Autore Topic: Dal mio romanzo "La rosa nera"  (Letto 1737 volte)

Steven Joseph

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Dal mio romanzo "La rosa nera"
« il: Febbraio 22, 2012, 22:02:23 »
Arrivò il pomeriggio e il re, dalla terrazza stupendamente addobbata del castello,  guardava il cielo che in quel momento risplendeva di una luce preziosa e delicata, mentre una brezza leggera gli sof-fiava in viso.
La regina, con uno sgargiante abito rosso che arrivava a strisciare per terra si avvicinò a lui con le mani giunte.
“Qualcosa ti turba, Arthur?” chiese lentamente.
Il volto del re era visibilmente sconvolto, sintomo di un gran disturbo. Un disturbo che partiva dall’animo. Un disturbo che a poco a poco lo avrebbe consumato dalle scarpe alla punta di quella corona che lo distingueva ma che, in verità, non lo rendeva diverso dagli altri.
“E’ il cielo, Agatha. Ti ricordi il cielo sotto il quale abbiamo festeggiato l’investitura dei cavalieri? Quel…Quel cielo così rosso, così terrificante! E poi quei rumori, quelle grida! Non riesco a rimuo-verle dai miei ricordi!”
La regina lo guardò comprensiva e gli mise una mano sulla spalla.
“Sai, Arthur. Io ho sempre pensato che un re debba rispecchiare il suo popolo, in un modo o nell’altro.”
“Cosa intendi dire?”
“Dico solo che non dovresti avere paura, come Coravia non ne ha. Pensaci. Abbiamo superato pesti-lenze, anni e anni di carestia, invasioni, eppure Coravia non si è scoraggiata, ha combattuto e ha re-sistito fino alla fine, senza paura. Il suo re, per quanto possa essere fragile, dovrebbe fare lo stesso, dovrebbe avere lo stesso coraggio del suo popolo. Non credo, infatti, che Coravia abbia avuto paura quella sera. Non vorrai, poi, rovinare un così bel momento come il matrimonio di nostra figlia con si-mili preoccupazioni.”
Il re aveva capito, sapeva di sbagliare a preoccuparsi e a credere che qualcosa sarebbe accaduto.
“Eppure…era così…. Così …”
“Insolito?”
“Sì!” rispose pronto il re, come se la moglie avesse detto proprio la parola che stava per dire lui.
La regina sorrise. Quel sorriso sembrava illuminarle il volto ma, più di tutto, era contagioso, tanto che il re sorrise a sua volta, dimenticando i problemi.
“Non avere paura, Arthur. Spesso abbiamo paura di ciò che è nuovo, di ciò che non conosciamo, commettendo, a volte, un grave errore.”
Arthur guardò la moglie. Aveva capito cosa voleva dire e le sorrise in un modo rassicurante, tanto che la moglie lo lasciò da solo a meditare su quel cielo, su quegli sguardi terrorizzati che ogni tanto gli si riproponevano nella mente, su quel silenzio agghiacciante e su quelle grida che ogni volta che erano ascoltate strappavano brandelli di cuore.
Il re rifletteva e cercava di immaginare cosa potesse esserci dietro tutto questo. Cercava risposte ma, ogni volta, trovava altre domande.
Ad un tratto un nuovo pensiero si fece strada nella sua mente. Un nuovo dolore riemerse, un dolore soppresso, un dolore sepolto che, quel giorno era stato riesumato. Un dolore che si riconduceva ad una sola persona. La stessa persona che ricomparve prontamente in quel momento nella mente del re. Colui che fino ad allora era apparso solo nei suoi incubi, quella volta era apparso anche nella sua mente.
Era un uomo la cui faccia, come tutto il corpo, erano coperti da una tunica nera. Quell’uomo era la causa della sofferenza del re. Quell’uomo era colui che, lentamente, lo stava uccidendo.
Il re stava collegando quell’uomo alla notte dei cavalieri. Era convinto che fosse opera sua, che fosse stato lui a provocare tutto ciò.
 “Forse… Forse…” pensava il re, continuamente bloccato dal terrore che suscitava in lui quell’uomo.
“ Il tempo è scaduto. Forse… apparirà. Forse…Forse è tornato” disse precipitando in un mare di la-crime, la cui fine non avrebbe di certo arrestato il dolore presente nel cuore del re.


Quella stessa sera i tre ragazzi: Steven, Seraphine e Robert si trovarono sulla immensa terrazza del castello, la stessa in cui, poco prima, il re aveva pensato, aveva ricordato e aveva pianto.
Seraphine era visibilmente preoccupata, come poco prima lo era il padre.
“Cosa ti preoccupa?” chiese Steven.
“Oh, Steven, se potessi, tu, comprendere il mio dolore, la mia agonia, nel vedere questo cielo, ri-pensando a quando, due notti fa, ne eravamo spaventati!”
I due la guardarono preoccupati. Sapevano che la principessa era molto fragile e che le più minime preoccupazioni, i più minimi pensieri, le più minime ansie, diventavano per lei un fardello da portare sulla schiena.
“Quei rumori” continuò. “Quelle grida, quel sangue nel cielo. Io…Io mi chiedo cosa fosse stato a provocarli.”
“Forse…” disse Steven. “Vorrei con tutto il cuore sbagliarmi, ma…” continuava interrompendosi spesso. “Io credo che dietro tutto questo ci sia una persona che…che ha rovinato la vita a nostro pa-dre. Una persona che è legata ad un avvenimento che ha lacerato e distrutto ogni speranza nel suo cuore. Un uomo che… forse sta ritornando.”
“Quale avvenimento?” chiese spaventata Seraphine.
“Io…Io non credo che nostro padre voglia che io vi racconti questo, fidatevi. Io spero con tutto il cuore che non ce ne sia bisogno ma, in caso fosse necessario, dovrete conoscere anche voi questa orribile storia.
I cuori dei due ascoltatori si congelarono di un gelo eterno. Di un gelo che difficilmente si sarebbe potuto sciogliere.
I tre ragazzi rimasero lì, in balia del destino che continuava a giocare con le loro vite e i loro senti-menti. In balia di un leggero venticello che cercava di consolarli, ma che non ci sarebbe certamente riuscito.
Chi era quell’uomo incappucciato che aveva squartato ogni segno di felicità nel cuore del re? Quale avvenimento può aver ferito così tanto un animo nobile come quello del re Arthur?
Tutte queste domande stavano diventando, forse, la risposta alla domanda che tutti a Gardenia si stavano ponendo: Cosa sta succedendo?
E mentre la notte calava su Gardenia, un mistero macabro e agghiacciante calava su quei tre cuori gonfi di paura e preoccupazione, su quei tre ragazzi che quella notte avrebbero dormito nei loro caldi letti, ignari di ciò che l’indomani li avrebbe scossi, ignari di ciò che avrebbe cambiato la loro vita per sempre, ignari di ciò che il destino aveva in serbo per loro.

Spero vi sia piaciuto! ;D
Fatemi sapere, mi raccomando!!!!

victor

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera"
« Risposta #1 il: Febbraio 24, 2012, 12:48:20 »

Aspetto di conoscere il seguito ...

Victor
Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor

Steven Joseph

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera"
« Risposta #2 il: Febbraio 24, 2012, 13:25:39 »
Il seguito arriverà a breve, non preoccupatevi!!!! Comunque, vi è piaciuto???

nihil

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera"
« Risposta #3 il: Febbraio 24, 2012, 17:45:54 »
l'attesa per il seguito non manca! :)
Ma Coravia o Gardenia?
Correggerei quel "più minime": stona.  ;)
A presto.

Steven Joseph

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera"
« Risposta #4 il: Febbraio 24, 2012, 18:06:57 »
Coravia è il nome del regno e Gardenia è una città di quel regno. La capitale. Dove si svolge la storia.

nihil

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera"
« Risposta #5 il: Febbraio 24, 2012, 18:35:50 »
sorry...niente tom-tom.   ;D

Steven Joseph

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera"
« Risposta #6 il: Febbraio 24, 2012, 19:50:26 »
No problem. ..

Leon8oo3

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Re:Dal mio romanzo "La rosa nera"
« Risposta #7 il: Luglio 09, 2012, 10:29:56 »
“Qualcosa ti turba, Arthur?” chiese lentamente."

 :snow:


Come si fa chiedere qualcosa lentamente?
"(...)in quale notte, delirante, malaticcia. Da quali enromi Golia fui concepito, così grande e così inutile".