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Simone Weil, una mistica votata al sociale

Pubblicato il 10-02-2009


Cento anni addietro nasceva a Parigi (il 3 febbraio del 1909) Simone Weil, filosofa sociale e mistica cristiana, da molti considerata una eccentrica radicale votata al martirio, le cui idee - dopo la comparsa postuma dei suoi scritti negli anni ’50 (circa 20 libri) - hanno influenzato grandemente il pensiero sociale francese e anglosassone. Appartenente a una ricca famiglia ebraica non praticante, insieme al fratello André (divenuto un grande matematico) ricevette una educazione perfetta anche se alquanto severa. Intellettualmente precoce, si racconta che a cinque anni non mangiasse lo zucchero poiché mancava sulla mensa dei soldati francesi sul fronte occidentale durante la I Guerra Mondiale. Seguì studi di filosofia, filologia e scienze; interessata al sindacato e alla politica, si avvicinò alle correnti anarchiche e trotzkiste (fu definita «la Vergine rossa... una don Chisciotte... una Marziana»). Affascinata dal Marxismo, non ne accettò però la pervasione politica in grado di impoverire la spiritualità dell’uomo e di annientarne la personalità; era tra l’altro convinta che la propaganda avesse lo scopo di persuadere ma non di illuminare («La propaganda è sempre un tentativo di asservimento)».
Fu insegnante di filosofia presso alcuni licei femminili tra il 1931 e il 1938, incontrando spesso problemi con i rappresentanti istituzionali scolastici per il suo impegno civile a sinistra (scrisse: «Occorre essere disponibili a cambiare di parte per conseguire la giustizia, questa eterna fuggitiva dal campo dei vincitori»), per la sua lotta contro ogni logica di sopraffazione e per il suo attivismo sovversivo che la portava a condurre marce di protesta, picchettaggi e semidigiuni di protesta o solidarietà. Vicina ai proletari, tra il 1934 e il 1935 volle sperimentare le dure condizioni operaie, lavorando presso la Renault: raccontò questa dura esperienza in un diario e alcune lettere, raccolti postumi nel 1951 in “La condizione operaria” (scrisse: «Nella sofferenza della schiavitù ho lentamente preso consapevolezza del senso della mia dignità di essere umano»).
Di salute cagionevole, soffrì di una grave depressione in età adolescenziale e di tremendi mal di testa, che la portarono a dire che aveva assaporato «la morte da viva»; sopportò tutto con «temperanza e coraggio, virtù senza le quali la vita è soltanto un vergognoso delirio». Nel corso della sua vita, ebbe alcune estasi mistiche (forse favorite dalla malnutrizione) e considerò il suo strenuo impegno sociale come un «surrogato della Divinità». Le sofferenze (la «malheur», che ci coinvolge con forza bruta e che comprende guerre e oppressione, necessità e scelte) e le idee di morte, desiderata quasi come un bene, l’hanno accompagnata per tutta la vita (in una lettera scriveva: «Ho sempre ritenuto che l’istante della morte fosse lo scopo della vita... l’istante in cui per una frazione temporale infinitesimale la verità pura, nuda, certa ed eterna penetra nell’anima»). Non desiderava tuttavia cercar rimedi contro la sofferenza perché intendeva «farne un uso soprannaturale», attraverso la trasfigurazione nella Grazia. Sosteneva inoltre «Il mondo è una porta chiusa; è una barriera ma è nello stesso tempo un passaggio».
Da pacifista fu a fianco degli antifranchisti nel 1936 ma riportò dalla visione degli orrori della guerra una tale profonda delusione ideologica da ritenere che il Comunismo fosse un totalitarismo alla strega di Fascismo e Nazismo; si volse allora verso la Cristianità, convertendosi nel 1938 al Cattolicesimo (ma rifiutando il Battesimo). In fuga negli Stati Uniti da esule con la famiglia (per le insistenze dei genitori) nel 1942, dopo l’occupazione tedesca di Parigi, rientrò poi a Londra - nonostante la salute compromessa - per militare con la Resistenza e con “France Libre”. Colpita da tubercolosi, aggravata dai lunghi semidigiuni (pretendeva di alimentarsi con quelle che erano le dosi di cibo destinate in patria ai francesi oppressi), fu costretta a ricoverarsi nel sanatorio di Ashford, nel Kent, ove morì dopo qualche settimana il 24 agosto del 1943 (con la morte - con la sua «estinzione» - ritornava finalmente a Dio). Aveva appena 34 anni!

Di Silvia Iannello


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