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Biografia Vincenzo Cardarelli
Vincenzo Cardarelli
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Nato a Tarquinia (Viterbo) nel 1887 (morto a Roma nel 1959; il suo vero nome era Nazareno), Vincenzo Cardarelli si trasferì giovanissimo a Roma esercitando all'inizio i più umili mestieri. Collaborò a «La Voce», «Marzocco», «Lirica»; fu tra i fondatori de «La Ronda» di cui si assunse poi la direzione. Dopo la seconda guerra mondiale fu direttore de «La Fiera letteraria». Il suo esordio poetico risale al 1916 con il libro Prologhi, cui seguirono poesie e prose di intonazione lirica: Viaggi nel tempo (1920), Favole e memorie (1925), Il sole a picco (1929), Parole all'orecchio (1929), Poesie (1936), Il cielo sulla città (1939), Lettere non spedite (1946), Poesie nuove (1947), Solitario in Arcadia (1947). La sua opera è legata al tema ossessivamente ricorrente, dello scorrere del tempo, delle stagioni, della memoria dolorosa. Adotta forme metriche libere, di ascendenza leopardiana, che tendono a decantare il peso delle tensioni sentimentali e il cerebralismo della ragione nella trasparenza musicale del verso. Il suo classicismo è intenzionalmente votato a una condizione di impassibilità antiromantica. Raccoglie con originale misura le istanze novecentesche dei 'lirici nuovi' e i risultati meno compiaciuti della prosa d'arte. Si legga una lirica come "Autunno": «Autunno. Già lo sentiamo venire | nel vento d'agosto, | nelle piogge di settembre | torrenziali e piangenti, | e un brivido percorse la terra | che ora, nuda e triste, | acco glie un sole smarrito. | Ora passa e declina, | in quest'au tunno che incede | con lentezza indicibile, | il miglior tempo della nostra vita | e lungamente ci dice addio». Una lirica in cui domina la mestizia, sottolineata dall'uso accorto delle pause segnate dall'interpunzione ma anche dal re spiro proprio alla lettura ("e lungamente | ci dice addio..."). Una mestizia elegante di cui può essere sinonimo quell'endecasil labo, "il miglio tempo della nostra vita", tra i suoi versi più tipici. In Cardarelli è la polemica contro le forme poetiche contemporanee e soprattutto Pascoli. contro il compiacimento e l'urgenza autobiografica. Suo obiettivo è elevare dato autobiografico e paesaggistico dal piano contingente a quello di assorta meditazione: la vicenda delle stagioni, il fascino della bellezza adolescente, sono da lui innalzati a paradigmi del destino dell'uomo. Da qui il tono meditativo, di lezione leopardiana. Contrariamente al concettoso raggrumarsi della poesia ermetica, la sua poesia si svolge con esattezza e rigore, in moduli di chiarezza meditativa e riflessiva, sostenuto dall'ambizione di un tono alto, da una ricerca di compostezza formale. Le sue liriche ( Prologhi , 1916, poi passati nella edizione definitiva delle Poesie , 1942) disegnano il profilo di un uomo inquieto, che nel dialogo con la memoria acquista una più dolente coscienza del vivere. Esempio mirabile di prosa d'arte le sue cose migliori in prosa: Favole e memorie (1925), Il sole a picco (1929), Il cielo sulle città (1939). La prosa di Cardarelli non ha il movimento, la trama relazionale, di un Cecchi che in parte si avvicina alla scrit tura dei saggisti inglesi. Lo vediamo ne "Il cielo sulle città". Le "città" cardarelliane hanno la scansione della confessione, l'atto del diario, della nota di viaggio, ma finiscono per essere assorbite nel "cielo" della pura forma. Luoghi miracolosi non consumati dal volgere dei fatti e della cronaca, l'accaduto si cifra in una definitiva assolutezza stilistica. Di queste città alla fine rimane una indicibile tristezza di cifre celesti, remote, senza attributi. Roma è una luce immutabile al di sopra delle stagioni, Venezia è un fluido esilio dalla terra, la Lombardia è un vasto giro infinito, Urbino è il ritmo di una architettura, di armonia, di una forma che non dimora sulla terra. Una misura cir colare di spazio e tempo, di musicali proporzioni che risponde al bisogno della poesia di Cardarelli di un tempo poetico in sé con cluso, di un suo nascere e morire nel cielo della definizione, di una immagine che ha annullato il rapporto sensibile, di una sostanziale solitudine. Tratto da Antenati

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