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Io, ingegner terrone

Quando si parla di razzismo e di xenofobia si pensa agli immigrati che vengono dall'Africa, dall'Asia, dall'Europa dell'Est, ma negli anni Novanta anche i lavoratori meridionali che giungevano nel Nord, con i "treni della speranza", erano guardati con diffidenza e spesso subivano offese e umiliazioni. Un razzismo strisciante, poi alimentato anche dalla Lega di Bossi. Vittima di questo clima avvelenato è stato un giovane ingegnere salernitano, emigrato in Lombardia in cerca di lavoro, che aveva la "sfortuna" di chiamarsi Francesco Terrone: un cognome che in Padania si traduce in terùn. L'ingegnere, traumatizzato da un episodio di razzismo, abbandona il Nord ma non si arrende, anzi da quella amara "lezione di vita" trae lo stimolo per rimboccarsi le maniche e per costruire, con altri ingegneri meridionali, una grande azienda di servizi, formazione e controlli sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, con sedi in tutta Italia. Il libro racconta le vicende di questa sfida imprenditoriale, collegandole con gli atavici problemi del sottosviluppo del Mezzogiorno (criminalità compresa). In questo strano "racconto" si aprono molte finestre, persino su Federico II di Svevia e sulla poesia.
 
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