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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Imparare a vivere
« il: Marzo 19, 2024, 08:08:24 »



Come si impara a vivere?  Io non lo so !

Arrivi ad una certa età pensando di aver imparato qualcosa e invece ti accorgi che quello che hai imparato è ormai superato, fa parte di quel mondo che, mentre sei  impegnato a conoscerlo, già sta cambiando. 

Come  si può imparare a vivere se tutto attorno a te cambia in continuazione?

Un mio conoscente ha da poco imparato ad usare il computer e già lo stanno assillando con  l’intelligenza artificiale.

Ti dicono che bisogna adattarsi al mondo che cambia, che imparare a vivere consiste proprio nell'imparare ad adattarsi.

Dicono anche che durante  la vita i problemi  che s’incontrano sono proprio quelli che ci danno importanti lezioni, positive o negative,  fanno riflettere e inducono a percorrere un’altra strada.

 :mah:

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Pensieri, riflessioni, saggi / Imparare a vivere
« il: Marzo 18, 2024, 14:32:16 »


Il prof. Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica nell’università di Torino, ha recentemente pubblicato da Laterza un suo libro titolato: “Imparare a vivere. Vivere, sopravvivere, previvere, convivere”: sono le tappe attraverso cui questo libro  fa riflettere sul significato della vita e a come  si possa imparare a vivere. Ciò è possibile ? Stando a quanto scrisse due mesi prima di lasciare il mondo l’amico fraterno di Ferraris, il filosofo Jacques Derrida, imparare a vivere non è possibile, perché significherebbe accettare definitivamente il fatto di dover morire.

Se si accetta l’idea heideggeriana che la morte conferisce alle nostre azioni un orizzonte di significato, è anche vero che il pensiero della morte, quando riesce a farsi spazio nella mente non ne esce più e ci immalinconisce.

In questo libro l’autore  spazia su vari temi ma inizia descrivendo una caduta accidentale che lo costringe ad una sosta nella propria quotidianità. Egli dice che nel  momento in cui ci si ferma, la galassia di sentimenti e risentimenti che emergono è fatta dalla memoria delle cose vissute nel passato, nel proprio intimo, attraverso gli altri, intrecciata alle cose apprese anche attraverso  i libri, la letteratura, da Montaigne a Heidegger, da Nietzsche a Derrida, da Proust a Yourcenar, da Fitzgerald a Hemingway.

Il banale incidente sembra suggerire che tutto quello che avevamo ritenuto stabile, potrebbe finire.  Che forse non abbiamo ancora imparato a vivere. È proprio in quel momento che vale la pena di provarci ancora una volta, sperando che il vento si levi, disincagliandoci dalla secca in cui siamo finiti.

“Il nostro tempo ha una scadenza ultima e la realtà ci oltrepasserà, esisterà ancora e indipendentemente da noi, quando noi saremo trapassati. L’errore fatale che possiamo commettere è quello di ignorare la questione: come il pesce dell’aneddoto raccontato da David Foster Wallace (che, per dovere di cronaca, si è suicidato) e che campeggia quale simbolo sulla copertina del libro. Due giovani pesci, nuotando, ne incontrano uno più anziano che chiede loro «Com’è l’acqua, oggi?»; ma uno dei due giovani risponde: ‘Cos’è l’acqua?’. Come l’acqua per i pesci che non sanno di nuotarvi, così può essere per noi una vita vissuta nella totale inconsapevolezza; il che costituisce un grande peccato, se non religioso di certo filosofico”.

Ferraris ha fede in quella che egli definisce  la “cultura tecno-umanistica”.  Secondo lui, noi esseri umani siamo composti da due nature indissolubili: la natura organica, che cessa con la morte, e la natura tecnica, capace di sopravviverci, nella misura in cui l’essenza di homo sapiens coincide con la sua abilità tecnica; e ciò sin dai tempi remoti in cui imparò a fabbricare manufatti e a raccogliersi in gruppo attorno a un fuoco per narrare storie. Infatti, l’artefatto tecnico più straordinario di cui dispone la nostra specie è la scrittura, la trascrizione di storie in documenti capaci di trasmettere il sapere alla collettività al di là della cessazione della vita del singolo. Gli apparati di registrazione, pitture rupestri, papiri, taccuini, volumi, pdf o podcast, film o anche solo post sui social,  rappresentano una forma di sopravvivenza, se non del corpo, quantomeno del corpus di informazioni (più o meno utili) da tramandare ai posteri.

C’è, anche, l’esercizio del previvere, cui ci si dedica da giovani immaginando cosa sarà il futuro adulto fintanto che il futuro non si fa davvero presente, sovrastandoci con la sua ingombrante realtà. Possiamo previvere grazie alle opere letterarie o cinematografiche, attraverso la finzione, utile frutto di quella cultura tecno-umanistica di cui Ferraris tesse l’elogio: le opere di finzione ci fanno provare con l’immaginazione esperienze che avranno un’inevitabile ricaduta nel modo in cui vivremo la nostra vita.

Nella scrittura, nella lettura, nella comunicazione e condivisione di documenti c’è l’insegnamento che ci proviene dal convivere. Siamo animali socievoli, inestricabilmente legati agli altri, a chi ci sta a fianco e a coloro di cui leggiamo a distanza di secoli. Sono gli altri a darci un significato, sin dalla nascita, sin da quando imparammo a sorridere imitando il sorriso di nostra madre e a recitare filastrocche. Oggi, nell’era dell’individualismo e del narcisismo, è importante ribadire che la convivenza e l’empatia costituiscono l’essenza stessa della nostra umanità e il vero antidoto a ogni forma di nichilismo.

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Cogito ergo Zam / Re:Acqua di Colonia
« il: Marzo 16, 2024, 18:22:32 »
A Colonia nacque una donna di potere che amava profumarsi: Agrippina Minore, moglie dell’imperatore Claudio e figlia di Germanico.
 
L’attuale Köln nell’epoca dell’espansione militare romana era abitata dalla tribù germanica degli Ubi, la quale nel 39 a. C.  ebbe il permesso di trasferirsi dalla sponda destra alla sponda sinistra del fiume Reno, area in precedenza occupata da un’altra tribù. Nel luogo le milizie romane costruirono un oppidum, un accampamento militare fortificato, che fu denominato “Oppidum Ubiorum”. In seguito divenne un villaggio:   il 6 novembre dell’anno 15 d. C. vi nacque  Agrippina Minore, figlia di Agrippina Maggiore, moglie di Germanico.
 
Nel 49 d. C. Agrippina minor chiese al marito, l’imperatore Claudio,  di elevare al rango di colonia  il luogo  dove ella  era nata.  E fu istituita la “Colonia Claudia Ara Agrippinensium” (= Colonia di Claudio e Altare di Agrippina), in breve, “Colonia Agrippina”.


Una veduta di Colonia



Iulia Agrippina Augusta,  meglio conosciuta come Agrippina minor (notare la riccioluta capigliatura),  Museo Archeologico Nazionale, Napoli


Sposò l’imperatore Claudio, suo zio, il quale nel febbraio del 50  adottò il figlio da lei avuto dal precedente matrimonio con  Gneo Domizio Enobarbo: quel figlio era Nerone,  nato il 15 dicembre dell’anno 37.

Nello stesso anno concesse ad Agrippina il titolo di Augusta un onore questo, mai riservato in precedenza alla moglie di un imperatore.

Il 13 ottobre del 54 Claudio morì; la sua morte è imputata da quasi tutte le fonti antiche ad Agrippina, che l'avrebbe avvelenato, secondo alcune versioni con un piatto di funghi, poiché temeva ripensamenti da parte sua circa l'adozione di Nerone; questo, ormai sedicenne,  fu acclamato come nuovo imperatore,   inizialmente con la tutela della madre e del noto filosofo Seneca.

Il rapporto tra madre e figlio, però, non era solido e collaborativo. Nel mese di marzo del 59 la fece assassinare mentre la donna era a Baiae,  l’attuale Baia, frazione di Bacoli, Comune dell’area metropolitana di Napoli

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Cogito ergo Zam / Acqua di Colonia
« il: Marzo 15, 2024, 18:39:00 »
Historia mirabilis dell’Acqua di Colonia: perché  è  detta “di Colonia” ?
 
Per saperne di più andiamo in Piemonte, verso il Lago Maggiore,  poi ci spostiamo  a Domodossola, (provincia del Verbano-Cusio-Ossola), nella piana del fiume Toce, alla confluenza di sette valli (Val Bognanco, Val Divedro, Valle Antigorio-Formazza, Valle Isorno e Val Vigezzo).

Ci addentriamo nella Valle Vigezzo, di origine glaciale,  ha la forma di una U; per la sua particolare orografia  è differente dalle altre valli ossolane.  In questa valle c’è  un piccolo paese, si chiama Santa Maria Maggiore, è tra le Alpi Lepontine, nel lembo superiore del Lago Maggiore: dista circa 30 km da Locarno (Svizzera) e 20 km da Domodossola.


parziale veduta della Val Vigezzo



Santa Maria Maggiore: veduta del piccolo paese di circa 1300 abitanti.  Il  toponimo deriva dal nome della locale chiesa.

Questa località è nota per il museo dedicato allo spazzacamino, e vi si svolge  l’annuale raduno internazionale degli spazzacamini nel primo fine settimana di settembre. Non basta, in questo luogo  c’è anche la “Casa del profumo Feminis – Farina”: due personaggi determinanti nella storia dell’Acqua di Colonia. 

Giovanni Paolo Feminis nacque a Crana (frazione di Santa Maria Maggiore) nel 1660 circa  è morì in Germania, a Colonia, nel 1736. 



autore anonimo, ritratto di  Giovanni Paolo Feminis.

Emigrò in Germania  in giovane età. Si stabilì prima a Bergka (oggi Rheinberg), poi dal 1685 a Mainz (Magonza). Nel 1693 anni si trasferì a Koln (Colonia) dove svolse l’attività di profumiere e creò l’Eau Admirable ou de Cologne. 

Importante, per il successo dell’Acqua di Colonia, fu l’amicizia e il sostegno economico del mercante Giovanni Maria Farina, anch’egli di Santa Maria Maggiore ed emigrato a Maastricht, che ne seguì la commercializzazione.

Dopo la morte del Feminis l’attività commerciale fu ereditata da Giovanni Antonio Farina,  nipote di Giovanni Maria Farina.

Il figlio di Giovanni Antonio,  Jean Marie Farina, perfezionò la formula. Il profumo ebbe successo e aprì  una boutique in Rue St. Honorè, a Parigi, da dove l‘Eau de Cologne veniva  spedita alle corti di tutta Europa. Grande estimatore e consumatore fu  Napoleone  I Bonaparte, ma anche Goethe, Voltaire e la regina Vittoria d’Inghilterra,


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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:A Roma dimo così...
« il: Marzo 15, 2024, 16:08:28 »
Il monologo di Valentina Persia su "l'inguine sensibile"

Cliccare sul link

https://youtube.com/watch?v=MaGexg2JlMc&feature=shared

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:A Roma dimo così...
« il: Marzo 14, 2024, 15:48:27 »
"Me so' magnato er fegato": 

fegato in senso metaforico, non "frattaglia" ma il suo fegato per la delusione ricevuta dalla partner Gigi Proietti

cliccare sul link

https://www.youtube.com/watch?v=8nTq-EHqtDU

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Soglia
« il: Marzo 05, 2024, 18:59:03 »
Nella farsa in un atto titolata “Cupido scherza e … spazza”, scritta dal  celebre attore e commediografo Peppino De Filippo, c’è l’esilarante dialogo tra due personaggi: Salvatore e Rosina,  e l’equivoco tra soglia e sogliola.

ATTO PRIMO

È pomeriggio. Al levarsi del sipario si sente in lontananza la musica di un pianino. Rosina è seduta presso la comune rammendando della biancheria.

SALVATORE    (dopo poco entra. È vestito con l’uniforme della Nettezza Urbana, ed ha con sé una lunga scopa.
                     Appare alla comune e, spazzando, si avvicina a Rosina. Le si ferma vicino e, levandosi il berretto, le
                     dice con evidente galanteria) Buonasera Rosina!

ROSINA          (con tono di sopportazione e senza guardarlo) Bonasera!

SALVATORE     (c.s) Oggi è dummeneca, non sei antata alla passeggiata?

ROSINA          Aggio vuluto rimmanè ‘a casa.

SALVATORE     (c.s) Premetti? (accenna a spazzare)

ROSINA           Che vuo’?

SALVATORE     Voglio pulezzare la sogliola della tua casa.

ROSINA          (che non ha capito) Che vuo’ pulezza’?

SALVATORE      La sogliola della tua casa.

ROSINA           (correggendolo) Se dice «la soglia», no la sogliola.

SALVATORE      Un lapis di lingua. In fondo è lo stesso.

ROSINA           Nun è ‘o stesso. Soglia significa ‘na cosa e sogliola ‘n’ata. La soglia (indica la soglia) è questa, e
                       la sogliola, si nun ‘o ssaje, è ‘nu pescio
(= pesce)

SALVATORE     Io sono un autoritratto… mi sono distruito senza bisogno ‘e ‘j ‘a scola.

ROSINA          E ‘a scola s’adda ‘j, si no uno resta ‘gnuranto.

SALVATORE     (ridendo) …comme a me?

ROSINA          (sorride) Comme a te.

[….]

Se vi va di leggere il testo dell’intera farsa questo è il link

https://www.ateatro.info/copioni/cupido-scherza-e-spazza/

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Soglia
« il: Marzo 04, 2024, 09:40:01 »
Il sostantivo “soglia” è presente al plurale  anche nella poesia “La pioggia nel pineto”, scritta da Gabriele D’annunzio per dedicarla alla sua amante, l’attrice Eleonora Duse.

Il testo lo elaborò  tra luglio e agosto del  1902 mentre era ospite nella villa “La Versiliana”: è un edificio storico all’interno del Parco della Versiliana a Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca.


Villa La Versiliana.

“La pioggia nel pineto”: è composta da 128 versi divisi in quattro strofe.

Questo è il link per leggere il lungo testo

https://www.libriantichionline.com/divagazioni/gabriele_annunzio_pioggia_pineto_1902

In questa poesia il ”divino Gabriele” invita la donna che ama e che l'accompagna nella pineta a tacere per ascoltare i suoni della natura.

“Taci. Su le soglie / del bosco non odo / parole che dici / umane; ma odo / parole più nuove / che parlano gocciole e foglie / lontane”.

Il “vate”  descrive lui e lei mentre scende la pioggia e gli effetti di questa sulla vegetazione e sugli animali.

Il tema dominante è il “panismo” (dal dio greco Pan): la fusione dei due amanti con la natura

“E piove su i nostri volti / silvani, / piove su le nostre mani / ignude, / su i nostri vestimenti / leggeri, / su i freschi pensieri / che l'anima schiude / novella, / su la favola bella / che ieri / m'illuse, che oggi t'illude, / o Ermione”: nome che deriva da quello del  dio greco Hermes, il messaggero degli dei; Ermione si chiamava anche la  figlia di Elena di Troia e Menelao.

In questa poesia la ripetizione di parole e di frasi, il susseguirsi di sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, fanno sembrare questa poesia come una sinfonia: il poeta scelse le parole non tanto per il loro significato quanto per il loro suono  per creare musicalità. 

Al tema del panismo  è collegato quello della metamorfosi: la trasformazione del corpo da una forma ad un’altra: i protagonisti  sembrano diventare elementi naturali, come alberi o animali.   

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Pensieri, riflessioni, saggi / Soglia
« il: Marzo 04, 2024, 09:27:13 »
Cara Nina, mia unica interlocutrice,  stamane mentre sorseggi il caffè t’invito a riflettere sul sostantivo “soglia”: dal latino  “sŏlea” (= suola).

Non temere, non sono qui, in questa pubblica piazza,  per darti “na sòla”, una fregatura, come diciamo in dialetto romanesco, romanaccio o semplicemente romano,  e neanche per dirti che “sei ‘na sòla”: frase che si usa quando un’altra persona non mantiene un impegno. Si pensa che questo modo di dire sia scaturito dalla disonestà di alcuni calzolai che, in passato , riparavano  con materiali scadenti le suole delle scarpe: “ce metteveno ‘na toppa”. 

La soglia può alludere a varie cose, per esempio alla  “soglia di povertà”,  o alla “soglia percettiva” (limite al di sotto del quale uno stimolo sensoriale non viene percepito), oppure la soglia come limen (spazio che delimita l’interno dall’esterno, per esempio l’ingresso in una casa).
A Canongate, quartiere di Edimburgo, c’è una chiesa del XVII secolo che ha una scritta augurale sull’architrave della porta in corrispondenza della soglia:  “Pax intrantibus, salus exeuntibus” (= Pace a quelli che entrano e salute a quelli che escono).

E di pace avrebbe avuto bisogno il pittore olandese Vincent van Gogh, invece…

Egli titolò un suo dipinto “Sulla soglia dell’eternità”



Vincent van Gogh, Sulla soglia dell’eternità  (Vecchio che soffre), olio su tela, 1890, Museo Kröller-Müller di Otterlo, Paesi Bassi (Olanda).

L’artista realizzò questo dipinto mentre era a Saint-Rémy-de-Provence. L’immagine mostra un veterano di guerra, Adrianus Jacobus Zuyderland, che il pittore aveva conosciuto  circa un anno prima all'interno di una clinica durante la sua convalescenza.

L’anziano uomo è seduto, chinato in avanti,  si copre il viso con le mani chiuse a pugno. Notare il “freddo” colore blu del suo abbigliamento.  Sulla sinistra c’è un focolare che fiammeggia (?).

Alcuni studiosi ipotizzano che su questa figura  Vincent espresse il suo stato d’animo depresso. Infatti nei suoi dipinti a volte manifestava anche  il disagio e la sofferenza della propria vita.



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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Aporofobia
« il: Febbraio 29, 2024, 15:53:50 »
Ancora dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” (del 18 giugno 2021) un articolo di Andrea Gianotti: “Quanto sei lontano dalla soglia di povertà? Scoprilo con il calcolatore interattivo”.

“Quasi un italiano su dieci è povero. Ma non di quella povertà che non ti permette di andare in vacanza ad agosto, quanto piuttosto di quelle che ti costringe a misurare ogni euro quando si va a fare la spesa.

Il report annuale Istat certifica una situazione sotto al limite per 2 milioni di famiglie, ossia il 9,4% della popolazione italiana, in forte crescita nel 2020 rispetto all’anno precedente quando era “solo” il 7,7%. Che tradotto in valori assoluti fanno 333mila famiglie in più.

Come possiamo quantificare la condizione “assoluta” come la definisce l’Istituto di statistica? Dipende da diversi fattori, tra i quali dove vive e la composizione del nucleo famigliare.

Facciamo degli esempi: una famiglia composta da due trentenni e da due figli alle scuole primarie è considerata povera se, vivendo in una grande città del nord, non riesce a guadagnare complessivamente almeno 1.680 euro al mese. Tenuto conto del costo degli affitti per l’abitazione o del mutuo e delle spese fisse generali, quel che rimane è davvero minimo. La stessa situazione ma al sud e in un piccolo comune di provincia scende a 1.230 €, considerando dunque il differente costo della vita. E ancora, un anziano solo di oltre 75 anni, non è povero se ha redditi mensili per almeno 700€ circa, ma solo se vive in un comune di almeno 50mila abitanti nell’Italia centrale e che non sia una città metropolitana. Ne servirebbero 65 in più se abitasse in una grande città del Nord ma 140 in meno se la stessa grande città fosse al Sud Italia.

L’incidenza tra le famiglie aumenta vertiginosamente al crescere del numero dei figli. Più di una su cinque tra quelle con tre minori si trova in questa condizione. I poveri, dunque, sono soprattutto giovani: il 13,5% dei minorenni lo è, e ben il 12% dei neonati è nato povero o lo è diventato povero nel corso del 2020. E se pensate che la povertà sia correlata esclusivamente ad una situazione di disoccupazione o marginalità sociale, un dato potrebbe stupirvi: il 13,2% delle famiglie che ha come persona di riferimento un operaio è considerato assolutamente povero”.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Aporofobia
« il: Febbraio 29, 2024, 15:47:33 »
Nella stessa pagina del quotidiano che ho citato nel precedente post c’è anche un articolo della professoressa Francesca Trivellato, studiosa di storia culturale, economica e sociale nel primo periodo moderno.

E' titolato “Alle origini di una atavica disparità economica”.

La Trivellato dice che nel 2020 l’1% degli italiani deteneva il 22% della ricchezza nazionale privata, il 5% ne aveva il 40%. Nel XIV secolo le percentuali rilevabili in vari centri della penisola erano sostanzialmente analoghe.

La tendenza della disuguaglianza economica a crescere nel tempo non è recente e neppure inevitabile.

Prima del conflitto mondiale del 1914 – ’18 solo la “peste nera” del 1348 (che falcidiò oltre un terzo della popolazione europea) ebbe l’effetto di appianarla. Se ne deduce che la disuguaglianza può aumentare anche in periodi di stagnazione economica.

A determinare la disuguaglianza economica non sono le calamità naturali ma le politiche fiscali e i regimi successori adottati dalle élite al potere.
Questi risultati impongono che all’analisi dei dati quantitativi si affianchi quella dei valori e dei presupposti ideologici che hanno indotto tali politiche.

Nel ‘400 fu la legittimazione culturale dei profitti tratti da operazioni finanziarie a consentire a famiglie prive di pedigree, come i Medici a Firenze, di scalare i vertici dello Stato. Ma proprio a Firenze e in altre città governate da oligarchie di nuova estrazione, il divario economico crebbe ancor più che nelle terre di antico dominio feudale.

Perché dopo 200 anni dalla Rivoluzione francese non a tutti è data la medesima opportunità di arricchirsi ? Perché le disponibilità economiche non azzerano i pregiudizi ?

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Pensieri, riflessioni, saggi / Aporofobia
« il: Febbraio 29, 2024, 15:43:21 »
Aporofobia: parola composta di origine greca, formata da “àporos” (= povero) e dal suffisso “- fobos” (= paura): paura del povero o avversione verso il povero. Il neologismo è stato coniato dalla filosofa spagnola Adela Cortina Orts, che ha recentemente pubblicato il libro titolato: “Aporofobia. Il disprezzo dei poveri” (edit. Timeo), recensito lo scorso 25 febbraio sull’inserto “Domenica” del quotidiano “Il Sole 24 Ore” dal prof. Vittorio Pelligra, docente di politica economica all’Università di Cagliari.   

Pelligra nel suo articolo evidenzia che durante i primi mesi dell’invasione russa in Ucraina, l’esodo provocato dalla guerra ha generato anche in Italia un fenomeno paradossale: la tradizionale ostilità nei confronti degli immigrati da parte delle forze politiche di destra si è trasformata in disponibilità, solidarietà e accoglienza. Questo atteggiamento ha contribuito ad incrementare la “guerra fra poveri” con esponenti politici che distinguevano tra “profughi veri”, quelli provenienti dall’Ucraina e “profughi finti”, quelli provenienti dall’Africa, Medio Oriente o dall’Asia centrale. Cosa c’è alla base di questo trattamento differenziato ? 

La Orts, docente di etica e filosofia politica nell’Università di Valencia, nel suo libro dice che la chiave interpretativa corretta è quella economica: il pil pro-capite dell’Ucraina si avvicina ai cinquemila dollari, mentre quello del Sudan, per esempio, è inferiore ai 600 dollari. 

Gli stranieri non ci piacciono, ma quelli poveri ci piacciono ancora meno. E’ l’aporofobia, il rifiuto, l’avversione e il disprezzo per i poveri.  E’ vero ? Per quanto mi riguarda non disprezzo i poveri ma i finti poveri, come quei “nomadi” che chiedono l’elemosina ed hanno il reddito d’inclusione perché nati in Italia ma nel contempo dalla Romania e da altri luoghi fanno venire in Italia persone menomate per impietosire i passanti. Molti di loro come “professione” si dedicano all’accattonaggio. Tale “mestiere” se lo stanno imparando anche gli africani. Chiedono l’elemosina davanti l’entrata dei supermercati, dei centri commerciali ma anche dei negozi di alimentari. Li vedo sia a Roma sia a Milano, dove vado spesso. 

Torno all’articolo di Pelligra: “Come la xenofobia, anche l’aporofobia è una forma di odio sociale, indistinto. Non riguarda questa o quella persona conosciuta, ma questa o quella categoria di persone sconosciute: gli stranieri, quelli che hanno la pelle di colore diverso, o i poveri e i miserabili. Infatti quando i ricchi pensionati inglesi o italiani si trasferiscono in Spagna o Portogallo o gli infermieri spagnoli e le badanti bielorusse vanno a lavorare in Gran Bretagna o vengono qui da noi, nessuno ha da obiettare. 

Il problema non è lo straniero ma il suo conto in banca. (Non sono d’accordo con Pelligra). Questo atteggiamento è in palese contrasto con l’etica scritta e pensata che ratifichiamo in pompa magna nelle dichiarazioni e nei trattati internazionali. Infatti la lotta alla xenofobia, al razzismo, all’omofobia”. 

La filosofa Orts: “nei nostri Paesi democratici che si dichiarano a favore dell’uguaglianza e della pari dignità di tutti gli esseri umani (…) è ormai un compito che spetta alla giurisprudenza e alle forze dell’ordine, ed è un compito arduo. Il fatto che alla base anche della xenofobia ci sia il disprezzo per i poveri non può in nessun modo farci star meglio perché, come dice l’autrice, ‘aporofobici lo siamo quasi tutti’. L’aporofobia, come la xenofobia, ha basi biologiche. Nasce dalla naturale diffidenza per il diverso”. 

Il prof. Pelligra rileva che durante la preistoria le piccole comunità di cacciatori-raccoglitori impararono che per sopravvivere era importante il reciproco altruismo, la cooperazione per avere le risorse necessarie alla vita e organizzare la difesa contro i nemici. La reciprocità, il dare e avere è il collante della cooperazione, della sopravvivenza e dello sviluppo. E chi non può dare ? Chi è impossibilitato a contribuire ? Questi sono gli “esclusi”, i poveri. L’aporofobo non ha nulla da dare e tutto da prendere, uno con cui non vogliamo avere nulla a che fare.  Se poi tale posizione viene rinforzata come capita spesso da discorsi d’odio, o dalla retorica meritocratica le conseguenze sono più gravi: il povero va allontanato e combattuto, perché la sua povertà è la sua colpa. Lo straniero non va bene , neanche il povero. E il disabile ? Anche i disabili, soprattutto quelli gravi, hanno tutto da prendere e nulla da dare. Allora nel migliore dei casi il rapporto con gli esclusi non riguarda la giustizia ma la benevolenza.  Non è difficile rinvenire in questa impostazione la causa alla base della rottura dei patti intergenerazionali in fatto di pensioni, delle resistenze verso le società multietniche, la crisi delle politiche pubbliche negli ambiti dell’istruzione, della sanità e del welfare e più in generale di tutte le politiche di contrasto alla povertà e di promozione delle pari opportunità. La cura ? Ci vuole l’altruismo, il desiderio di cura verso chi ha bisogno, promuovere la pari dignità delle persone, capaci di tirar fuori la parte migliore di ogni essere umano”.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Ignoranza
« il: Febbraio 26, 2024, 17:29:22 »
L’originaria basilica di San Pietro in Vincoli fu costruita nel  442 per volere di Licinia Eudoxia (augusta dell’Impero romano d’Occidente), figlia dell’imperatore  d’Oriente Teodosio II e moglie dell’imperatore d’Occidente Valentiniano III.

“Donna Licinia” fece edificare la chiesa per far custodire le (false reliquie) catene (in latino vincula, perciò il titolo San Pietro in Vincoli) che  secoli prima avevano imprigionato  l’apostolo Pietro a Roma nel carcere Mamertino,  insieme a quelle relative alla prigionia dello stesso discepolo  a Gerusalemme. Le due catene sono custodite in un’urna sotto l’altare maggiore. Viene esposta ai fedeli una volta l’anno: l’1 agosto.


Il reliquiario con le catene.

Fu la “turca”  Licinia (nata a Costantinopoli nel 422 e morta in quella città nel 493 circa) a chiamare a Roma il re dei Vandali Genserico, causando il saccheggio dell’Urbe nel 455.

La chiesa di San Pietro in Vincoli  fu ricostruita nell’ VIII sec. ed ebbe ulteriori interventi edilizi  nei secoli successivi.

Nel braccio del transetto destro c’è il mausoleo che doveva essere la tomba di Papa Giulio II. Fu commissionato a Michelangelo nel 1505, ma l’opera  subì varie interruzioni. Fu completata nel 1545,  trentadue anni dopo la morte di Giulio II, che  invece è sepolto in Vaticano  nella basilica di San Pietro, insieme allo zio, il pontefice Sisto IV.   

Nel progetto originale il monumento funebre  era più grande. Previste più di 40 statue come ornamento della stanza funebre ed anche l’ampliamento della basilica.
La versione definitiva, dopo che il progetto ebbe la sesta modifica, fu di sette statue per ornare il monumento funebre, tra le quali il Mosè, realizzato da Michelangelo Buonarroti tra il 1513 e il 1515.   


Michelangelo Buonarroti, monumento funebre per il  pontefice Giulio II, basilica di San Pietro in Vincoli.

Nel registro inferiore, alla destra del Mosè, la scultura che raffigura la biblica Rachele con le mani giunte (simbolo della vita contemplativa), invece sulla sinistra c’è Lia (vita attiva).



La statua del Mosè, alta m 2,35. E’ seduto, guarda verso destra, ha il piede destro posato sulla base, la gamba sinistra sollevata e la  sola parte anteriore del piede poggiata sul basamento.

Mosé con la mano sinistra si tocca la barba, con il braccio destro regge le tavole della Legge.

Inizialmente era seduto in posizione frontale. Secondo un documento, 25 anni dopo aver concluso il marmoreo Mosè, Michelangelo ebbe l’incarico di modificarlo: nel 1542  fece ruotare la testa per distogliere lo sguardo del profeta dagli altari nell’abside e nel transetto dove c’erano custodite le cosiddette “catene” di San Pietro.

Per ottenere la torsione, abbassò la seduta di 7 cm, rimpiccolì il ginocchio sinistro per portare indietro la gamba e girò a destra la barba per mancanza di marmo a sinistra. II naso fu ricavato dalla gota sinistra.



Le corna sulla testa  forse le realizzò per un errore di traduzione del Libro dell’Esodo (34, 29) dove si narra   che Mosè mentre scendeva dal Monte Sinai aveva  due raggi sulla fronte.  La parola ebraica  "karan"  (= raggi)   fu confusa con "keren"  (= corna), generando la presenza dell’originale dettaglio nella statua.


Nel registro superiore:  al centro, nella nicchia c’è il gruppo scultoreo della  Madonna col Bambino;  davanti, la marmorea urna sepolcrale che avrebbe  dovuto contenere il corpo di Giulio II, raffigurato sdraiato su un fianco, come se fosse adagiato su un triclinium anziché sul coperchio del feretro; sulla destra  di questo, la statua che simboleggia la Sibilla,  sulla sinistra è rappresentato un profeta assiso.




The end

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Ignoranza
« il: Febbraio 26, 2024, 17:09:10 »
Nel precedente post ho citato la basilica di San Pietro in Vincoli, che è a Roma. 

L'ho frequentata soprattutto da adolescente. La domenica pomeriggio con una mia amica andavamo prima a Villa Celimontana, poi dalla collina del Celio  salivamo al Colle Oppio per giungere al Colle Esquilino.  Concludevamo la passeggiata scendendo la "Scalinata  dei Borgia" per andare alla stazione della linea B in via Cavour.


Scalinata dei Borgia vista da via Cavour.

E’ detta  “Scalinata dei Borgia”  perché in quell’area avevano alcune loro proprietà.

Il portico che si vede in cima alla salita è sovrastato dal palazzo di epoca rinascimentale. Vi abitava  Vannozza Cattanei, amante del papa Alessandro VI Borgia, dal quale ebbe quattro figli: Giovanni, Cesare (il famigerato duca Valentino),  Goffredo e, la famosa, Lucrezia Borgia.
Il nome “Vannozza” deriva da Giovanna (es. Giovannozza)

Attraversato il portico si accede su piazza San Pietro in Vincoli


Veduta parziale della piazza di San Pietro in Vincoli,   il portico antistante la facciata della basilica di San Pietro in Vincoli,  l’adiacente ex convento oggi è  parte della Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Roma “La Sapienza”.
 

Basilica di San Pietro in Vincoli, portico della facciata con cinque arcate sorrette da pilastri ottagonali. Nei capitelli  c’è lo stemma del pontefice Giulio II.



Chiostro della basilica, progettato dal noto architetto Giuliano da Sangallo. 



Interno, navata centrale. L'interno della chiesa è diviso in tre navate, separate da 20 marmoree colonne doriche di epoca romana. Si presume sottratte dal Portico di Livia. Furono  riutilizzate per la costruzione della  prima basilica.

segue

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Ignoranza
« il: Febbraio 26, 2024, 16:46:33 »
Nikolaus Krebs von Kues, in Italia lo conosciamo col nome di Niccolò Cusano o Nicola di  Cusa,  nacque nel 1401 a Kues, nella Renania-Palatinato, in Germania. La piccola città è oggi denominata Bernkastel-Kues, nata dall’unione delle due vicine località, situate circa 50 km a valle di Treviri.

Frequentò la facoltà di lettere dell' Università di Heidelberg, ma completò gli studi a Padova, dove si laureò in diritto canonico nel 1423. La laurea magistralis la conseguì in Germania, a Colonia, e divenne doctor in filosofia e teologia.

Dalla relazione con Henriette Marie Hüßœr ebbe due figli, ma la donna morì dopo aver partorito il secondo figlio. Perciò nel 1436 ebbe la possibilità di essere nominato presbitero.

Non basta. Era un uomo sapiente e carismatico al servizio del papato.

Nel 1448 fu "elevato alla porpora cardinalizia"; nel 1450 ebbe anche la nomina di vescovo-principe di Bressanone.

Scrisse vari libri, fra i quali nel 1440 il noto “De docta ignorantia” (la dotta ignoranza) in cui fonda la possibilità umana della conoscenza sulla proporzione fra noto e ignoto; nel 1449 elaborò l’ “Apologia De docta ignorantia”. Per questo testo afferma di essersi basato su un passo della Lettera a Proba, scritta da Agostino d’Ippona.

La dotta ignoranza, secondo Nicola Cusano, è un concetto filosofico che riflette l’atteggiamento del pensatore consapevole della limitatezza della conoscenza umana rispetto all’immensità dell’ignoto. Comunque può costruire un’interpretazione del mondo.

Il cardinal Cusano affermava che tutte le religioni sono delle varianti culturali del culto dell’unica vera divinità. Di fatto, egli sembra voler conferire a tutte eguali diritti nei confronti della ricerca della verità.

Descrive nei suoi testi un’ideale assemblea tra i rappresentanti di ogni popolo che deve dare a tutti la possibilità di esprimere le proprie posizioni. Questo concilium universalis sarebbe il corrispettivo terreno dell’assemblea divina.

Benché l’espressione “De docta ignorantia” sia associata a Cusano essa compare già in filosofi precedenti. A questo cardinale deriva dal pensiero di Agostino.

Cusano approfondisce il concetto di dotta ignoranza riproponendo le riflessioni a lui precedenti e ampliandole.

Per lui la dotta ignoranza è una formula gnoseologica, importante per riflettere su Dio, ed è alla base di qualsiasi conoscenza.

Il limite della conoscenza umana non riguarda solo l’infinito, che sfugge ad ogni proporzione e ci è ignoto.

Diventare coscienti del proprio limite è la più alta conoscenza raggiungibile. Per questo possiamo definire tale ignoranza “dotta“.

Come cardinale  ebbe a Roma il titolo della basilica di San Pietro in Vincoli, che conservò fino al 1464, anno della sua morte. E’ sepolto in questa chiesa, in una tomba marmorea realizzata dal noto scultore Andrea Bregno. Il cuore di Cusano fu portato a Kues, per sua volontà testamentaria.



autore sconosciuto, in primo piano il cardinale Niccolò Cusano nell’atto di pregare,  dipinto in affresco  del XV secolo nell’ospizio per i poveri nella natia  Kues.
Nel 1458 fece costruire nel luogo natio il “Cusanusstift” (ospedale di San Nicola), luogo di accoglienza di carità per 33 individui  (in memoria degli "anni di Cristo"):  6 nobili, 6 sacerdoti e 21 persone comuni.

In basso, sulla sinistra dell'affresco, il suo stemma araldico: raffigura il simbolo astrologico del cancro.




 
Tomba di Niccolò Cusano.

La biografia dice che  morì a Todi (prov. di Perugia) l’11 agosto 1464, ma nella  soprastante epigrafe c’è scritto 1465. Forse questa data vuol significare che fu deposto in questa tomba in tale anno.


Lastra tombale realizzata  da Andrea Bregno nel 1465.

La decorazione scultorea:  sulla sinistra  raffigura il defunto in ginocchio e in abito cardinalizio (notare il galero in terra davanti a lui)  mentre prega rivolto a San Pietro in trono che regge il libro del Vangelo nella mano destra; sulla copertina del libro è raffigurata la chiave, simbolo dell'apostolo; egli è  incatenato al polso del braccio sinistro;  sulla destra la scultura che raffigura l'angelo liberatore.
 
La liberazione di Pietro è un evento descritto negli Atti degli Apostoli (12, 1 – 11): il re Erode Agrippa dopo aver fatto uccidere Giacomo il Maggiore, fece arrestare anche l’apostolo Pietro; questo, venne catturato a Gerusalemme nei giorni della Pasqua ebraica. In attesa del processo dopo le festività, fu incatenato e recluso nel carcere.  Nella notte precedente l’udienza, nella cella apparve un angelo mandato da  Dio; gli sciolse le catene e lo liberò.
 
Al di sotto della lapide c'è lo stemma del Cardinale Nicola Cusano: raffigura il simbolo astrologico del Cancro.







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