Autore Topic: Paggi  (Letto 860 volte)

Doxa

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Paggi
« il: Novembre 17, 2021, 15:39:19 »
In questo threed argomenterò sui paggi di corte, ma "cominciando da lontano"... o per dirla con parole ecclesiastiche,  con  la praefatio  o l'introitus, per orientare gli eventuali lettori con alcune necessarie notizie o informazioni.   

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Federigo Pastoris

Il conte di Casalrosso Federigo Pastoris (1837 – 1884) oltreché nobile fu anche un pittore ed incisore.

Nel 1865 dipinse questo quadro


 
Federigo Pastoris, “I Signori di Challant” (sec.XV), 1865, olio su tela, Torino, Civita Galleria d'Arte Moderna. Lo sfondo della scena è la Cappella del Castello di Issogne (Val d'Aosta).

Gli Challant, fedeli ai Savoia, furono un ramo dei visconti d’Aosta.

Tra i membri di questa casata  tre personaggi ebbero particolare fama:
 
Ibleto, governatore del Piemonte dal 1379 al 1404, che in Val d'Aosta fece costruire nel 1380 il castello di Verrès;

Bonifacio, maresciallo della Savoia dal 1384 al 1418 e governatore del Piemonte nel 1410;

Giorgio, priore di S. Orso ad Aosta, nel 1480 fece edificare il castello di Issogne.

Il dipinto “ I Signori di Challant”, ispirò lo scrittore e drammaturgo  piemontese Giuseppe Giacosa, amico di Federigo Pastoris. 

Giacosa scrisse il dramma in 5 atti titolato  “La signora di Challant”, che venne rappresentato per la prima volta al Teatro Carignano di Torino il 14 ottobre 1891, dalla compagnia teatrale di Eleonora Duse.

L'azione si svolge nel 1527, parte a Pavia, parte a Milano.

Da Wikipedia:

Atto I
Si sta svolgendo una festa presso il convento di San Giacomo a Pavia. Il conte di Gaiazzo alcuni mesi prima ha salvato una misteriosa donna mascherata da un gruppo di soldati svizzeri che la molestava. La donna gli ha inviato un medaglione in oro per riconoscenza, e ora Gaiazzo è alla festa in cerca dell'orafo che l'ha realizzato, per cercare di scoprire chi è la donna.
Un gruppo di nobildonne milanesi, a Pavia per la festa, intuisce dal racconto di Gaiazzo che la donna è la Bianca, contessa di Challant l'amante del geloso Ardizzino Valperga. A Pavia si trova anche il frate domenicano Matteo Bandello, incaricato dal conte Renato, secondo marito di Bianca, rimasta vedova giovanissima, di cercare di riaccomodare il rapporto con la moglie.
Quando tutti, anche Bianca e Ardizzino, si ritrovano in una vicina osteria, anche Gaiazzo capisce che Bianca è la donna di cui è in cerca. Bandello fa a Bianca la proposta di riconciliazione da parte del marito, ma lei rifiuta. Giunge anche Don Pedro di Cardona, un ufficiale spagnolo che desidera vedere Bianca, attratto dalla sua bellezza. Ardizzino aveva offerto ospitalità a Gaiazzo, ma avendo intuito che quest'ultimo corteggia Bianca ritira l'invito, mandandogli una lettera ingiuriosa. Bianca, stanca del rapporto con Ardizzino, accetta di farsi accompagnare a Pavia da Gaiazzo.

Atto secondo

Gaiazzo e Bianca trascorrono la notte insieme, poi Gaiazzo deve partire per Milano, dove comanda una compagnia di soldati. Bianca è colta dal rimorso di essersi concessa a Gaiazzo, al quale aveva persino fatto promettere di uccidere Ardizzino. Ora desidera invece la morte di Gaiazzo, e cerca di ottenerla dallo stesso Ardizzino, facendogli credere che Gaiazzo l'ha presa con la forza. Ardizzino le giura che ucciderà il rivale, e parte alla sua ricerca.

Atto terzo

A Milano, nel giardino di donna Ippolita Sforza Bentivoglia, si sta approntando un teatrino per una rappresentazione privata, scritta dal Bandello. Tra i presenti c’è anche Gaiazzo, che apprende che tra gli ospiti vi saranno anche Bianca e Ardizzino.
Conoscendo la perfidia di Bianca, Gaiazzo è certo che Ardizzino cercherà di ucciderlo a tradimento. Consigliato dall'amico Luchino Crivelli, Capitano Generale di Giustizia, Gaiazzo prende in disparte Ardizzino appena questo giunge, riesce a convincerlo di non avere abusato di Bianca e trova un'intesa con lui contro quest'ultima, dopo avergli raccontato che a sua volta era stato indotto da lei a promettere la morte dello stesso Ardizzino.
All'arrivo di Bianca, Gaiazzo e Ardizzino si fanno trovare in chiaro atteggiamento di amicizia. Don Pedro, anch'egli invitato, ha sentito i due sparlare di Bianca ed è fremente, ma Ippolita riesce a calmarlo e si dà inizio allo spettacolo.

Atto quarto

Dopo la festa, Bianca è rientrata nella sua abitazione milanese. Di notte, si sentono grida per la strada. Poco dopo irrompe nella casa don Pedro, sporco di sangue. Egli, innamorato di Bianca, ha ucciso Ardizzino e vorrebbe fare altrettanto con Gaiazzo. Bianca cerca di nasconderlo ma quasi subito si presenta lo sbirro Crivelli, che trova ed arresta don Pedro e la stessa Bianca, sospettata di complicità.

Atto quinto

Sacrestia nella cappella del castello di Milano, dove tra gli affreschi ci sono anche quelli ordinati da Bianca quando era sposata col primo marito, e realizzati dal celebre  pittore lombardo Bernardino Luini. Anche Bianca vi appare ritratta, come donna in preghiera.

Bianca e Pedro sono stati condannati a morte. Bianca si trova sola col Bandello per le ultime preghiere. Il Bandello le propone la fuga, offrendole di allontanarsi travestita da frate domenicano, ma Bianca rifiuta, preferendo morire insieme a don Pedro, il cui gesto d'amore l'ha affascinata.

Bianca viene condotta al luogo dove si eseguirà la sentenza, ma poco prima apprende che don Pedro è riuscito a fuggire, aiutato da un fratello ufficiale che presta servizio al castello. Bianca deve così apprestarsi ad affrontare il carnefice in solitudine.

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« Ultima modifica: Novembre 17, 2021, 16:10:39 da Doxa »

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Re:Paggi
« Risposta #1 il: Novembre 17, 2021, 16:05:52 »
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Agli Challant lo scrittore Giuseppe Giacosa dedico anche un’altra opera teatrale, titolata  “Una partita a scacchi”. Questo testo lo scrittore lo dedicò all’amico pittore Federigo Pastoris.

Nella dedica Giacosa fa un parallelo fra il quadro del Pastoris (vedi  foto nel precedente post) titolato “I Signori di Challant” e i personaggi della commedia “Una partita a scacchi”,  scritta nel 1871 e rappresentata per la prima volta all’Accademia Filarmonica di Napoli il 30 aprile 1873. 

Nel 1875 Giacosa all'amico  pittore scrisse: "Nessuno meglio di te, e pochi al pari di te, intendono ed amano la poesia grave delle cose passate. Il tuo quadro: I Signori di Challant fa riscontro alla mia 'Partita a scacchi', così che io mi compiaccio di chiamare Renato il tuo canuto castellano e Iolanda la sua bella e pietosa figliuola…".

Personaggio principale Renato di Chantall, Signore del castello di Verrès, in Val d’Aosta.


Castello di Verrès. Fu uno dei primi esempi di castello monoblocco (costituito da un unico edificio) a differenza dei manieri più antichi formati da una serie di corpi di fabbrica racchiusi da una cinta muraria.

L’immaginario avvenimento descritto da Giacosa si svolge nel castello Verrès nel XIV secolo.

Il vecchio Renato e la figlia Iolanda sono soli. Renato ha un cruccio: la figlia non è ancora sposata ed egli desidererebbe che si trovasse un marito e gli donasse dei nipoti, ma Iolanda non ha finora accettato nessuna delle proposte ricevute.

Giunge al castello,  in visita di cortesia a Renato,  il vecchio amico Oliviero, conte di Fombrone.

Oliviero è accompagnato dal paggio Fernando, un orfano giovane e coraggioso che nel viaggio verso il castello ha saputo salvare Oliviero e il suo piccolo seguito da una banda di pericolosi masnadieri.

Renato ammira il coraggio di Fernando, ma ne biasima l'eccessiva presunzione. Decide di metterlo alla prova invitandolo ad una partita a scacchi con Iolanda, gioco in cui la giovane eccelle. 
 
"Se tu vinci, io ti do per consorte la mia figlia Iolanda" … "E se perdo ?" domanda il paggio,   …"La morte!" gli risponde il conte Renato. 

Fernando,  affascinato da Iolanda (ignara della scommessa)  accetta la sfida....


Iolanda: Che hai, paggio Fernando? Non giuochi e non favelli.

Fernando: Ti guardavo negli occhi, che sono tanto belli....


Il paggio sembra che stia per perdere la partita, allora il conte Renato, spaventato dalla possibile conseguenza, cerca di dissuaderlo dal continuare la partita, ma Fernando rifiuta.

Anche Iolanda era  affascinata dalla bellezza e dal coraggio del giovane.  Durante la partita i due si scambiano reciproci complimenti; alla fine la contessina effettua una mossa per favorire il giovane dandosi scacco matto.

Poi i due giovani si sposano.

Questa opera teatrale ispirò  il noto pittore Gerolamo Induno che realizzò il quadro titolato “La partita a scacchi”


Girolamo Induno, La partita a scacchi", 1881,  olio su tela, Galleria d'Arte Moderna, Milano.

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« Ultima modifica: Novembre 17, 2021, 17:10:17 da Doxa »

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Re:Paggi
« Risposta #2 il: Novembre 17, 2021, 18:18:31 »
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Nella società  feudale il paggio era un giovane di nobile famiglia che serviva alla corte di un re, di un principe, di un signore. Era un ruolo molto ambìto.  Il fortunato che veniva scelto iniziava il suo decennale servizio come paggio verso i 7 anni di età. Quando aveva circa 18 anni cominciava la carriera militare come scudiero e poi cavaliere.


Ottorino Davoli (1888 – 1945), “Il paggio”, 1905 (il pittore aveva 17 anni).

Col declinare della feudalità e col nascere  della complessa vita di corte le mansioni di paggio perdettero le primitive caratteristiche.

Alla corte di Carlo Alberto di Savoia-Carignano (1798 – 1849), re di Sardegna dal 27 aprile 1831 al 23 marzo 1849, i paggi avevano divise di colore rosso e i bottoni dorati. A Torino in modo scherzoso venivano definiti “gamberi rossi”, perché nell’uscire dalla sala del sovrano  dovevano camminare all’indietro, per non volgergli le spalle.

Nel palazzo reale occupavano una sala vicina a quella del trono, per poter subito accorrere quando il monarca chiamava.

Andrea Merlotti, curatore del libro a più mani  titolato: “Paggi e paggerie nelle corti italiane. Educare all’arte del comando” evidenzia che i   paggi erano da secoli un elemento comune a tutte le corti d’Europa. I sovrani li sceglievano fra le famiglie dell’aristocrazia più antica e importante. Li facevano studiare a corte, ricevendo in cambio la gratitudine (e l’obbedienza) della famiglia. 

Riuscire a far entrare un figlio o un nipote fra i paggi di corte era parte di quella continua contrattazione fra sovrani e aristocrazia. Le famiglie nobili sapevano che nei casi più comuni l’esser paggio avrebbe consentito ai loro rampolli d’iniziare una carriera che sarebbe durata tutta la vita. Se si fossero dimostrati all’altezza, da paggi sarebbero giunti ai più importanti incarichi a corte e ai più alti gradi nell’esercito. In altri casi, più rari ma non impossibili, avrebbero potuto stabilire un rapporto d’amicizia con il monarca.

Alcuni riuscivano a diventare primo paggio del re o della regina. Tale carica durava fino ai 21 anni di età, dopo si entrava a far parte dell’esercito.

Per accogliere i giovani tutte le dinastie avevano creato paggerie: edifici  dove veniva educati i paggi per il loro particolare servizio nel palazzo reale o signorile.
 
Essi non si limitavano a servire il sovrano, ma trascorrevano gran parte della giornata seguendo lezioni di storia, geografia, matematica, balletto, scherma, equitazione.

Matematica e disegno erano necessarie a chi in futuro avrebbe dovuto occuparsi di fortificazioni, sia che dovesse progettarle, difenderle o conquistarle.

Imparare ad essere un bravo spadaccino significava poter combattere meglio e avere più probabilità di sopravvivere.

Le lezioni di danza erano necessarie per figurare bene a corte ed avere quell’eleganza fisica che non doveva mancare ad un aristocratico.

La grandezza e la bellezza architettonica degli edifici adibiti a paggeria a Torino, Firenze e Napoli mostrano quanto fosse importante il loro ruolo nella società delle corti europee. Perciò non stupisce che entrarvi fosse un privilegio ambito.

Nella sua autobiografia lo scrittore Vittorio Alfieri, nobile ma non abbastanza per entrare a far parte dei paggi dei Savoia, narra l’invidia verso i suoi coetanei più fortunati di lui, che potevano partecipare al servizio di corte, alle cacce e alle cavalcate.

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Re:Paggi
« Risposta #3 il: Novembre 17, 2021, 18:31:12 »
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Nel XIX secolo con il venir meno dell’Antico regime, anche i paggi uscirono di scena. I Savoia li abolirono con la riforma della corte voluta da Carlo Alberto nel 1849. In altre corti erano già stati aboliti da tempo, in altre accadde  alla fine della prima guerra mondiale.

Ma i paggi non sono ancora scomparsi.  Alla corte dei Windsor ci sono ancora 4 paggi (pages of honour). La regina Elisabetta si serve di loro in alcune cerimonie di particolare importanza, perché reggano lo strascico del suo manto. Ben poco rispetto alle funzioni di un tempo. Ma si sbaglia chi pensa che la carica sia ormai meno ambita.

Nell’elenco di chi è stato paggio negli ultimi decenni ci sono altisonanti nomi della nobiltà britannica.

Attualmente il “first page of honour” è il quattordicenne lord Culloden, discendente del re Giorgio V.

Il fratello di lady Diana, lord Charles Spencer, fu “fourth page” negli anni 1977 – 1979.

Dei paggi ne parlano diversi letterati e sono presenti in romanzi, poesie, opere liriche.

Un celebre paggio è il “Cherubino” descritto dallo scrittore francese Pierre-Augustin Caron de  Beaumarchais (1732 – 1799).

Sia il Cherubino sia Figaro erano componenti della piccola corte del conte d’Almaviva: Figaro valletto di camera e Cherubino primo paggio. Quando il conte decide di liberarsi del paggio, insospettito dal rapporto fra questo e sua moglie, lo avvia a fare l’ufficiale dell’esercito nel suo reggimento.

Sui due personaggi Mozart e Da Ponte seppero elaborare “Le nozze di Figaro”.

E che il conte d’Almaviva avesse visto giusto nella tresca tra  sua moglie e Cherubino, lo scrittore Beaumarchais lo raccontò ne “La mère coupable”: la contessa ebbe un figlio dal paggio, il quale si era poi fatto uccidere in battaglia, per l’infelicità del suo amore impossibile.

La scelta mozartiana di affidare il ruolo di Cherubino ad una voce femminile, fu ripresa nell’Ottocento da altri musicisti, che misero in scena dei paggi, figure in formazione come cortigiani.

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Re:Paggi
« Risposta #4 il: Novembre 18, 2021, 18:54:54 »
Nel  secondo post di questo topic ho citato il drammaturgo Giuseppe Giacosa, che fu anche il librettista delle opere liriche “Tosca” e “Bohéme” del compositore musicale Giacomo Puccini.

Da aggiungere che la vita del Giacosa s’intrecciò con quella dello scrittore russo Lev Nikolaevič Tolstoj e con quella di Luigi Albertini, azionista e direttore del quotidiano “Corriere della Sera” dal 1900 al 1921, poi costretto dal fascismo a lasciare l’incarico.

Nel 1900  Albertini si sposò con Piera, la secondogenita delle tre figlie di Giacosa (due sorelle Giacosa sposarono due fratelli Albertini).

La coppia Piera Giacosa e Luigi Albertini ebbero due figli: Leonardo ed Elena.

Nel 1930 Leonardo sposò Tat’jana (=Tania) Michailovna Suchotina (1905 – 1996) nipote dello scrittore russo e figlia di Tat’jana Lvovna  Suchotin Tolstaj (1864 – 1950), la secondogenita dello scrittore russo e di Sof’ja Bers.

Andrea Albertini, un discendente, alcuni mesi fa ha pubblicato un suo libro titolato “Una famiglia straordinaria”, nel quale narra le esistenze separate e incrociate degli avi, fra invenzione narrativa e memorialistica privata.  Un testo interessante da leggere.