Autore Topic: "Madonna del parto"  (Letto 2455 volte)

Doxa

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"Madonna del parto"
« il: Novembre 04, 2015, 00:11:58 »


Questo affresco, che rappresenta la  Madonna del parto, fu realizzato nel 1455 circa da Piero della Francesca, nella piccola chiesa di Santa Maria a Momentana, nel Comune di Monterchi, in provincia di Arezzo.

Non si sa chi fu il committente di questo affresco che raffigura la Madonna incinta. Forse fu ordinato al citato artista per sciogliere un voto od impetrare una grazia.

La madre di Gesù è in piedi a figura intera, leggermente ricurva dalla gravidanza. La postura evidenzia il suo stato. I suoi occhi guardano verso il basso; la fronte è alta, secondo la moda del tempo, che voleva le attaccature dei capelli rasate. La mano destra è poggiata sul grembo, mentre l’altra è sul fianco sinistro. La Madonna è raffigurata al centro di una tenda damascata simile ad un tabernacolo. Sulla damascatura sono disegnati dei melograni, presenti anche nella veste di re Salomone e nell'affresco della “Leggenda della Vera Croce”. I melograni simboleggiano la fertilità e la Passione di Cristo. L'interno è invece foderato con una trapunta.  I lembi laterali del tendaggio sono tenuti aperti da due angeli.  Nei loro abiti e nelle ali i colori sono alternati: manto verde, ali e calzari bruni per quello di sinistra, viceversa per quello di destra. Gli angeli guardano verso lo spettatore, richiamando la sua attenzione, come se stessero spalancando un sipario proprio per lui.

« Ultima modifica: Novembre 06, 2015, 00:33:43 da dottorstranamore »

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Re:"Madonna del parto"
« Risposta #1 il: Novembre 05, 2015, 00:21:57 »
L’iconografia della “Madonna del parto” nacque nel medioevo non dalla devozione mariana da parte delle gestanti ma a seguito delle dispute teologiche sulla natura umana e divina del Cristo che minacciavano l’unità della Chiesa. Si confrontavano due opinioni, quella capeggiata dal teologo Nestorio, vescovo e patriarca di Costantinopoli, e quella del suo oppositore, il teologo Cirillo, vescovo e patriarca di Alessandria d’Egitto.

Nestorio sosteneva che Gesù aveva due nature: umana e divina, ma non unite fra di loro nel vincolo ipostatico: per lui Gesù era solo un uomo, e Dio per volontà divina;  invece Cirillo considerava Gesù vero uomo e vero Dio, come affermato nel Credo di Nicea.
 
Connessa alla disputa su Gesù Cristo c’era quella attinente all’appellativo “Theotokos” (= Madre di Dio) relativo a Maria, la madre di Gesù. Per i nestoriani Cristo era solo “Theophoros”, termine greco che significa “portatore di Dio in sé”, perciò Maria doveva essere chiamata “Christokos”, la madre di Cristo (= messia), e non “Theotokos”, mentre  i cirilliani erano convinti che Maria aveva accolto in sé e dato alla luce Dio come uomo.

Le due diverse ideologie teologiche crearono la necessità di un concilio ecumenico, che nel 431 l’imperatore Teodosio II convocò ad Efeso (località nell’odierna Turchia) con l’approvazione del papa Celestino I.

I vescovi che parteciparono a quel concilio scelsero la dottrina di Cirillo e condannarono gli insegnamenti del nestorianesimo. Stabilirono che Gesù è nel contempo uomo e Dio.  L’unione in lui delle due nature avvenne nel corpo di Maria, perciò ella è la “Theotokos”, la “Madre di Dio”.
 
Dopo l'affermazione nel Concilio di Efeso della Divina Maternità  di Maria, ci fu nell’arte sacra dell’Oriente cristiano  lo sviluppo di alcune tipologie di icone mariane, una delle quali è la “Panaghia Platytera”: due parole di origine greca, “panaghia” significa “tutta santa”, invece “platytera” è l’attributo, = “più ampia”; Maria accogliendo, nel suo grembo l’incarnazione di Dio è  "Platytera ton ouranon” ("Più ampia dei cieli").

La  “Panaghia Platytera” raffigura Maria che  volge lo sguardo verso l’osservatore, ha le braccia alzate nella posizione orante e all’altezza del petto ha un’aureola circolare oppure un clipeo entro il quale è raffigurato il bambino Gesù. Un esempio è la sottostante icona:  dal greco “eikòn” = immagine.



Ma la figura di Maria nell’atteggiamento dell’orante era già attestata  a Roma  nel IV secolo su affreschi catacombali. Un esempio:  nel “Coemeterium Maius” in una lunetta una pittura di età costantiniana rappresenta una donna velata orante, riccamente vestita e adorna di collana e orecchini,  con grandi occhi e un bambino sul grembo; ai due lati il Chrismon. Alcuni ritengono che questa immagine sia la raffigurazione della defunta, mentre altri hanno voluto riconoscervi la Madonna con il Bambino. Comunque sia questo tema iconografico lo si ritrova nella Panaghia Platytera.




Una variante della bizantina Panaghia Platytera nell’arte sacra occidentale è la “Madonna del parto”, che raffigura la Vergine incinta.
 L’aggettivo “incinta” deriva dal latino medievale “incincta”, parola composta dal prefisso “in”, che in questo caso ha valore privativo,  +  la radice “cinta”:  significa non cinta, senza cintura, perché la gravidanza non consente di stringere la vita con una cinta.

 

“Madonna del parto”, dipinto su tavola di ignoto autore di scuola giottesca (1320 circa), Museo dell'Opera del Duomo, Prato.

La donna è rappresentata in piedi, a figura intera, con le mani sorregge sullo stomaco un libro chiuso, il quale allude al Verbo incarnato, alla presenza di Dio che si sta facendo carne nel grembo di Maria. 






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Re:"Madonna del parto"
« Risposta #2 il: Novembre 06, 2015, 00:13:42 »
Alla fine del XVI secolo la Controriforma cattolica scaturita dal Concilio di Trento (1545 – 1563) volle l’arte sacra non verista o naturalista ma simbolica, ieratica, mistica. Il visibile doveva soltanto accennare all’invisibile. E l’iconografia della Madonna del parto, ma non la sola, venne “eclissata”. Però la fede popolare può indurre al surrogato e  reputare “Madonna del parto” un gruppo scultoreo del '500 che invece rappresenta Maria assisa, col Bambino in piedi sulla coscia sinistra della madre.
 
Il “misfatto” avvenne a Roma, e l’errore ancora si perpetua nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, nei pressi di piazza Navona.
 

Roma, facciata della basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio

Questa statua  che rappresenta la “Vergine col Bambino” (vedi foto sotto) è  erroneamente nota come “La Madonna del Parto”. Fu realizzata nello stile dell’arte classica greco-romana ma in epoca rinascimentale, tra gli anni 1516 – 1521 dall’architetto e scultore Jacopo Tatti detto “Jacopo Sansovino” (1486 – 1570), da non confondere con l’architetto e scultore Andrea Sansovino (1467 – 1529).



Quando la scultura fu collocata nella chiesa degli agostiniani cominciò la leggenda secondo cui l’artista per realizzare questo manufatto  adattò un’antica statua di epoca romana raffigurante  Giulia Agrippina Minore (così detta per distinguerla dalla madre Agrippina Maggiore)  con in braccio il figlio Nerone, che in seguito divenne imperatore.

Passarono anni prima che la “diceria” cadesse nell’oblio. Poi quel gruppo scultoreo  fu considerato “miracoloso” dalla plebe romana che abitava nella zona, e nel ‘700  cominciarono le attestazioni di venerazione, di richiesta di grazie a quella statua che per decisione popolare fu denominata “Madonna del parto”, e come tale  protettrice delle gestanti.

Il culto  aumentò dal 1822,  perché  papa Pio VII concesse 200 giorni d’indulgenza a chiunque avesse baciato il piede della Madonna. La pia consuetudine ebbe successo, ma il piede di marmo divenne in breve tempo consunto  e fu necessario sostituirlo con un piede d'argento.

Questa cosiddetta  “Madonna del parto” (“Virgo ante partum. Virgo in partu. Virgo post partum”) fu oggetto da parte del poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli   di un irriverente sonetto titolato “La Madonna tanto miracolosa”, scritto il  2 febbraio 1833. Quel giorno il Belli  si recò nella predetta chiesa e rimase meravigliato dalla venerazione verso quella statua, testimoniata dall’afflusso di fedeli e da numerosi ex voto.

Nel suo sonetto il poeta contesta l’usanza popolare di donare monili alla statua come segno di riconoscenza “per grazia ricevuta”. 
Egli  descrive la folla che a forza di spinte e  gomiti si accalca per arrivare a toccare la statua, oppure per posare su di lei gli oggetti preziosi: un orologio, una catenina d'oro, un anello, un brillante, delle perle, o altri oggetti di meno valore.
 
I tanti oggetti portati da poveri e da ricchi  alla madonna  la trasformano in una “puttana” dice il Belli.
 
Questi sono i versi del sonetto “La Madonna tanta miracolosa”:

Oggi, a fforza de gómmiti e de spinte,

ho ppotuto accostamme ar butteghino

de la Madonna de Sant’Agustino,

cuella ch’Iddio je le dà ttutte vinte.

Tra ddu’ spajjère de grazzie dipinte

se ne sta a ssede co Ggesù bbambino,

co li su’ bbravi orloggi ar borzellino,

e ccatene, e sscioccajje, e anelli e ccinte.

De bbrillanti e dde perle, eh ccià l’apparto
:
tiè vvezzi, tiè smanijji, e ttiè ccollana:

e dde diademi sce n’ha er terzo e ‘r quarto.

Inzomma, accusì rricca e accusì cciana,

cuella povera Vergine der Parto

nun è ppiù una Madonna: è una puttana.

(Roma, 2 febbraio 1833)
« Ultima modifica: Novembre 06, 2015, 00:19:44 da dottorstranamore »