Recensioni libri

Scrivere nella buona e nella cattiva sorte

Pubblicato il 08-04-2010


“ho continuato a scrivere nella buona e nella cattiva sorte.  A
volte è stato molto difficile ma non ho mai mollato”


Doris Lessing ha conquistato il Nobel per la Letteratura nel
2007
.  Nata il 22 ottobre 1919 a Kermanshah, in Iran,  allora
Persia,  il suo nome è stato tra la rosa dei finalisti per quasi
quarant’anni, l’ambito premio è arrivato  all’alba del suo
ottantottesimo  compleanno.  Meglio tardi che mai, meglio ricevere
riconoscimento da vivi che da morti!


Già negli anni sessanta era considerata  “una da Nobel”  per il
talento per la scrittura, l’intelligenza poliedrica, insofferente
all’ovvio,  le sue doti sono state poco comprese da alcuni critici.


Sintetica e precisa la motivazione del premio recita: 
cantrice dell’esperienza femminile con scetticismo, passione e
potere visionario, ha messo sotto esame una civiltà divisa
”.


 “Ho fatto scala reale”  il suo primo
commento a caldo.   Di premi ne aveva già vinti molti altri prima ma
questo riconoscimento è il più noto e ambito nel mondo letterario. 
E’
l’undicesima donna in 104 anni ad aver vinto il Nobel. 


una delle grandi narratrici visionarie del nostro
tempo
” l’ha definita  J.M.Coetzee,  un altro premio
Nobel.
                      

La Lessing  è considerata  una pioniera nella forma oltre che
nelle idee.  Già dal 1962 si cominciava a fare il suo nome per il Nobel,
quando uscì il suo libro   Il taccuino d’oro, diario
di una donna divisa in tanti ruoli: madre, moglie, amante, scrittrice.  Il
libro poi divenne un manifesto femminista ma l’autrice detestava essere
etichettata, limitata dentro definizioni e schemi.  


Doris Lessing scrive di quel che vive e le interessa in un certo momento
della vita,  molte lettrici e lettori la seguono  da
generazioni.  Come lei stessa dice:  “Ho incontrato
ragazze che mi dicono: mia madre o mia nonna mi hanno raccomandato di leggerla.
E’ meraviglioso
”. 


Ironica, sarcastica, secondo alcuni giornalisti che l’hanno intervistata sa
essere scostante e persino acida ma ricevere il più alto riconoscimento
letterario e le congratulazioni da ogni parte del mondo  l’ha addolcita e
pare sia sciolta in un fiume di sorrisi e baci ai suoi estimatori.
Tra le
tante chiamate nella sua casa di Londra, dove vive, la telefonata che dichiara
esser stata la più apprezzata è quella del suo “eroe” e collega di
Nobel,   Gabriel Garcìa Màrquez.


Capelli raccolti in una crocchia come quella delle nonne di un tempo, non
mostra velleità estetiche, abbigliamento semplice  sino a scivolare nel
trasandato, mostra l’autenticità di viso attraversato dallo scorrere degli anni
e non ritoccato da chirurgia estetica,  la vivacità degli occhi 
rispecchia quella della mente  e il suo sguardo penetrante è allenato 
dal tempo passato ad osservare.    Negli occhi porta la
visione  delle distese africane  che ha conosciuto prima di lasciare
Johannesburg con il suo primo manoscritto nella valigia.


A sei anni si era trasferita  in Africa con i  genitori che 
volevano tentare l’avventura coloniale.  Famiglia di piccola borghesia
inglese frequentò la scuola sino a quindici anni poi continuò poi a studiare
come autodidatta.  Nelle sue memorie descrive con intimità il paesaggio, i
suoni, gli odori e i colori della terra africana che l’ha nutrita e
formata.   Sino a trent’anni ha vissuto nello Zimbawe e all’Africa e
alle sue tante facce, sfumature e contrapposizioni dedicò  diverse opere
tra cui il romanzo del 1950 “L’erba canta”.  


Ha scritto oltre cinquanta libri tra romanzi, racconti e saggi venduti in
milioni di copie in tutto il mondo,  tradotti in trenta lingue.  Tra i
suoi migliori: Se gioventù sapesse, Il quinto figlio, Amare ancora.  
La sua produzione  è ininterrotta fino ad oggi e prolifica nonostante
l’età.  
Commuove   con il suo  Ben nel mondo del
2000, sorprende sino a scandalizzare  nei suoi racconti Le nonne del
2003.  Il suo ultimo libro pubblicato recentemente  in inglese è The
Cleft,(La fessura).


Alla fine degli anni settanta inizia a scrivere romanzi di fantascienza
ispirati al sufismo, la serie Canopus in Argo.
 Lei considera questi
romanzi tra i migliori della sua produzione ma questa scelta la squalifica agli
occhi di certa critica e il suo nome  scompare  dalla lista dei
possibili vincitori.  Tornerà a ricomparire  diversi anni dopo,
intorno al ’96, con la pubblicazione  di Amare, ancora.  Già a partire
dall’83 era tornata alla narrativa pubblicando alcuni dei suoi libri migliori
come Se gioventù sapesse, Il quinto figlio e il primo capitolo
dell’autobiografia Sotto la pelle.


La capacità di vedere il mondo da punti di vista diversi, da posizioni
differenti, anche contrapposti, insieme al suo talento per la scrittura, è uno
dei meriti che le vengono riconosciuti.


Una vita segnata da un rapporto difficile con una madre imperiosa con la
quale dice “ho litigato continuamente ma malvolentieri”.  Nella sua
narrativa le figure materne hanno un ruolo importante ma solo di recente la
Lessing è riuscita a scrivere della madre in maniera diretta.  “l’ho
capita, se questo può dirsi perdono”. 


Alfred and Emily, dal nome dei suoi genitori,  è il titolo del romanzo
consegnato da poco al suo agente, sarà forse l’ultimo.  “Di fatto dice, è
un libro contro la guerra,  senza che ne avessi l’intenzione.  Odio la
guerra, penso che molti ragazzi non abbiano idea di che cosa sia stata la
guerra. Anzi temo che i ragazzi ne siano affascinati” 


A 19 anni sposa Frank Wisdom da cui ha due figli e dal quale divorzia presto.
Al Left Book Club, un circolo di intellettuali,  conosce Gottfried Lessing,
il suo secondo marito da cui ha un altro figlio e del quale mantiene il cognome
anche dopo il divorzio.   Lascerà la Rhodesia per trasferirsi a
Londra.


Le sue esperienze personali la portano ad approfondire nei suoi romanzi i
temi della famiglia, le aspettative e le delusioni   che vivono le
donne  come in  Martha Quest, Un matrimonio perbene, L’abitudine di
amare, Il sogno più dolce.



Di Antonella Lucato


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