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Arrigo Boito, poeta dalla poca fede e dagli immensi ideali

Pubblicato il 12-06-2008


Novant’anni addietro moriva a Milano per infarto (il 10 giugno 1918) Arrigo Boito, poeta-musicista, librettista e critico (agì per la rinascita della musica in Italia), oltre che esponente di spicco della Scapigliatura e «artista europeo». Nato a Padova il 24 febbraio 1842 da un artista e una nobildonna polacca, studiò al Conservatorio di Milano e si formò all’estero, fermandosi a Parigi ove conobbe i più grandi esponenti della musica contemporanea. Nel 1866 si arruolò come garibaldino, seguendo Garibaldi nella sua azione rivoluzionaria per «due mesi guerreschi». Il fratello più grande Camillo (1835-1914), architetto innovativo e ironico critico d’arte, fu anch’egli un eccellente narratore (scrisse il racconto “Senso”, dal quale Luchino Visconti trasse l’omonimo film nel 1954), e fu proprio Camillo a introdurlo nella Scapigliatura lombarda.
Incantato dalle armonie di Beethoven e di Wagner, attaccò senza pietà la musica e i musicisti italiani, alienandosi le simpatie di Giuseppe Verdi. Usando lo pseudonimo di Tobia Gorrio, ottenuto anagrammando il suo vero nome da patito dei giochi di parole e da sperimentalista ante-litteram, scrisse libretti d’opera per Ponchielli (“La Gioconda”) e Verdi (“Otello” e “Falstaff”) col quale si era riconciliato nel 1873. Scrisse libretto e musica per il suo melodramma “Mefistofele”, ricco d’innovazioni musicali; rappresentata nel 1868 alla “Scala”, l’opera non ebbe successo e provocò in teatro veri e propri tumulti (sia per l’ostilità provocata dalle continue polemiche giornalistiche sia perché accusata di «Wagnerismo»), che spinsero la polizia a interrompere le rappresentazioni. Ripresentata al teatro Comunale di Bologna nel 1875 in versione molto rielaborata (con la parte di Faust scritta per tenore invece che per baritono), ebbe un successo travolgente ed é ancora molto rappresentata in Italia e all’estero. Scrisse anche “Nerone”, grandiosa opera rimase incompiuta e completata da Vincenzo Tommasini, rappresentata postuma nel 1924 con la partitura di Arturo Toscanini.
Boito é stato anche un poeta tardo-romantico dal gusto spiccato per un satanismo macabro, venato di cupa ironia. Oscillò tra fede e dubbio, tra cruda realtà e nobili aspirazioni dell’uomo nell’eterna lotta tra Bene e Male, e così scrisse: «Ho perduto i miei sogni ad uno ad uno/com’oboli di cieco.../Dio ci diede/stretto orizzonte e sconfinate ali/ci diè povera fede/ed immensi ideali.».
Ebbe un lungo rapporto amoroso con la grande attrice Eleonora Duse, molto più giovane di lui, e il loro appassionato epistolario è stato pubblicato nel 1979 nella collana del Saggiatore dalla Mondadori. Conobbe Eleonora nel 1884 durante una cena in onore dell’attrice (presente anche Verga, per il quale poco prima la Duse aveva interpretato “Cavalleria Rusticana”) e la loro relazione durò per molti anni ma senza alcuna convivenza perché lei recitava in giro per il mondo mentre lui lavorava nel suo studio di Milano. Arrigo le scriveva: «Come ti vidi mi innamorai. E tu sorridi perché lo sai»; lei gli rispondeva: «Io voglio vedervi, presto, presto... Un giorno, una notte, non più, tu verrai...», considerandolo la sua guida spirituale e «il filo rosso della mia esistenza».
Nel 1893 la Cambridge University conferì a Boito la Laurea “honoris causa”, insieme a Chaikovskij e Saint Saens. Nel 1912 fu fatto senatore del Regno.


Di Silvia Iannello


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