Autore Topic: I remember  (Letto 3511 volte)

nihil

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I remember
« il: Febbraio 27, 2011, 10:59:51 »
I remember



Ci sono ricordi che non hanno nessun significato nell’economia della vita corrente, non si sa perché siano stati registrati o ignorati. Per esempio non ricordo assolutamente perché arrivai a casa con un tostapane, quel giorno che ero uscita per acquistare un armadio.
 Ricordo benissimo però cosa disse mia madre quando le annunciai che ero incinta: “Oh, non è il momento.”
E la cosa finì lì.
Ovvio che la frase di mia madre sia più unica che rara e per questo memorabile e imperdonabile.
In realtà credo che grande parte dei ricordi sia il risultato di azioni e pensieri che abbiamo vissuto esercitando la nostra indole, così da essere la proiezione nel futuro di ciò che siamo stati nel passato.
Sgrunt, mi sono incartata?
Spiego: non potrei mai avere ricordi da palombaro, non lo sono e non lo sarò mai, ma ho ricordi da imbecille, lo sono stata spesso.
Spiegatta mi sono?
Più che un imbecille, un’illusa. Forse è la sensazione che hanno le persone anziane quando si guardano alle spalle, ma ogni illusione ha i suoi fascini ed ogni ricordo ci dona l’età e la pelle che avevamo allora.
Avevo 21 anni nel 1967: mi affacciavo alla vita in un bellissimo periodo. Tutto sembrava possibile, la giornata era un affacciarsi ad un futuro dove dominava l’amicizia, la solidarietà, la generosità e la voglia di fare qualcosa di nuovo. Erano crollate le barriere del perbenismo e le ridicole consuetudini; si stendeva la mano certi di trovare chi l’avrebbe stretta senza secondi fini.
La sensazione imperante era che si potesse avere fiducia nel prossimo.
Erano arrivati i figli dei fiori ed i fiori venivano messi nei vostri cannoni.
Oggi tutto è diverso, molti sono i figli di puttana ed i fiori li mettiamo sulle croci di guerra.
Era di moda l’autostop, ora defunto splendidamente tra le righe della cronaca nera. La sigaretta era una boccata ciascuno, alla faccia dei microbi. Una coca-cola era una sorsata a turno, alla faccia dell’herpes labiale. Se uno del gruppo non aveva soldi per il cine, al cine non andava nessuno. Si stava insieme e basta, per il gusto squisito dell’amicizia, seduti sul muretto a parlare di nulla o a cantare canzoni di Fabri.
Fu proprio nel 1967 che partii per la mia grande avventura umanitaria, quella che mi ha radicato nell’anima l’illusione del famoso “ mondo migliore” e che illusione è rimasta.
Avevo trovato volantini dell’associazione Emmaus ( poi confluita in Mani Tese); si trattava di battere la città, nel senso di scarpinare,  per raccogliere avanzi della vita altrui.
Il  mitico francese Abbè Pierre organizzava campi di lavoro ogni anno in una nazione diversa, quella volta era toccato all’Italia.
L’Abbè era un facinoroso della solidarietà e della generosità, appiccicava manifesti sulle porte dei palazzi sfitti con le parole “Diritto alla vita” o “ Diritto alla casa” e ci faceva entrare i poveracci: combatteva con la polizia, con i sindaci, con i ricchi e urlava nelle piazze le richieste dei miseri.
Otteneva.
Il campo era a Bologna. Ci andai munita di scarpacce, jeans e maglione e niente meno che 10.000 lire per le emergenze.
Eravamo alloggiati in un cantiere abbandonato che contemplava molti capannoni e dormivamo su brande ritrovate chissà dove. Ricordo docce di acqua gelata, nessun tipo di riscaldamento, ma solo la voglia di dare e di fare: di vivere qualcosa che ne valesse la pena.
In uno stanzone c’era la mensa, in cucina pentoloni da caserma, nei pentoloni minestre di origine sconosciute e che era meglio rimanessero tali.
I ragazzi erano di tutte le nazionalità, una splendida Torre di Babele; si parlava in francese, tedesco e inglese, misto a segnalazioni manuali e frasi in latino.
Prima di mangiare una preghiera in italiano: Signore dai pane a chi ha fame e fame a chi a pane. Splendide parole.
Si cantava molto, prevalentemente canzoni di J. Baez.
Alla mattina si partiva con scassatissime auto e cammion e si girava di strada in strada, di porta in porta per cercare oggetti da riciclare. Si accettava di tutto, vestiti, pentole, elettrodomestici anche rotti, biciclette, mobili; insomma tutto ciò che poteva essere riciclato e aggiustato e rivenduto. Eravamo cienciaioli professionisti e accreditati da un preventivo volantinaggio.
Fu proprio a Bologna che imparai a fare le balle di vestiti da spedire a Prato, con i pancali ed il filo di ferro. Gli abiti erano talmente tanti che arrivavano al soffitto del capannone.
Quelli  buoni venivano venduti, insieme agli oggetti aggiustati, il sabato e la domenica nel gran piazzale del cantiere.
Lavoravamo sette giorni su sette, la stanchezza non aveva mai fine, ma la nostra forza era il sapere di fare qualcosa per qualcuno. Eravamo la squadra in missione per conto di Dio, come poi avrebbero detto anche i Blues Brothers.
Mai più ho provato la sensazione di fare parte di un tutto; negli anni sono stata sempre da sola nel punto preciso dove il destino mi ha appoggiato, ma sempre consapevole che se si vuole “si può”.
A Bologna imparai a conoscere le persone da vicino e mi spiace dirlo, non tutti erano al servizio di Dio, cosa che nella mia illusione davo per scontata. Molte furono le porte sbattute in faccia, molti ci scambiavano per accattoni, molti dicevano che non gliene importava nulla dei poveri del mondo.
Ricordo che mi sembravano delle aberrazioni, non capivo che magari arrivavamo in un momento inopportuno, che forse invasati come eravamo nella nostra missione eravamo noi gli intolleranti. Una signora rispose che aveva gente a cena e non poteva interessarsi a noi, al che le dissi aspramente che anche i poveri avevano fame. Spesso ho ripensato a quella battuta, detta sull’onda della mia emozione, ma in fin dei conti che ne sapevo io di quella donna e dei suoi problemi?
Difficile trovare nella gioventù un punto di pacato equilibrio
Preciso che tutto ciò si svolgeva a novembre, i primi freddi iniziavano a far gelare le dita, le prime nebbie intristivano gli animi, i tortellini fumavano nei ristoranti: a noi fumava solo l’alito per il freddo.
Una mattina mentre giravamo con i nostri camioncini nelle strade di periferia, dalla nebbia spuntò sul marciapiede una sedia di legno nero, del tipo da osteria. Era proprio buffa, sembrava appoggiata su una nuvola, tanto bassa e densa era la nebbia.
Su questa sedia spiccava come uno stemma nobiliare, una caffettiera fumante e un sacchetto di semplici panini.
Una giovane donna, una semplice donna, una grande donna, quasi scusandosi per la sua povertà, disse: “ Non ho nulla da darvi , mi dispiace, ma un caffè ve lo offro volentieri.”
In quel preciso momento mi sentii un eroe che avesse guadagnato una medaglia sul campo e quella donna non saprà mai che a distanza di anni, io ancora penso a lei.
Quella sconosciuta rappresenta per me proprio il clima in cui si vivevano i favolosi anni 60; nessuno si domandava “ chissà chi si fregherà” tutto questo, si credeva che ciò che veniva asserito, sarebbe effettivamente accaduto. Il ricavo di quei campi sarebbe stato diviso tra i bisognosi di Bologna e quelli d’Italia, gestito dall’Abbè Pierre direttamente, non certamente dal Bertolaso di turno.
In particolare ricordo una persona, uno studente iraniano che a Bologna studiava ingegneria nucleare; veniva al cantiere solo quando aveva tempo per prestare la sua opera e solo allora si permetteva di mangiare con noi, altrimenti studiava e non mangiava. Era estremamente orgoglioso e  corretto.
Mi raccontò che era in Italia come  fuggiasco, allora c’era  l’imperatore, e che mai avrebbe potuto tornare a casa altrimenti lo avrebbero messo in galera. Praticamente per la sua famiglia era già morto, e per lui stesso la famiglia era perduta. Era vivo solo per noi stranieri, che a malapena riuscivamo a pronunciare il suo nome.
Questa faccenda mi impressionò moltissimo, ancora oggi immagino come debba essere terribile essere un morto vivente condannato a vivere in terra estranea.
Fortunatamente allora non si parlava di razzismo e tutti lo aiutavamo come potevamo. Se non veniva al campo gli portavamo con qualche scusa roba da mangiare; peccato che anche i topi della sua baracca avessero fame.
Ma non tutto è come pare. L’essere umano ha due padri, Dio ed il Diavolo.
 Ciò fu palese quando facemmo la colletta per pagargli le tasse universitarie, almeno per quella volta.
I soldi glieli portò una ragazza del gruppo e lui, forse per sdebitarsi, cercò di violentarla. Forse il sesso era l’ultima cosa rimasta di sua proprietà e cercava di condividerlo come se fosse un omaggio.
Voglio pensare che avesse creduto di doversi sdebitare in qualche modo. Chissà che ragionamento fece, forse prendere soldi da una donna l’aveva sconvolto e forse noi ingenuamente non tenemmo conto della diversità di mentalità e di cultura.
Ovviamente non ci fu perdono e non venne più.
E poi arrivò il 1968.
Il campo doveva essere a Bordeaux.
Non ci andai perché cominciavano a volare le molotov e crescere le barricate.
Al grido di “libertà” era cominciata un’altra rivoluzione, vecchie illusioni venivano massacrate per dare origine a quelle nuove.
Anche se non andai in Francia, fu  un anno bellissimo per me: conobbi l’altra metà del cielo.



RAFFAELE49

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Re: I remember
« Risposta #1 il: Febbraio 27, 2011, 18:21:14 »
Il 1968 ero iscritto ad Economia e commercio. Accidenti se ti capisco, anche se le mie esperienze sono state molto diverse.
All'esperienza porgeremo orecchio
quando a noi pure il cuor sia fatto vecchio;
assumeremo un'aria più severa
quando ai denti subentra la dentiera.

nihil

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Re: I remember
« Risposta #2 il: Febbraio 27, 2011, 19:11:40 »
già, il mondo è cambiato senza il nostro consenso, forse ci siamo distratti credendo che sarebbe sempre stato così.

TESEO

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Re: I remember
« Risposta #3 il: Marzo 01, 2011, 19:53:22 »
 :wink:

nihil

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Re: I remember
« Risposta #4 il: Marzo 02, 2011, 22:43:39 »

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Re: I remember
« Risposta #5 il: Marzo 03, 2011, 22:58:30 »
C'è una musica dolce a fare da tappeto alle tue parole, odore di fuoco acceso nel camino, sapore di zuppa, colore di  legno stagionato, sotto le dita il pelo del gatto che accarezzi con delicatezza.
E' il racconto della nonna e stare seduti per terra a berci le frasi che ci scorrono addosso è una coccola senza fine.
Grazie

nihil

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Re: I remember
« Risposta #6 il: Marzo 03, 2011, 23:36:40 »
grazie a te.    :kiss:  Nonna Nihil

LeD

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Re: I remember
« Risposta #7 il: Marzo 07, 2011, 20:04:53 »
Grande, mi ripago sempre della tu lettura.
sono una persona INGESTIBILE e INDIGESTIBILE

nihil

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Re: I remember
« Risposta #8 il: Marzo 08, 2011, 08:06:23 »
 abow  grazie Leddino.

lella

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Re: I remember
« Risposta #9 il: Marzo 11, 2011, 16:02:10 »
Ho letto con piacere e nostalgia. Anch'io avevo 18 anni nel 68 e lavoravo di brutto. Avevo paura ma quel poco che potevo fare l'ho fatto: sindacati, scioperi e...mi hanno licenziata. Non rimpiango niente lo tornerei a fare. leggerti è stato un tuffo fantastico.

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Re: I remember
« Risposta #10 il: Marzo 12, 2011, 18:09:52 »
io studiavo e lavoravo di turno, compreso le notti, ma avevamo un futuro davanti, ora....
Grazie Lella.

victor

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Re: I remember
« Risposta #11 il: Ottobre 11, 2011, 23:32:00 »

Ho scoperto che ho dieci anni più di te …

Anch’io ho vissuto quegli anni … anch’io volevo cambiare il mondo … ma in maniera diversa … forse qualcosa sono riuscito anche a cambiarla …

Parliamone ancora di quel tempo … di quegli anni …

Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor

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Re: I remember
« Risposta #12 il: Ottobre 12, 2011, 10:10:48 »
quante illusioni avevamo, ora i giovani non possono permettersi nemmeno quelle!  :redd:

presenza

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Re: I remember
« Risposta #13 il: Ottobre 12, 2011, 21:34:09 »
... le illusioni ci sono state, ci sono e ci saranno, ma cambiano a seconda dei tempi.

victor

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Re: I remember
« Risposta #14 il: Ottobre 12, 2011, 22:28:41 »
quante illusioni avevamo, ora i giovani non possono permettersi nemmeno quelle!  :redd:

Perché dici che ora i giovani non possono permettersi le illusioni?

Non sono d’accordo: le illusioni sono soggettive e non oggettive. Ricordati Nihil che noi uscivamo dalla guerra e dalle distruzioni! I nostri sogni erano fatti di piccole cose concrete e di grandi ideali. Cosa sognano oggi i giovani? Il telefonino più nuovo, il vestito più alla moda, la macchina più lussuosa, sognano solo il denaro!,
Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor