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Harold Pinter: le nevrosi e i tabù del mondo contemporaneo

Pubblicato il 15-10-2010


Il 10 ottobre di ottant'anni addietro (nel 1930) nasceva a Londra Harold Pinter, grande e innovativo ma anche controverso e provocatorio drammaturgo teatrale (ha scritto, però, anche in prosa e poesia, e ha sceneggiato e diretto testi per la radio, il cinema e la televisione). Un "fil rouge", attraversando il mondo, lega Harold Pinter all'americano Edward Albee - vincitore di tre premi Pulitzer e autore del tormentato e dissacrante “Chi ha paura di Virginia Woolf?” (1962) - e al francese Eugene Ionesco. Pinter fu attratto in modo particolare dall'irlandese Samuel Beckett, altro maestro dell'assurdo, di cui divenne amico.
Studiò alla Royal Academy of Dramatic Art e rappresentò il suo primo testo teatrale "The Room (La stanza)" nel 1957 con l'aiuto degli studenti dell'università di Bristol. All'inizio della carriera fu stroncato dai critici che consideravano i suoi lavori incomprensibili e insensati; in modo particolare fu massacrato "The Birthday Party (Il compleanno)" (1958) che fu un solenne fiasco. L'autore (oggi osannato), i cui testi sono divenuti ormai dei veri e propri classici della drammaturgia, aveva scritto: «Adesso sono diventato comprensibile e accettabile, eppure le mie commedie sono quelle di allora. Non ho cambiato una sola battuta!». Quella che è cambiata è la sensibilità del pubblico e della critica, che egli aveva saputo anticipare!
Lo spettacolo successivo "The Caretaker (Il guardiano)" (1960) - sceneggiato per il cinema dal regista Clive Donner nel 1963 - vide però un'inversione di interesse; seguirono: "The Homecoming (Il ritorno a casa)" (1964), "The Basement (Il seminterrato)" (1966), "Landscape (Paesaggio)" (1967) e Silence (Silenzio)" (1968), testi per i quali si parlò di «commedia della minaccia» (una situazione apparentemente tranquilla diviene ansiogena e inspiegabile sia per gli altri protagonisti sia per il pubblico) e s'inventò il termine di stile «pinteresco». Della logora istituzione matrimoniale, fu svelato ciò che si nasconde sotto la crosta della borghese normalità, sotto l'apparenza degli ipocriti rapporti sociali: cioè le tensioni interpersonali dirompenti, le umiliazioni insopportabili, la crudele ostilità, l'odio e la frustrazione, la rabbia e lo smarrimento, in ultima analisi l'estrema solitudine esistenziale.
Dagli anni settanta, Pinter (schierato a sinistra e contro la violazione dei diritti umani e l'oppressione comunque esercitata) si è rivolto soprattutto alla regia e alla produzione di brevi testi a impronta politica. In "Mountain Language (Il linguaggio della montagna)" (1988) si scagliò contro la mancanza di libertà dei curdi in Turchia e contro la soppressione della loro lingua. Di questo periodo sono da ricordare: "Betrayal (Tradimenti)" (1978), "Family Voices (Voci di famiglia)" (1982), "One for the Road (Il bicchiere della staffa)" (1984), "Party Time" (1991), "Moonlight (Chiaro di luna)" (1993), "Ashes to Ashes (Ceneri alle ceneri) (1996), e "Celebration (Anniversario)" (1999).
Contrario all'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, assunse posizioni critiche - quasi sferzanti - nei confronti di Bush e Blair, e dal 2005 (dopo il conferimento del Nobel con la motivazione: «nelle sue commedie ha scoperto il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni ed è entrato nelle chiuse stanze dell'oppressione») si è dedicato molto attivamente alla politica, trascurando la letteratura. Nel gennaio del 2007, a conferma di una grandezza ormai riconosciuta, gli è stata assegnata dalla Francia la Legion d'Onore. Morì a Londra il 24 dicembre del 2008, la notte della vigilia di Natale (una pregressa chemioterapia per un tumore esofageo compromise per anni la sua salute): aveva 78 anni.
Il teatro dell’assurdo dei primi lavori di Harold Pinter non è quel gioco senza senso che sembra ma una critica corrosiva delle banalità che uccidono l’individualità dell’uomo e un tentativo di svelare la spiritualità dell'uomo nascosta sotto i pregiudizi e il vieto perbenismo. E i suoi «eroi» - soli e incapaci a comunicare - non sono più quelli del teatro tradizionale ma "uomini vuoti" che ripetitivamente esprimono la loro lucida sofferenza. Non si può negare che tutti gli autori teatrali citati, sul solco del teatro dell'assurdo, hanno proposto il rapporto di coppia che si decompone, assumendo un ruolo coraggioso e determinante nello squarciare il velo dell’ipocrisia piccolo-borghese e nel portare in scena le nevrosi e i tabù del mondo contemporaneo, mostrando il malessere e le degenerazioni della società moderna ove falsi valori hanno sostituito quelli reali, creando confusione tra realtà e illusioni, e provocando l’irreversibile disfacimento del sogno occidentale e l’agonia di un’umanità alla deriva. Certamente, da loro è stato portato in superficie un insieme di forze dolorose e oscure.

Di Silvia Iannello


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