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La tragica leggenda dell'istrionico Edgar Allan Poe

Pubblicato il 17-01-2009


Duecento anni addietro, il 19 gennaio del 1809, nasceva a Boston Edgar Allan Poe, l’inventore del racconto poliziesco e del giallo psicologico. Figlio di due artisti girovaghi, la sua vita è stata un romanzo volto alla costruzione di un’autodistruttiva immagine di “scrittore maledetto”. Il padre americano Daniel Poe aveva abbandonato i tre piccoli figli e la moglie inglese Elizabeth, che era poi morta di tisi quando Edgar aveva appena due anni. Accolto dal padrino John Allan (da ciò, il suo secondo cognome Allan), un ricco ma tirchio commerciante di Richmond senza figli, ebbe difficili rapporti con questo padre surrogato e non riuscì a superare il trauma psicologico della perdita dei genitori. Bambino prodigio dalla memoria portentosa e dalla passione per rime e tiritere, amante della poesia e della musica, manifestò ben presto un fragile carattere. Mandato in Inghilterra (1815-1820) per un’educazione di tipo inglese, fu influenzato dai suoi villaggi misteriosi, dalle sue antiche magioni, dalle sue torri con l’orologio e dai suoi paesaggi impareggiabili. Compose appassionate poesie per le molte donne delle quali si era innamorato ma fu Sarah Elmira Royster il suo vero grande amore; purtroppo il matrimonio venne impedito dal padre di lei che odiava a morte il genitore adottivo di Poe ed Elmira sposò un altro (per lei, Poe scrisse la poesia “Tamerlano”, pubblicata a sue spese nel 1827).
Nel 1826 Poe abbandonava definitivamente la casa degli Allan, iniziando una vita disordinata, piena di debiti di gioco e trasgressioni. Espulso dall’Accademia di West Point per indisciplina grave, nel 1834 andò ospite a Baltimora dalla zia Maria Clemm (che chiamava affettuosamente «Muddy») e s’innamorò della bellissima cugina Virginia appena tredicenne (per Edgar erano possibili soltanto gli amori rassicuranti per adolescenti); e tutti vivevano con la pensione della nonna, vedova di un generale. Nel 1836, dopo varie difficoltà (la ragazza era troppo giovane e cugina di I° grado) e dopo diverse minacce di suicidio, riuscì a sposare a Baltimora la sua moglie-bambina con un matrimonio privatissimo.
Ritornato a Richmond con Virginia e Muddy, tra il bere e le numerose bizzarrie Edgar andava costruendo con affanno la sua carriera di giornalista-scrittore, perseguitato da problemi esistenziali, ossessioni psicologiche e uso di stupefacenti. Lavorava al “Southern Literary Messenger” (ne fu l’editor, il correttore di bozze e lo stampatore) e col suo intervento la modesta rivista regionale divenne un prestigioso punto di riferimento letterario.
Poe amava il racconto per la sua concisione e riempì le sue storie di temi fantastici e bizzarri, di terrore e tormento, di follia e soprannaturale, di echi macabri e satanici; tra i moltissimi suoi racconti sono da ricordare: “La caduta della casa Usher”, “Berenice - un racconto”, “Ligeia”, “Morella”, “William Wilson”, “Il pozzo e il pendolo” e “Il cuore rivelatore”. In questi testi, si agitavano Fantasmi e Spettri che torturano e distruggono, Fatalità e Superstizione che provocano orrore, delitti perversi compiuti da malvagi «esseri perduti» ma soprattutto la Morte e la sua nera Ombra oltre alla Sopravvivenza dopo la dissoluzione. I suoi racconti - talora creduti eventi reali dai lettori e dalla stampa - mostrano l’autore in preda alle «dissennate idee del paese dei sogni», precorrendo psicanalisi e parapsicologia (aveva scritto: «Coloro che sognano ad occhi aperti, conoscono molte cose che sfuggono a quanti sognano solo dormendo. Nelle loro visioni annebbiate, essi colgono sprazzi di eternità e tremano, svegliandosi al pensiero di essersi trovati al limite di un grande segreto… Pur senza timone e bussola, essi penetrano nel vasto oceano del sublime ineffabile»).
Con il racconto “Gli omicidi della Rue Morgue” (1841) ha iniziato la moderna “detective story”: il suo criminologo Auguste Dupin ha suggerito a Doyle il famoso Sherlock Holmes. Nel 1838 pubblicò il romanzo la “Storia di Arthur Gordon Pym” (si riallacciava alla tradizione anglosassone del viaggio) che lo rese famoso, ispirando Melville e Verne. Nel 1845 diede alle stampe la raccolta lirica “Il corvo e altre poesie” che gli diede finalmente risonanza internazionale e che fu amato da Baudelaire e Mallarmé, che proposero Poe come maestro e modello.
Nonostante celebrità e successo, il resto della sua vita si svolse tra angosce e depressioni in una serie infinita di trasferimenti, licenziamenti e nuove collaborazioni giornalistiche. Nel 1847 morì l’amatissima moglie di tubercolosi e la vita dello scrittore, annientato dal dolore e dal rammarico, si disgregò completamente nell’abuso di alcol; ebbe altre donne ma non dimenticò mai l’Amata assente. Scrisse: «…questo fu il demone più grande che mai distrusse un uomo. ...io bevvi Dio solo sa quando e quanto… Solo per sottrarmi alla tortura dei miei ricordi ho messo in pericolo la mia vita e non per il desiderio del piacere.». Dopo essere stato trovato privo di sensi sulla banchina del porto di Baltimora in seguito a una forte bevuta a un party di compleanno, il 7 ottobre del 1849 moriva in ospedale in preda a delirium tremens, povero e abbandonato come l’ultimo dei diseredati.

Di Silvia Iannello



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