Autore Topic: Le "parolacce"  (Letto 746 volte)

Doxa

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Le "parolacce"
« il: Novembre 15, 2018, 18:09:34 »
Le “parolacce”

A volte le cosiddette “parolacce” suonano come prevedibili sussurri stilnovistici, come intercalari, oppure insulti che possono precedere la violenza.

Le parolacce possono servire, essere utili quando diventano uno sfogo liberatorio. Un’esclamazione volgare detta da chi evita le “volgarità” colpisce e lascia il segno: se ne intuisce l’eccezionalità e la gravità del motivo che l’ha provocata., come quando si guida l’automobile nel traffico.

Al di là di ogni considerazione sociale e morale, le parolacce “gratuite” sono noiose, diventano irritanti quando sono inutili. Se i “frequentatori” di parolacce ne dicono una ogni cinque parole nessuno li nota, perché è un’inflazione della volgarità.

Il turpiloquio dà un illusione di potere, diventa esclamazione punitiva, espressione di sdegno, ma può bloccare il logos, la costruzione del ragionamento, e qualifica chi lo utilizza più di chi ne è bersaglio.

Nell’antica lingua greca per il termine turpiloquio si usava il lemma “aischrologhia” a scopo offensivo o apotropaico.

Aristotele, nella “Poetica”, ammonisce ad evitarne l’uso. Questo filosofo, a ragione, notava che tra l’aischrologhia (il modello greco del termine latino cristiano “turpiloquium”) e l’azione riprovevole il passo è breve.

Di solito le “parolacce automobilistiche” esplodono e ricadono unicamente all’interno dell’abitacolo. I “bersagli” non solo non le odono ma comunque le ignorano. E in tal caso il turpiloquio vale come sfogo. Una funzione tutt’altro che trascurabile.

La dimensione più comune del turpiloquio è sociale. La parolaccia, che è fatta per offendere, pretende un pubblico, qualcuno o qualcosa da “colpire”. Sostituisce lo schiaffo, lo sputo, il calcio. Essendo sostituto verbale di un gesto corporeo, dell’aggressione fisica, la parolaccia tenta di “ferire” ridicolizzando. E’ comunque “liberatoria”, irriverente, si propone di fare “giustizia”. E’ regolamento di conti, è vendicativa. Come “strumento” di vendetta primeggia anche nei versi di antichi epigrammatisti satirici, come Catullo e Giovenale.

La parolaccia verbalizza uno stato affettivo: ira, disprezzo, impazienza, ecc.

Le parolacce oggi dilagano, non le si proibisce più neppure ai bambini. L’uso scriteriato di espressioni volgari è solo un problema etico.

Le parolacce bisogna saperle usare. Quando non si adattano al contesto evidenziano l’incapacità linguistica del parlante, dimostrano di essere l’ultima ratio di un parlante mediocre. Infatti le parole sono come i vestiti. Non sono giuste o sbagliate: bisogna sceglierle secondo le occasioni.

nihil

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Re:Le "parolacce"
« Risposta #1 il: Novembre 16, 2018, 13:59:36 »
 abow le parolacce, usate per emozione, sono uno sfogo che ci impediscono di esplodere. Se usate come intercalare, insomma...non sono chic.

Doxa

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Re:Le "parolacce"
« Risposta #2 il: Novembre 16, 2018, 14:28:43 »

 
“Parolaccia”, dispregiativo del termine “parola”.

Di solito la parolaccia evoca il sesso, il metabolismo, l’aggressività, la religione, viene usata per esprimere emozioni.
Mezzo secolo fa una ragazza, Nora Galli de’Paratesi, per la sua tesi di laurea fece una ricerca sulle parolacce; tesi che poi divenne un libro di successo, titolato “Le brutte parole. Semantica dell’eufemismo”.

Quella studentessa col tempo divenne docente di sociolinguistica all’Università di Roma.

Il predetto libro descrive la “censura” del linguaggio, l’interdizione operata dall’inconscio, dal pregiudizio, dal pudore e dalla convenienza. Indica le parole “proibite” nell’italiano, nei dialetti, nei gerghi, che all’epoca avevano interessanti effetti linguistici e sociali.

Molti per curiosità acquistarono questo saggio, specialmente gli adolescenti, che di solito cercavano il significato o l’etimologia delle parolacce sul vocabolario, ora anche online.

I cosiddetti “ragazzi del ’68” sfogliavano con inconsueta avidità il testo della Galli de’ Paratesi, per vedere stampate le proibitissime parole che insidiavano ogni strato sociale.

Ma le parole non sono belle o brutte oppure oscene di per sé, però ci sono lemmi che evocano qualcosa che per convenzione sociale è da evitare nella conversazione, come i genitali; se proprio bisogna nominarli si ricorre agli eufemismi.

Comunque sono parole ormai d’uso quotidiano, inserite anche in alcune canzoni, ma nel passato suscitavano “imbarazzi”, tabu linguistici.

piccolofi

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Re:Le "parolacce"
« Risposta #3 il: Novembre 17, 2018, 00:51:01 »
Le " parolacce " abituali sono, a mio modo di vedere, un'intrusione volgare e insistita nella sensibilità altrui : un volersi proporre all'attenzione del prossimo grazie ad una supposta audacia, disinvoltura, che qualifica invece per degli esseri da due soldi, in quanto incapaci di suscitare l'attenzione vera.
Non mi disturba qualche " parolaccia " di quando in quando, nei casi in cui, come direbbero a Roma, " quanno ce vo', ce vò ". O se si è un po' agitati per qualche caso specifico. Ma infilarne una ogni poche parole, a mò di collanina dell'ignoranza...beh, mi fa venire, come avrebbe detto una mia zia, la schitumbice ( che non ho mai avuto il bene di sapere cosa sia, ma onomatopeicamente rende l'idea del malessere ).
Senza contare che, come considerazione generale, il turpiloquio denuncia il decadimento sociale e culturale di questo povero paese.  Se poi si pensa che accompagna e fa da viatico a soggetti governativi....direi che siamo al top.