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Quasimodo, impegnato poeta civile e incantevole traduttore

Pubblicato il 17-06-2008


Quarant’anni addietro (il 14 giugno 1968) a causa di un ictus moriva ad Amalfi Salvatore Quasimodo, già colpito da un precedente infarto che ne aveva minato la salute. Poeta inimitabile, critico e traduttore stupendo, fu figlio di una terra ingrata ove imparò «la scienza del dolore»: era nato, infatti, a Modica il 20 agosto del 1901 (la nonna paterna era di origini greche). Dopo il diploma presso l’istituto tecnico di Messina (dove si era trasferito, «nomade» insieme al padre ferroviere, subito dopo il catastrofico terremoto del 1908), abbandonò la Sicilia per andare a Roma, sopportando anni durissimi e accettando, infine, un lavoro governativo come geometra nel Genio civile. Fu unito, però, da un forte cordone ombelicale alla terra d’origine che divenne mito di nostalgia e simbolo della perduta felicità; per tale lontananza, si sentì sempre come in esilio: «Di te amore m’attrista,/mia terra, se oscuri profumi/ perde la sera d’aranci...». Per 10 anni, egli - che era stato un bambino prodigio - fu abbrutito da un’arida attività lavorativa e da giorni che erano «una maceria», fu logorato dal «peso di una vita che sapeva di circo» e continuò a scrivere poesie soltanto a tempo perso. Amico di Giorgio la Pira, cognato di Elio Vittorini (che aveva sposato la sorella Rosina e che ebbe il merito di ospitarlo a Firenze, introducendolo tra gli intellettuali che ruotavano intorno alla rivista letteraria “Solaria”), oltre che discepolo di Ungaretti e Montale, ben presto si affermò come il leader incontrastato della poesia ermetica. “Acque e terre” (salutato con entusiasmo dai critici del tempo), “Oboe sommerso” (vero e proprio manifesto dell’Ermetismo) ed “Ed è subito sera” («Ognuno sta solo sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera.»), scritti tra il 1930 e il 1942, offrirono al pubblico versi caratterizzati da stile sofisticato e da difficile simbolismo (quasi astruso per i lettori più semplici). Nel 1941 gli fu offerta una cattedra di Letteratura per chiara fama presso il Conservatorio G. Verdi di Milano (divenuta sua città di adozione), ruolo che conservò sino alla morte.


Antifascista e perseguitato da campagne di stampa del regime, dopo lo scempio e gli orrori della guerra che aveva spento le voci dei poeti («anche le nostre cetre erano appese») e che aveva inaridito gli uomini («Vi riconosco, miei simili, o mostri/ della terra...»), la sua produzione assunse i connotati epici della poesia sociale e si scagliò contro le ingiustizie e le colpe dell’Italia, rendendo la sua lingua più concreta e comprensibile. Appartengono a questo periodo le raccolte poetiche “Giorno dopo giorno” (inizialmente pubblicata col titolo “Con il piede sopra il cuore” nel 1946, un anno dopo la sua iscrizione al Partito Comunista), “La terra impareggiabile” e “Dare avere” (vero e proprio testamento spirituale), composte tra il 1947 e il 1966. Quasimodo non era amato dall’“establishment” letterario e dai critici della Nomenklatura, e il conferimento del premio Nobel per la Letteratura nel 1959 suscitò aspre polemiche; un giornalista su un noto quotidiano osò scrivere: «A caval donato non si guarda in bocca».


Ma il Quasimodo traduttore è veramente straordinario, essendo le sue traduzioni (poco apprezzate nei chiusi ambienti accademici) opera alta di creazione letteraria originale. Come dimenticare le superbe versioni dei lirici e dei tragici greci! Come trascurare quelle stupende di Catullo, Ovidio e Virgilio! Come non rammentare le meravigliose traduzioni dei drammi di Shakespeare e come non ricordare che, senza Quasimodo, non avremmo conosciuto nella sua grandezza il poeta cileno Pablo Neruda!


Che dire poi del Quasimodo critico! Il saggio “Il poeta e il politico” - nato dall’idea di una funzione politica del poeta che, rivelando sentimenti nei quali gli altri si riconoscono, possiede un ruolo cruciale nel «rifare l’uomo» e nel ricostruire «la vita morale di un popolo» - fu letto alla consegna del premio Nobel e fu pubblicato nel 1960: esso è una vera pietra miliare della critica d’impegno civile! E Quasimodo, a metà degli anni cinquanta e ancor prima di Pasolini, seppe prevedere la solitudine e l’angoscia esistenziale cui sarebbe giunto l’uomo divorato dall’aberrante consumismo, dall’eccesso di tecnologia e dal neocapitalismo egoista. Nel 1960 l’Università di Messina, e nel 1967 quella di Oxford, gli conferirono la Laurea “honoris causa”. Le sue poesie, che hanno saputo esprimere «le tragiche esperienze della vita dei nostri giorni» (così sta scritto nella motivazione del Premio Nobel), sono state tradotte in quasi tutti le lingue del mondo! 


Di Silvia Iannello


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