Recensioni libri

Incontro con David Grossman

Pubblicato il 09-10-2008


“Non e' forse vero che tanta parte della nostra vita e' influenzata da persone che diremmo irrilevanti, a noi indifferenti, con le quali non andremmo mai a prendere un caffe'? Quando mi metto a scrivere capisco che nessuna di queste persone e' irrilevante, tutto diventa fondamentale perchè tutto mi aiuta a capire la vita. E’ solo scrivendo di tutti i particolari della vita che non mi sento straniero a me stesso, alla mia vita. Quando scrivo mi sento a casa”.



L'affermazione e' una delle grandi questioni lanciate da David Grossman durante il bellissimo incontro sul suo ultimo romanzo cui hanno partecipato 700 persone. Lunedì 6 ottobre il Centro Culturale di Milano ha organizzato con Mondadori, presso il Teatro Franco Parenti, la presentazione di "A un cerbiatto somiglia il mio amore", 800 pagine che raccolgono la storia e il pensiero degli ultimi quattro anni di David Grossman, gia' ospite del CMC nel 2003.

Per nulla togliere alla grandezza e profondita' delle parole del grande scrittore abbiamo pensato di riproporre derettamente alcuni brevi stralci che ci danno la grandezza e rivoluzionarieta' autentica di alcuni suoi giudizi ascoltati nel significativo dialogo condotto da Alessandro Piperno, anch'egli scrittore. Da oggi sul sito l'audio integrale dell'incontro.



Come sei riuscito a controllare la grande storia universale attraverso la cronaca dei piccoli fatti di tutti i giorni e come sei riuscito ad entrare cosi' empaticamente nel personaggio femminile della protagonista?

"Avevo deciso di scrivere un romanzo sulle cose primarie della vita come partorire o educare i figli... beh per un romanzo del genere il protagonista non poteva che essere una donna. C'e' una grande differenza tra i padri e le madri: mentre i padri -anche i piu' attenti e i piu' dediti- conservano sempre la loro distanza di fronte ai figli, li guardano come si guarda fuori quando si sta appoggiati al davanzale della finestra, le madri invece si immedesimano al tal punto con la vita del proprio figlio per proteggerlo, maternamente".



Oggi, che viviamo in un mondo nel quale le famiglie sembrano essersi disintegrate, la famiglia tradizionale non sembra piu' esser un valore auspicabile. Ma per gli scrittori mi sembra che le cose vadano in un senso abbastanza opposto.

"Ogni scrittore serio non puo' che rimanere affascinato dalla famiglia di forma tradizionale, tra l'altro fin dai tempi della Bibbia -si pensi alla Genesi o al Libro dei Re- la famiglia continua ad essere il luogo dei rapporti primigeni, gratuiti. Quando un padre guarda suo figlio attentamente si accorge che il suo sguardo getta luce nuova anche sul rapporto che lui stesso ha gia' con la moglie. La famiglia di cui parlo nel mio romanzo, che tra l'altro e' abbastanza disastrata, ha comunque questa forza di legami":



Sono colpito dalla freschezza che emerge da ogni sua pagina tanto che penso che ci sia qualcosa di intrinseco alla sua lingua, come spesso dice Aharon Appelfeld -che ha la fortuna di essere antichissima e nuovissima- infatti questa immediatezza resiste miracolosamente anche nella traduzione, evidentemente esiste un'anima nell'ebraico che e' precedente al suo significato linguistico.

"Sono molto d'accordo, infatti per rinnovare il mio patto con Israele ho deciso di fare un lungo lavoro, quello di ricominciare a dare un nome alle cose. Ricorrendo alle piu' sottili e complesse sfumature di cui e' dotata questa mia lingua madre, l'ebraico, ho voluto ridare un nome a tutto, dai paesaggi della Galilea alle specie degli alberi, dai profumi dei fiori alle sfumature del cielo nelle dievrse ore del giorno. Non pensate che sia un miracolo che Abramo potrebbe oggi capire almeno il 50% di quello che dice mia figlia di 16 anni?".



Un giovane del pubblico chiede se lo scopo della sua scrittura sia di contribuire al raggiungimento della pace.

"A mio modo di vedere la letteratura non ha altra missione se non quella di dover raccontare una storia ben raccontata. Quando uno scrittore si siede a scrivere una storia e' gia' pacifista. Infatti se per fare la guerra bisogna generalizzare l'altro, bisogna stereotiparlo, per scrivere una storia e' necessario analizzare l'altro, studiarlo attentamente, capirne i tratti distintivi, guardare a cio' che ha attorno, averne quindi maternalmente cura. Di solito nella vita ci proteggiamo abbastanza dall'interiorita' dell'altro, siamo poco socievoli, poco umani; ci difendiamo anche dal nostro caro, dalla nostra amata. Io penso che uno scrittore vero debba immedesimarsi nell'altro, debba sapere come ci si sente e cosa si prova ad avere quindici anni o ad essere vecchissimi, cosa si prova ad essere una donna con un corpo da donna, ad essere israeliano o ad essere palestinese. la principale motivazione per scrivere un libro e' cercare di toccare quel filo di luce che sta dentro l'altro".

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