miscuglio di oro e argento. Le pepitine che vennero usate come prime monete si trovavano in un fiume della Grecia e la leggenda dice che lì stavano perchè vi si era lavato le mani il mitico Re Mida, che lì si era lavato le mani ed aveva passato la sua maledizione al fiume. Come moneta venivano usate anche pezzetti di ambra che come si sa, se strusciata si elettrizza, da ciò il nome di elettricità!
Titolo: Re:elettricità
Inserito da: Doxa - Ottobre 20, 2015, 21:32:43
la storia è lunga, il nome elettricità deriva dall'usa delle prime monete. Era usata la pietra chiamata elettro che è un miscuglio di oro e argento. Le pepitine che vennero usate come prime monete si trovavano in un fiume della Grecia e la leggenda dice che lì stavano perchè vi si era lavato le mani il mitico Re Mida, che lì si era lavato le mani ed aveva passato la sua maledizione al fiume. Come moneta venivano usate anche pezzetti di ambra che come si sa, se strusciata si elettrizza, da ciò il nome di elettricità!

A proposito di elettricità, sul settimanale "Domenica" de "Il Sole 24 Ore" del 18 ottobre scorso, nella pagina 26  c'è un interessante articolo scritto da Laura Leonelli col titolo: "Si raccende la luce di Jacopozzi", con riferimento alla parigina torre Eiffel.

Il fiorentino Fernando Jacopozzi (1877 - 1932) ideò e poté realizzare per la prima volta, col finanziamento di André-Gustave Citroën (fondatore della fabbrica di automobili Citroen), l'illuminazione della Tour Eiffel in occasione dell'"Esposizione internazionale delle arti decorative" nel 1925. Quell'idea ebbe molto successo e fu ripetuta per illuminare altri monumenti e piazze di Parigi. 

Questo è l'articolo della Leonelli:

"Era bastato un clic d’interruttore, quello generale, quello che lega la vita alla luce, e Fernando Jacopozzi, l’uomo che novant’anni fa accese l’immensa struttura della Torre Eiffel, era scivolato nell’oscurità. Sembrava una punizione o un risarcimento alla grandeur francese, visto che Jacopozzi, emigrante di successo, non aveva mai rinunciato alla nazionalità italiana. E sembrava pure che la famiglia di questo genio fiorentino si fosse dimenticata delle sue imprese, fino a quando la nipote, Véronique Tessier Huort, elegante pittrice parigina, ha deciso di collegare nuovamente i fili e riaccendere lo spettacolo di una storia straordinaria. Nel cuore, i pochi ricordi che la madre le ha affidato. Tra le mani, un talismano prezioso, «il libro delle fotografie che uno degli amici più cari di mio nonno, René Baschet, editore de “L’Illustration”, regalò a mia nonna alla scomparsa del marito. Sono partita da qui, ho creato un sito, www.fernandojacopozzi.com, ho lanciato un appello su internet perché chiunque avesse informazioni, disegni, fotografie, ritagli di giornale, mi contattasse. Vorrei ricostruire l’intero archivio dell’Établissement Jacopozzi - racconta Véronique -. E poi vorrei che venisse dedicata una via a mio nonno, vicino alla Torre Eiffel. In fondo, dopo Gustave è lui che l’ha reinventata».
Ma prima che a Parigi, Fernando dovrebbe essere ricordato a Firenze, dove nasce il 12 settembre 1877, in via Giuseppe Verdi, a un passo dalla Basilica di Santa Croce. Di lui si sa poco, ha sei fratelli, è pittore autodidatta nella bottega di un decoratore di insegne, e clandestino in Francia per fuggire al matrimonio. È il 1900 quando Jacopozzi arriva nella Ville Lumière e vede accendersi il profilo della Torre Eiffel, illuminata per la prima volta dall’energia elettrica. Un appuntamento, il primo di tanti ce la farò. «Mio nonno era titanico e dispotico, altrimenti non avrebbe potuto raggiungere questi risultati».
I primi clienti sono i negozianti del 15° arrondissement, a cui Fernando suggerisce di unire alle insegne di caffè e piccole boutique una ghirlanda di lampadine. Improvvisamente la voce della pubblicità invade il silenzio della notte. Nasce un’altra città, al punto che nel 1918 Jacopozzi propone di ingannare gli aerei tedeschi, creando una falsa Parigi notturna e luminosa, sull’ansa della Senna a Villepinte, a quindici chilometri dal centro. Il progetto di camouflage resta sulla carta, ma l’idea è talmente patriottica che Fernando, a quel punto Fernand Jacopozzì, viene nominato Commandeur de la Légion d’honneur. Gli affari prendono il volo.
Nel 1925 Parigi ospita l’Esposizione internazionale di Arti decorative. E se la Torre Eiffel salutasse il mondo come una freccia tra le stelle? «Si può solo immaginare l’indignazione del Comitato dell’Expo, della Società della Torre Eiffel e della stessa città di Parigi, che aveva il controllo sui monumenti, alla presentazione del progetto di mio nonno. Un italiano che stravolge la creatura di Eiffel, mai!». Anche perché era stato lo stesso Eiffel a respingere le sirene del marketing qualche anno prima, e a chi gli proponeva di trasformare il suo capolavoro in un gigantesco cartellone pubblicitario aveva suggerito di rivolgersi ad altri “gestori”: «Quando vedrò le torri di Notre-Dame illuminarsi al crepuscolo, allora offrirò anche la mia torre».
Gustave Eiffel muore nel 1923. Insistendo sulla fraternité che unisce scienziati e artisti, Jacopozzi invita nel suo studio i responsabili dell’Expo. In una stanza dipinta di nero appare una Torre Eiffel, alta tre metri. Si abbassa una leva, e arabeschi di geometria fantastica avvolgono di luce il modellino. I visitatori sono ipnotizzati. Permesso accordato, ma niente finanziamenti. Jacopozzi cerca un mecenate e trova André Citroën. «Mio nonno confessò a sua figlia che l’ufficio di quell’uomo così potente lo aveva impressionato, anche perché aveva fatto un bel po’ di anticamera.
Fu Madame Citroën, in realtà, che convinse il marito a spendere 500mila franchi per scrivere il suo nome sulla Torre Eiffel e vederlo scintillare da luglio a ottobre, dall’Expo alla fine del Salone dell’Automobile». Poche settimane dopo e ai piedi della Tour appaiono cinque lettere di trenta metri l’una, novanta chilometri di cavi e 250.000 lampadine di sei colori diversi, montate su pannelli di legno, da agganciare a loro volta ai trecento metri della struttura di ferro. Gli elettricisti si rifiutano. «Mio nonno non si scompone. In suo aiuto giungono i gabbieri della Marina francese e gli acrobati del circo di Paolo, Francesco e Alberto Fratellini, originari di Prato e già vedettes in tutta la Francia. In due mesi e mezzo l’opera è compiuta. Nessun incidente, solo un braccio rotto. Finalmente arriva la sera del 14 luglio. Mio nonno, mia nonna, mia madre che allora aveva solo tre anni, insieme alla famiglia Citroën, agli impiegati e agli amici, si riuniscono sulla prima terrazza della Torre. L’ordine di accendere gli interruttori viene trasmesso per telefono a Monsieur Lecomte, capomastro dell’impresa Jacopozzi. In un attimo la creatura di Eiffel si veste di luce». Marie Laurencin, ritrattista del bel mondo, tra Coco Chanel e Andrè Gide, scriverà che nessuna donna ha mai indossato un abito più bello. Due anni dopo, nel 1927, le luminarie dell’Établissement Jacopozzi, che ancora animano la Torre, guidano nella notte Charles Lindbergh fino all’aeroporto di Bourget. Gloria. Jacopozzì diventa Jacò.
Tutti lo chiamano, dalla Galerie Lafayette al Bon Marchè, dalla Samaritaine ai Grands Magasines du Louvre. Italo Stalla, pittore italiano, collaboratore di Jacopozzi, inventa le insegne più originali. Nell’illusione del movimento suggerito da migliaia di lampadine accese e spente in pochi attimi, una cicogna spicca il volo, un elefante innaffia una scimmia nascosta tra le palme, e persino Ercole uccide l’Idra, scagliando una pioggia di pietre da Rue de Rivoli a Rue Saint Honorè, come testimoniano le fotografie di un altro amico di Fernando, Léon Gimpel, virtuoso del colore e reporter de «L’Illustration» (si veda la bella mostra nell’ambito della Biennale Foto/Industria a Bologna).
Nel 1930 il Cardinale Verdier si lascia tentare dal peccato della pubblicità e chiede di “accendere” Notre-Dame per il centenario del romanzo di Victor Hugo. L’illuminazione è miracolosa, un vapore tenerissimo che avvolge la chiesa, grazie a un sistema rivoluzionario di proiettori nascosti tra le pieghe dell’architettura. Un soffio e la cometa di Jacopozzi tocca l’Arco di Trionfo e tutti i monumenti di Parigi. Quando le Prince de la lumière muore a soli cinquantacinque anni nel 1932, Parigi si spegne per tre giorni in segno di lutto. Poi la città torna ad animarsi. Il mago che l’ha fatta brillare, invece, resta nel buio. Per fortuna una donna ha riacceso la luce".


 
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Novembre 19, 2015, 05:51:34
Petulante

Petulante: aggettivo che deriva dal latino “petulantis”, e questo dal verbo “petulare” (= chiedere), ma nel nostro tempo viene usato col significato di “annoiare”, “infastidire”.
 
E’ detta “petulante” la persona invadente, fastidiosa, inopportuna. 

Affine al verbo “petulare” è “petere”, indica il dirigersi, l'andare, ma pure il “domandare”.
 
Da “petere” deriva  il sostantivo “petizione” (dal latino “petitiònis”): richiesta  in forma scritta ad un’autorità per ottenere un beneficio od altro.

Il prefisso “com” + “petere” dà il verbo intransitivo “competere” (= gareggiare), dal latino “cum” (= con) + “petere” (= andare).
 
Da competere deriva il sostantivo femminile “competenza” (dal latino “competentia”), usato per indicare la conoscenza  del procedimento per un determinato lavoro, oppure l’idoneità ad emanare determinati atti giuridici, ma anche la spettanza salariale. “Essere competente” , idoneo a… risolvere determinate questioni, giudicare, ecc..

Da “petere”  discende “peditum” ed il sostantivo  “péto”, che indica la flatulenza, l’emissione di gas intestinale attraverso l’ano.
Al  peto è collegato il “petomane”:  l’individuo capace di fare peti a comando, modulandone la durata e l'intensità.

“Il petomane” è anche il titolo di un film commedia del 1983, diretto dal regista Pasquale Festa Campanile,  basato sulla vita del fantasista francese Joseph Pujol,  conosciuto come "Il petomane".
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Novembre 20, 2015, 00:27:42
Querulo

Querulo:  aggettivo che deriva dal latino “querŭlus” (e questo dal verbo “queri” = lamentarsi): indica la persona abitualmente lamentosa. Caratteristica questa riscontrabile in numerosi anziani malati oppure nelle persone angustiate dalla sfortuna.

Dal verbo latino “queri” si diramano:

- il sostantivo “querela”:  nell’ambito del diritto indica l’atto giudiziario con cui la persona che si ritiene offesa da un reato manifesta la volontà di far processare il colpevole;

ed il sostantivo “questua”: raccolta di denaro a fini caritatevoli o religiosi;
dal latino quaestus guadagno, derivato di quaerere cercare.

La questua non va confusa con l’elemosina, che indica l’offerta di denaro ad una persona economicamente bisognosa.
Il termine “elemosina”  deriva dal greco eleèo (= ho compassione), da cui attraverso l'aggettivo eléemon (=compassionevole) passò  nella lingua latina nella forma “eleemosyna”.

L'elemosina si distingue dal dono,  se considerato come  reciproco scambio rituale o sociale.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Gennaio 07, 2016, 15:50:38
Utopia, distopia

Utopia: parola composta da “u” + “topia”. Il lemma deriva dal greco  “oy” (= non) + “topos” (= luogo), significa “non luogo”. Fu il cancelliere inglese  Tommaso Moro ad usare per primo, nel 1516,  il neologismo “utopia”  per titolare la sua teoria di legislazione e di governo modello per un paese immaginario, che denominò “Utopia”.  Nella parola, coniata da Tommaso Moro, è presente in origine un gioco di parole con l'omofono inglese “eutopia”, derivato dal greco εὖ ("buono" o "bene") e “topos” (= luogo"), che significa "buon luogo".  Quindi utopia come luogo buono/bello ma inesistente o irraggiungibile.

Utopico può essere un irreale assetto politico, sociale e religioso che viene proposto come ideale ma non raggiungibile; in questa accezione, può avere il connotato di punto di riferimento su cui orientare azioni pragmaticamente praticabili.

Il contrario di utopia è “distopia”, parola composta da “dis” + “topia”. Il prefisso “dis” ha valenza negativa.
Fu il filosofo e deputato britannico John Stuart Mill il primo ad utilizzare nel 1868 il termine “distopia” durante un dibattito politico in Parlamento per criticare il governo sulla questione irlandese.
Per distopia s'intende un'immaginaria società o comunità indesiderabile o spaventosa. La distopia è usata anche in letteratura.

p.s. da oltre un mese ho segnalato all'amministratore che per un inconveniente tecnico non è possibile usare nel forum  il grassetto o il colore, perciò non ho potuto evidenziare le parole utopia e distopia. E' capitato anche a voi  questo problema ?
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Febbraio 29, 2016, 00:05:38
Squatter: lemma inglese, deriva dal verbo “to squat” (= accovacciarsi, ma anche occupare).

L’antenato del sostantivo “squatter” era il vocabolo latino “coactus”  (=rannicchiato), participio passato del verbo “cogere”. Ma l’infinito “cogere” tramontò nel tardo latino ed entrò in azione il participio “coactus” (da cui “coatto”, usato a Roma per indicare l’emarginato, lo sradicato) e si costruirono gli infiniti “coactare” e “coactire”. L’infinito “coactare” fu usato nell’italiano medievale e derivò “quattare”, che poi divenne “”acquattare”;  invece nel parlato francese medievale fu utilizzato l’infinito “coactire”, che col tempo divenne “quatìr” (= acquattare, far chinare a terra), che sviluppò il riflessivo “se quatir” (= acquattarsi). Questo verbo riflessivo “attraversò” il canale della Manica, venne adattato dagli anglofoni alla pronuncia inglese e riaffiorò alla fine del 18/esimo secolo nella forma “squat”, che come suddetto significa  accovacciarsi, ed anche occupare senza autorizzazione.

Dal verbo “to squat”  derivò il sostantivo “squatter” (= occupatore non autorizzato): nel passato connotava i coloni  che in Australia e negli U,S.A.  occupavano le terre libere non coltivate e se ne appropriavano. Nel nostro tempo lo “squatter”è il contestatore che occupa abusivamente edifici abbandonati. Questo significato comparve nel 1880.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Birik - Febbraio 29, 2016, 09:51:46
Sono stata corretta quando ho scritto mussulmani con due "s". Dunque ho scoperto che si può scrivere sia con una che con due "s". L'etimo scritto ne preferisce una sola, musilman, dal Persiano antico. Ma il suono in Italiano non è bello, una sola s risulta dolce e sorda e allora io preferisco scriverlo con due.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 01, 2016, 00:10:30
Impalmare

Impalmare: questo verbo ha almeno due significati:

il primo,  indica la stretta di mano tra due persone: congiungere il palmo della propria mano a quello di un’altra; unire tra due individui le palme delle mani in segno di amicizia, di intesa, di accordo raggiunto, ecc.. 

Nel secondo significato la parola impalmare  veniva usata nel passato per indicare la donna promessa sposa. Secondo un’antica usanza i promessi sposi  si scambiavano una stretta di mano in segno di impegno. Poi “impalmare” assunse prevalentemente il significato di “sposare”. Nell’uso moderno viene utilizzato in modo scherzoso con riferimento all’uomo che "impalma una ragazza”.

Ma si dice palmo o palma della mano ?  Barbara Fanini dell’Accademia della Crusca dice che “la superficie della mano opposta al dorso è sempre di genere femminile”. “Mostrar la palma aperta e ’l pugno chiuso”, scriveva Petrarca nei “Trionfi”.  E al femminile la indicano  molti letterati, da Dante ad Ariosto, da Foscolo a Manzoni. “Eppure, chiosa la cruscante Fanini,  è impossibile negare che oggi, non soltanto nell’uso informale quotidiano, si stia progressivamente imponendo la forma maschile palmo”.

“Già in latino esisteva questa ambiguità di genere, poiché pălmus, maschile, aveva il duplice significato di ‘palma della mano’ e ‘misura di lunghezza’, concorrendo con la forma femminile pălma ‘palma della mano’ e ‘palma (albero)’, da cui derivava etimologicamente”.

“Palmo per ‘palma della mano’ entra nella nostra lessicografia quasi di nascosto, grazie al (dizionario)Tommaseo-Bellini (1871), il quale inserisce, prima delle locuzioni particolari (“avere un palmo di barba”, “restare con un palmo di naso”, “a palmo a palmo”), uno dei “Proverbi toscani” raccolti da Giuseppe Giusti (“liscio come il palmo della mano”), corredato della nota ‘il popolo fiorentino dice Palmo e non Palma’. […] Particolarmente interessante è il caso dello Zingarelli che, edizione dopo edizione, documenta l’evidente diffusione della variante maschile nella penisola e, dunque, la sua rapida ascesa al livello di lessico nazionale standard: fino al 2005, infatti, il dizionario registra palmo come variante “specialmente toscana” di ‘palma della mano’; nell’edizione pubblicata l’anno seguente scompare la restrizione geografica e viene aggiunta un’attestazione pirandelliana (“mi grattavo con una mano il palmo dell’altra”). Nell’edizione del 2009, poi, la fraseologia è accresciuta della locuzione “portare, tenere qualcuno in palmo di mano (in senso figurato),  considerarlo, stimarlo moltissimo”.

[…] Ma come si spiega questo successo della forma maschile (che, si noti, interessa anche il plurale)? In fondo, quella femminile è sostenuta dall’etimo, dal vasto impiego nei classici della letteratura, nonché dal parallelismo con la pianta del piede, anch’essa femminile. Il passaggio di genere potrebbe essere stato forse favorito da un’assimilazione alla -o finale di mano, voce cui palmo si trova frequentemente abbinato. Ma, più facilmente, per giustificare l’imporsi della forma maschile si dovrà ricorrere all’influenza esercitata dall’unità di misura (semanticamente e idealmente prossima, è ovvio, alla nostra accezione) e dal suo massiccio impiego figurato nel quotidiano, specialmente nelle locuzioni e nei modi proverbiali (es. “battere/girare/cercare palmo a palmo”, “un palmo di terra”, ecc.). In questo senso, anche il frequente accostamento palmo/naso in espressioni come “non vedere a un palmo dal naso”, “rimanere con un palmo di naso”, potrebbe aver giocato a favore del consolidamento del binomio palmo/mano.

[…] se proprio vogliamo trovare un discrimine fra le due forme, potremmo consigliare l'uso della forma palma nei registri più formali, mentre si può impiegare quella maschile in tutti gli altri casi”.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 03, 2016, 17:01:10
Mignotta

Il sostantivo femminile “mignotta” nel significato contemporaneo indica la prostituta, ma l’ingiurioso epiteto viene addossato anche alla donna che in cambio di favori o di denaro “vende” la propria dignità per entrare nelle grazie di qualcuno, anche a discapito di altre persone.

Etimologicamente la parola “mignotta” non è l’acrostico che   indica il figlio di “madre ignota” (formula questa nel passato utilizzata per registrare nei libri dello stato civile i “trovatelli”, gli “esposti”, quelli abbandonati  nella “ruota degli innocenti”) è invece da ricondursi, secondo l’etimologo Daniele Baglioni (nel suo libro “L’etimologia”) al francese “mignote”, che significa “favorita”, della stessa radice di “mignon”, con originaria connotazione affettiva di piccolina, minutina.     

Metaforicamente il termine viene usato con ira verso una persona specie per motivi di traffico automobilistico. A Roma è facile udire la frase “a fijo de na mignotta”: col continuo uso di questo insulto la frase ha perso vigore e sta diventando solo un modo di dire, una parola socialmente decaduta che lascia indifferente l’offeso.

L’insulto sessista sta diventando “normale”.

La giornalista Nadia Somma, che s’interessa delle donne vittime della violenza ha scritto sul giornale “Il fatto quotidiano”: “"Scortum era la parola che definiva la prostituta in epoca romana si trattava di un vocabolo appartenente alla declinazione del neutro, perché in latino si declinavano al neutro gli oggetti o le piante ad esempio, ovvero cose inanimate o elementi della natura, prive di soggettività. Ancora oggi insultare una donna dandole della puttana o della troia significa sottrarle soggettività, cercare di annichilirla a una mera funzione sessuale: quell’insulto in sé non costituisce solo un atto di violenza verbale, ma implica una sottintesa minaccia (che ogni donna avverte) dell’esposizione a potenziali violenze. E infatti è quasi sempre quell’insulto che viene rivolto alle donne che subiscono violenza, durante lo stupro (o le percosse nella violenza domestica) e anche dopo lo stupro. E’ quello che si dice di una donna che viene stuprata quando si prendono le parti degli stupratori, cosa che da noi avviene spesso. “Se l’è andata a cercare?”. Perché se “sei puttana. Sei terra di nessuno e non appartieni nemmeno a te stessa.” La morale è sempre quella.”

Dal latino “scortum” alcuni fanno derivare il famigerato sostantivo inglese “escort” (= accompagnatrice/tore), riferito alle cosiddette “mignotte” d’alto bordo  che non si prostituiscono sulle strade ma usano l’intermediazione di agenzie o individui  che permettono il contatto e l’accordo per avere un accompagnatore/trice per la serata, naturalmente pagando. Con il termine escort comunque non si intende per forza accompagnamento sessuale, può semplicemente essere una compagnia per una serata al ristorante, a un concerto di musica classica o a teatro; queste figure infatti sono eleganti, ben vestite e anche se oggi il termine si utilizza sempre più spesso con significato sessuale.

Il sostantivo”scortum”, col significato attuale di “escort”, rimanda alla greca Mnesarete, conosciuta col soprannome di Frine, etèra famosa per la sua bellezza. Nell’antica Grecia le etère erano cortigiane e prostitute con istruzione superiore, eleganti nel vestire, libere di uscire in pubblico. Oltre alle prestazioni sessuali offrivano compagnia. I clienti avevano spesso con queste relazioni prolungate.

Le etère non devono essere confuse con le pornai, le donne che  per denaro si prostituivano in strada o nei bordelli.  Nella sua orazione "Contro Neaira", il ricco politico ed oratore ateniese Demostene (384 – 322 a.C) disse: "Abbiamo le hetaerae per il piacere, le pallakae per prendersi cura di noi nelle necessità quotidiane ed infine le gynaekes per generarci dei figli legittimi e per essere fedeli custodi delle nostre famiglie."

Un’altra celebre etèra fu Aspasia di Mileto (470-400 a. C), compagna del politico e militare ateniese Pericle. Lo storico e filosofo Plutarco racconta che Aspasia riuscì ad inserirsi nella società che contava, grazie alle sue doti di sapienza e di astuzia. Dopo molti anni di convivenza, Aspasia riuscì anche a farsi sposare da Pericle, con il quale ebbe un figlio.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 08, 2016, 00:19:07
Secessione

Nel 494 a.C. ci fu a Roma la prima “secessione” (sciopero) contro i patrizi della città.  Vi parteciparono soldati e plebei. Secondo quanto narra lo storico Tito Livio in “Ab urbe condita”,  la rivolta fu sedata dal senatore Menenio Agrippa con il suo apologo sullo stomaco e le membra che devono lavorare insieme per la salute di tutto il corpo. il convincente Agrippa paragonò l'ordinamento sociale romano a un corpo umano, nel quale tutte le parti sono essenziali. L'apologo ebbe l'effetto desiderato: si ottenne dai patrizi la promessa di ridare la libertà ai debitori e di regolare le relazioni tra creditori e debitori. Prima di rientrare nell’urbe i plebei chiesero ed ottennero l'istituzione dei tribuni della plebe (magistrati tutori dei plebei dalle angherie dei patrizi) e degli edili della plebe,  l'istituzione di una propria assemblea, il concilium plebis, che eleggeva i tribuni e gli edili plebei. Le delibere dei concilia plebis (plebisciti) avevano valore di legge per i plebei. Sia i tribuni che gli edili della plebe erano inviolabili.

Terminò così la prima secessione nella storia della nostra penisola. Quello sciopero della plebe romana  nella lingua latina venne denominata “secessio plebis”. Fu una forma di lotta politica adottata più volte  tra il V ed il III secolo a.C.. La plebe abbandonava in massa la città. In questo modo tutti i negozi e le botteghe artigiane restavano chiuse ed inoltre non era possibile convocare le leve militari che in quel periodo facevano sempre più ricorso anche ai plebei.

Il sostantivo “secessio” deriva dalla parola composta “secedere” (= appartarsi, isolarsi). Il significato è nel prefisso “se-“: indica “distacco”, “separazione”, come in “se–cernere” (= scegliere distinguendo) e in “se–parare” (= sistemare dividendo).

“Se-cedere” in origine significava “camminare” andando in disparte, distaccarsi.  Il concetto si è sostanzialmente mantenuto in alcune parole composte della lingua italiana:  “in-cedere”, “pre-cedere”, “pro-cedere”, “re-cedere”, “de-cedere” (= andarsene nel senso di morire), “ec-cedere”, “suc-cedere”.

Nel tempo il lemma“secessio”  attraverso il latino medievale giunse nell’epoca moderna e nel lessico della politica. 
Il linguista Giovanni Gobber afferma che nel XVII secolo gli inglesi usarono questo sostantivo per indicare la “separazione” dell’Inghilterra dal papato;  nel XVIII secolo la “secession” da Londra delle colonie inglesi d’America;  nel XIX secolo ci fu la guerra di secessione americana dal 12 aprile 1861 al 9 aprile 1865, nota come la “guerra civile”, combattuta tra i cosiddetti “sudisti” e “nordisti”, cioè fra gli Stati Uniti d'America e gli Stati Confederati d'America, entità politica sorta dalla riunione confederale di Stati secessionisti dall'Unione.

Ancòra nel XIX secolo nella lingua italiana la secessione evocava la “secesso”: termine derivato dal latino “secessus” (= ritirata, luogo appartato, ma anche partenza), participio passato di “se-cedere”.
Nell’anno 62 il filosofo Seneca iniziò il suo “secessus”, il ritiro definitivo dalla vita politica.
L’espressione latina “locus secessus” significa “luogo appartato”.

Per il vocabolario della Crusca del 1612 il “secesso” è un “luogo deputato ove deporre il superfluo peso del ventre”. Nella lingua italiana contemporanea il “secesso” si è liberato del prefisso “se-“ ed è diventato “cesso” (= gabinetto).  Ma “cesso” è anche la prima persona singolare presente del verbo cessare e participio passato del verbo cedere.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 09, 2016, 00:13:16
Scrutare

Dal verbo latino “scrutor” derivarono altre parole in lingua latina, poi  continuate nella lingua italiana: scrutare, scrutatore, scrutinio, scrutinare, scrutinatore.

Dal sostantivo latino “scruta” (= cenci, stracci, abiti usati) derivò “scrutor” ( = rovistare, frugare) e “scrutarius” (= straccivendolo, cenciaiolo).

“Scrutor” poi intraprese un lungo cammino e  venne ampliato di significato:  arrivò ai verbi perquisire , indagare, esaminare. “Scrutator” era “colui che indaga”.

Da “scrutari” (= scrutare) derivò il tardo latino  “scrutinium”, per indicare la “perquisizione”, ma anche  l’“indagine”.

Nel Medio Evo lo “scrutinium” divenne il nome di un tipo di elezione usato nelle assemblee ecclesiastiche. Fra i votanti venivano scelti gli “scrutatores” (= esaminatori), che “scrutavano”  e computavano i voti espressi dai votanti. 

Lo “scrutinium” divenne  in italiano il sostantivo “scrutinio”, attestato nella nostra lingua dal XIV secolo, anche nelle versioni “scrotinio”, “scruptino”.

Lo scrutinio è il procedimento mediante il quale la commissione di insegnanti valuta gli alunni di una classe. In questa accezione la parola si fa risalire al 1911, anno in cui uscì un libro titolato "Esperimenti, scrutini ed esami nelle scuole elementari".

"Scrutinio" dà origine anche al verbo "scrutinare", che trasforma gli addetti alle votazioni trimestrali o di fine anno in "scrutinanti" che “esaminano”, “indagano”, valutano” il profilo scolastico degli studenti. Invece gli “scrutatori” dei seggi elettorali si limitano ad esaminare le schede e a contare i voti espressi dai votanti.

Gli insegnanti sono dunque più fedeli al significato originario di “scrutinio”.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Birik - Marzo 09, 2016, 16:26:25
Infinocchiare. Il finocchio, con il suo gusto aromatico,riesce a mascherare il sapore del vino cattivo  diventato quasi aceto. Ecco perché veniva servito nelle taverne prima del vino. Da questa usanza il verbo è diventato sinonimo di 'imbrogliare'.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 10, 2016, 00:05:30
Dossier

Dossier:  questo sostantivo ci perviene dal francese “dos” (= dorso), “dorsum” in lingua latina.

In origine  per dossier s’intendeva il dorso della cartella o del faldone sul quale viene scritto il titolo della pratica contenuta.

Nella lingua francese il sostantivo dossier designa lo “schienale” di una sedia o di una poltrona, ma viene anche usato per indicare il dorso del corpo umano.

Il “dossier” femminile  può essere visibile dal vestito con la “generosa” scollatura sul retro ed accollato sul davanti  per mantenere un look di classe e nel contempo permettere alla donna che lo indossa di essere sexi.
 
Al “dossier” femminile gli scrittori  umoristici Carlo Fruttero (1926 – 2012) e Franco Lucentini (1920 – 2002) dedicarono un breve capitolo nel loro  libro “Il cretino in sintesi”, del 2003.  In questo volume, il quarto di una serie,   i due autori offrono la sintesi conclusiva della “Trilogia del cretino”, tre libri pubblicati in date diverse con la loro riflessione trentennale sulle incarnazioni del cretino: "La prevalenza del cretino" uscì nel 1985, "La manutenzione del sorriso" nel 1988 e "Il ritorno del cretino" nel 1992. Secondo i due scrittori questo argomento è sempre di scottante attualità: “Il cretino è imperturbabile, la sua forza vincente sta nel fatto di non sapere di essere tale, di non vedersi né mai dubitare di sé”.

Per Fruttero e Lucentini “dossier” è un  “Termine della moda francese  entrato ormai nel nostro lessico, designante la scollatura sul dorso (“dos”) degli abiti femminili. Molto in voga sotto il Direttorio (1795 – 1799…-durante la Rivoluzione francese-), ma disapprovato da Napoleone I (‘in tutte le battaglie, anche amorose, il primo dovere è coprirsi le spalle’, scriveva da Milano a Joséphine di  Beauharnais), fu infine messo fuori legge da un decreto del ministro di polizia Fouché, che pure si diceva avesse una morbosa predilezione per quelle nudità svelate.
Riapparso fugacemente durante il Congresso di Vienna (l’abito femminile scollato sul dorso), non fu tanto la Restaurazione a causarne la decadenza bensì l’improvvisa fortuna di due scialli esotici (spagnolo, di merletto nero; e anglo-indiano, di cashmir), che rendevano il dossier invisibile o, come ebbe a definirlo Mérimée, ‘teneramente segreto’. Caduta la crinolina, il dossier fu riabilitato dai grandi sarti Worth e Poiret, finché negli anni detti ‘tra le due guerre’ il charleston e l’attrice Jean Harlow ne promossero il trionfo.
Soppiantato nel 1945 dal décolleté, ebbe in seguito qualche saltuario revival, con profondità giudicate da taluni scandalosamente abissali.
L’austero segretario del partito comunista italiano, Palmiro Togliatti, giunse a redarguire pubblicamente una signora in un ristorante romano. ‘Il suo non è un dossier  -l’apostrofò a voce alta-  è un fessier !’ (da ‘fesse’, gluteo). La donna, ex ballerina al Crazy Horse di Parigi, reagì gettando in faccia al leader comunista un bicchiere di frascati e procedendo poi a spogliarsi completamente. ‘Tiens, je vais te montrer mon connier aussi !’ sembra abbia urlato. Ma il cavalleresco Togliatti si rifiutò di tradurre il volgare gioco di parole agli agenti subito accorsi e si limitò ad auspicare che l’incresciosa persona venisse accompagnata a Modane”
, Comune francese nel dipartimento della Savoia, che fece parte del regno di Sardegna fino al 1861. Modane è sullo sbocco francese sia del traforo ferroviario del Frejus che su quello stradale.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 25, 2016, 00:07:26
"Defensa": parola di origine latina attestata nei toponimi. Indica un luogo difeso, chiuso, come per esempio la cosiddetta “bandita”, nella quale sono proibiti il  pascolo, la caccia, la pesca, anche al proprietario del fondo agricolo. Invece è possibile nella “riserva di caccia”  pagando una tassa di concessione.
L’area protetta è di solito destinata al ripopolamento delle specie, perciò vige il divieto di caccia, pesca, pascolo, raccolta e transito senza autorizzazione.
Oltre alle bandite di Stato, nei territorî demaniali, e alle bandite private, esistono bandite gestite da enti e associazioni.

Il sostantivo femminile “bandita” deriva dal verbo “bandire” (e questo dal gotico  bandwjan = “fare un segnale”), significa  annunciare con pubblico bando o con avviso ufficiale.
Nel latino medievale  la parola  “bandire” veniva usata anche col significato di “esiliare”: gli Ateniesi bandirono Aristide; Dante fu bandito da Firenze.

Il verbo bandire in francese si traduce con “bannir”. La parola francese ban (= divieto) proviene dal verbo “bannan” (da cui l’attuale “bannare”) che veniva usato al tempo dei Franchi  col significato di “condannare”, “interdire”, “vietare”.

Dal verbo “bandire” deriva anche bando banditore.

Il bando è una comunicazione di pubblico interesse,  Quando non c’erano gli attuali mass media veniva reso noto dai “banditori”, eredi degli antichi araldi, i quali informavano i cittadini delle disposizioni emanate dalle autorità civili e religiose.

In Italia fino agli anni ’50 dello scorso secolo il civico banditore annunciava il suo arrivo nelle strade del paese con il suono di una trombetta o percuotendo un tamburo. Poi ad alta voce comunicava le ordinanze del sindaco, le  disposizioni di altre autorità, oppure informava dell’arrivo in piazza di un commerciante ambulante. Il banditore era una delle figure più pittoresche che un tempo animavano la vita delle nostre comunità, uno dei  mestieri ormai scomparsi.

(http://www.sansalvoantica.it/altripersonaggi/banditori/1943%20IL%20BANDITORE%20DE%20LUCA%20PAOLO.jpg)
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Marzo 30, 2016, 10:23:38
dottoreeee, ti chiedo aiuto: perchè si dice "l'amore è cieco"? lo so benissim io, c'è di mezzo la suocera Venere, ma non trovo più il testo della leggenda che mi pare averlo letto nelle Metamorfosi di Ovidio. Ho bisogno della storia completa per leggerla in un ospizio dove vado a parlare con le vecchiette. Me la stroveresti la storia VERA?  :-* :-* :-* :-* :-*
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 31, 2016, 08:14:45
Gentile Nihil,  ti riferisci alla fiaba di “Amore e Psiche” raccontata nelle  “Metamorfosi”, scritte da  Apuleio nel II sec. d.C. ?  Questo autore narra la storia della giovane Psiche, la cui bellezza  suscita la terribile gelosia di Venere e l’amore appassionato di Cupido.

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/5d/Canova_Le_Baiser.jpg/290px-Canova_Le_Baiser.jpg)
Antonio Canova: Amore e Psiche

Per quanto riguarda il detto popolare “l’amore è cieco”  di solito viene usato per definire le coppie asimmetriche per “bellezza”, status sociale, cultura, livello di istruzione, “doti nascoste”.   Tali coppie vengono “criticate”,  ma le persone che giudicano dimenticano il detto di Gesù:   “Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo?” (Lc 6, 41).

La simbolica rappresentazione dell’amore cieco ci è stata donata dal pittore surrealista belga René Magritte (1898 – 1967) col suo famoso dipinto titolato “Les amants” (Gli amanti). 

(http://cultura.biografieonline.it/wp-content/uploads/2013/02/1ab6b90037_2061194_med.jpg)

Il quadro raffigura due amanti che si baciano con le teste coperte da un panno bianco che impedisce loro di vedersi e comunicare.
Nascondendo i volti, rendendoli non visibili, il pittore vuole mostrare i molteplici significati del reale attraverso nuovi punti di vista.
Come spiega lo stesso Magritte: “C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente”.
L’innamoramento e l’amore alterano la percezione del/la partner. “Impediscono di vedere” i “difetti” della persona amata.  Difetti che invece vengono notati dagli estranei non coinvolti dal  turbinio dell’amore.

L’innamoramento  conduce all’attaccamento, al legame, all’amore che trasforma l’io e il tu in noi.

Francesco Alberoni nel suo libro “Innamoramento e amore”  afferma che l’innamoramento è caratterizzato dall’intenso coinvolgimento emotivo ed affettivo e dal desiderio sessuale. In questa fase il legame diventa più forte ed esclusivo…”.

Con la persona amata non sei mai solo, perché solo lei completa la tua esistenza, le dà significato, dà la “cecità” verso altri possibili partner.  Sai che ti è fedele e tu le sei fedele, perché non sapresti cosa fartene di un’altra persona, anche se più bella, più ricca, più colta.

Poi, il tempo passa, l’innamoramento confluisce nell’amore, e se questo si attenua o diventa evanescente  i difetti tornano in primo piano, con fastidio, e possono diventare insopportabili.

Ma dov’è la persona giusta al momento giusto ?
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Aprile 01, 2016, 09:48:25
Grazie Dott. Sì, la Venere bisbetica e suocera è uno spasso, ma in rete la storia completa non la trovo più. Comunque sì:  :rose: l'amore è cieco, a volte per fortuna, a volte per disgrazia.
Che meraviglia quella scultura, l'ho vista a Pietroburgo, credevo che fosse molto grande, invece è piccola, ma terribilmemte affascinante.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Luglio 23, 2016, 01:11:10
Panico

La parola “panico” deriva dal latino “panìcum” e questo dal greco: “panikos”, aggettivo del dio Pan, con piedi e corna caprini, barba e capigliatura scarmigliate, capace di infondere ai viandanti dei boschi visioni e terrori improvvisi

Il nome Pan (Fauno nella mitologia romana) deriva dal greco “paein”, che significa “pascolare”. Infatti Pan era il dio pastore protettore dei pascoli, dei monti, dei boschi e dei prati.  Era considerato figlio del dio Ermes e della dea Persefone. 

Come sostantivo “panico” allude alla paura che paralizza la volontà (in preda al panico); come aggettivo vuol dire “improvviso, intenso ed irrazionale” (timor panico). Infatti il panico consiste in uno stato di intensa paura.

Paura deriva dal sostantivo latino "pavor", che alludeva al timore che paralizza. 
 
Gli antichi Romani avevano una divinità che si chiamava “Pavor”, con i suoi sacerdoti, i “Pavorii”. In epoca imperiale la parola perdette il significato di “terrore religioso” per acquistare quello più generico di “timore”.

Da “pavor” deriva anche “pavido”.

La parola italiana “panico”,  in inglese “panic”, nell'ambito dell'economia e della finanza indica una situazione di notevole incertezza o incapacità di decidere in modo razionale i risparmiatori colti dal panìco vendono i loro titoli a prezzo di realizzo.

Si usa la parola panico anche per definire la corsa dei clienti agli sportelli delle banche quando ci sono allarmismi che fanno supporre che l’istituto di credito sia in una situazione tale da non poter più far fronte agli impegni. Un esempio di episodio di “panic” fu quello del 1929 negli Stati Uniti d’America, passato alla storia col nome di “grande crisi che provocò fallimenti in tutto il mondo. 
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Marzo 07, 2017, 16:50:11
che fascino ha la storia delle parole. Avrei dovuto studiare etimologia!
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Marzo 16, 2017, 14:53:25
dalla radice linguistica "var-"

Dalla radice linguistica indoeuropea "var-" derivano alcune parole. Ne cito alcune:

"verità", questo sostantivo femminile  ci è giunto dal latino “vērĭtas": indica ciò che è vero, conforme o coerente con la realtà oggettiva.

"Primavera", quest'altro sostantivo è pervenuto dai parlanti il latino popolare (o “volgare”), i quali inconsapevolmente accorparono e modificarono dal latino classico la frase “primo vere”  (=all’ inizio della primavera). Infatti la parola “primavèra”  è composta da due lemmi: “prima” + “vera”: “prima” (dal latino primus, = primo, inizio) e “vera”, dal latino “ver” (= primavera),  da cui il “ver sacrum” (= primavera sacra), antica cerimonia di origine sabina, celebrata in tempi di calamità naturali.

“vera", l’anello nuziale, detto anche “fede”, dal latino fides  (= fedeltà). Fides era anche il nome della dea romana che personificava  la lealtà. Veniva raffigurata come una vecchia dai capelli bianchi, per simboleggiare il rispetto  dei patti, fondamento dell’ordine sociale e politico. Alla dea venivano offerti sacrifici con la mano destra avvolta in un panno bianco. Nel suo tempio si sacrificava solennemente il primo d'ottobre. Il sacrificio veniva compiuto dai  Flamini, sacerdoti di Giove, Marte e Quirino.
Il concetto di fides come fedeltà, inizialmente aveva lo scopo di consacrare, con un atto religioso, la fedeltà del cittadino all'ordinamento dello Stato Romano.

La vera nuziale, generalmente in oro giallo, viene scambiata dagli sposi durante il rito del matrimonio come simbolo di legame e fedeltà. La forma circolare dell'anello simboleggia l'unione di coppia, mentre il materiale, solitamente l'oro, simboleggia la durata,  l'eternita.

In epoca Romana l' anello di fidanzamento era denominato "anulus pronubus", suggellava la promessa di matrimonio, invece  l'anello nuziale, di solito di ferro, era detto "vinculum" e  solo i maschi lo mettevano al dito anulare della mano sinistra, poi l'usanza  venne adottata anche dalle donne. Le matrone romane sfoggiavano fedi nuziali cui era talvolta applicata una piccola chiave, segno della loro autorità nella famiglia.

L'uso dell'oro come materiale, al posto del ferro, per la fabbricazione dell'anello si deve all'influenza cristiana, che considera l'oro simbolo di eternità.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: Doxa - Agosto 11, 2017, 16:47:20
Rubinetto: nel nostro tempo non significa “piccolo rubino” ma indica l’organo di intercettazione e regolazione dell’afflusso di un fluido da una tubazione, azionato da una manopola o da una chiavetta.

Rubinetto col significato di piccolo rubino è presente nell’italiano antico ed è attestato nel vocabolario del Tomasseo.

Dante Alighieri: “Parea ciascuna (delle anime che formano l’aquila mistica) rubinetto in cui / raggio di sole ardesse sì acceso / che ne’ miei occhi rifrangesse lui”.

Giovanni Boccaccio: “Con una boccuccia piccolina, le cui labbra parevan due rubinetti”.

Gabriello Chiabrera: “Son due rose vermigliuzze / le gotuzze. / Le due labbra rubinetti” (= due piccoli rubini).

 Sì che molte fiate
 Le parole rimate
 Ascondon la sentenza
 E mutan l’intendenza.

Il nome rubinetto deriva dal francese “robinet”, diminutivo di “robin”: nome popolare del montone, perché il mascherone di tale animale ornava le pubbliche fontane.

Il nome proprio francese “Robin” è vezzeggiativo di Robert, “Roberto”. In questo caso c’è la trasposizione da nome proprio a nome comune, simile a “Gigi”, vezzeggiativo di Luigi.

La parola “rubinetto” compare alla fine del ‘500 in Giovanni Florio che ebbe il merito di diffondere l’italiano in Inghilterra.
Il lemma “rubinetto” riflette il termine inglese  “robinet”, derivato dal francese.

Nella lingua inglese  il rubinetto designava un apparecchio per sollevare, cioè una specie di carrucola.

In Italia l’uso della parola “rubinetto”, col significato attuale, avvenne nel XIX secolo col nome “robinetto”.

Da rubinetto deriva “rubinetteria”.
Titolo: Re:perchè si dice così
Inserito da: nihil - Marzo 30, 2020, 11:50:39
e perchè i gay un tempo si chiamavano finocchi?secondo qualcuno è perchè quando le Chiesa li mandava al rogo, spargeva semi di finocchio sul fuoco per confondere l'odore . Al che mi passa la voglia di mangiare finocchi.