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Recensione Paul Auster

Paul Auster

Intervista a PAUL AUSTER Dalla biennale del 96


(l.t.) Com' è stato lavorare con Wayne Wang in Smoke e Blue in the Face?
E' stata un'esperienza straordinaria, molto insolita. Quando ho scritto la sceneggiatura ho pensato che il mio lavoro fosse concluso... Poi è arrivato Wayne a New York. Era la prima volta che lavorava in questa città. Mi ha chiesto di assistere alle riprese e per me è stata un'esperienza molto costruttiva. Non sapevo davvero come nascono i film, dal punto di vista tecnico. Come sa, la realizzazione di un film è un processo molto complesso, che prevede moltissime fasi. E assieme, abbiamo fatto, dalla pre alla postproduzione.

Come si è sentito nel passare dai panni di sceneggiatore a quelli di regista?
Quei pochi giorni passati tutto da solo, alle prese con Blue in the face sono stati un'avventura. E' accaduto così, per caso. Non esisteva sceneggiatura ma conoscevo la troupe, quindi non è stato così spaventoso come potrebbe sembrare. In entrambi i film è stata un'esperienza molto gradevole lavorare con gli attori e discutere con loro. C'è un elemento in in comune tra attori e scrittori: entrambi ci immaginiamo nei panni di qualcun altro.

C'è qualcosa di autobiografico nel personaggio interpretato da William Hurt nel film Smoke?
No, eccetto che anch'io fumo il sigaro, che lui scrive e anch'io scrivo e che entrambi viviamo a Brooklyn...

Cosa significa per lei essere uno scrittore in una città come New York?
Non so se ci sia qualche differenza. fare lo scrittore vuol dire starsene seduto in una stanza, davanti a un tavolo con dei fogli di carta.

Pensa che New York abbia influenzato in qualche modo il suo lavoro?
E' una città interessante e ho scelto di vivere lì. E' senz'altro un posto stimolante, che mi tiene sempre col fiato sospeso. Comprendo benissimo i vantaggi della vita in campagna, in un posto tranquillo e remoto. Il fatto è che io vivo a New York, e intendo rimanerci. Una delle cose che più mi piace di New York è che mi distoglie dai miei pensieri, non dà spazio ad autocompiacimenti. Ogni volta che esci per strada ti scontri con mille realtà... Ma tutto questo mi accade inconsapevolmente...

Tornando a Blue in the Face, mi sembra un film più "corale" di Smoke.
La differenza è che per girare Smoke ci sono voluti 45 giorni e un budget di circa sei milioni di dollari, mentre Blue in the Face lo abbiamo girato in 6 giorni improvvisando al 90 per cento. Non potevamo andare da nessuna altra parte, non c'erano i soldi. Inizialmente avevamo pensato di girarlo interamente dentro o fuori il negozio. Ci sono praticamente solo due esterni... tutto il resto lo abbiamo girato con la videocamera. Le scene girate nei dintorni di Brooklyn non sono costate niente, fa quasi ridere. Ci sono voluti dieci mesi per il montaggio, comunque: avevamo tutti quegli spezzoni da riordinare in modo da ottenere una storia interessante e coinvolgente.

Com'è la realtà vista dal banco di una tabaccheria?
E' un microcosmo, come qualsiasi altro posto. Entrano molti clienti e questo ti consente di vedere moltissima gente diversa.


Smoke è una metafora della vita sociale?
Anche se si intitola Smoke e gran parte della vicenda si svolge in una tabaccheria, il film non ha nulla a che vedere con il fumo. Il titolo indica qualcosa di effimero. Le cose che accadono tra le persone queste sono la realtà. Una realtà in costante evoluzione, sempre in movimento, come il fumo. Il fumo non si può catturare, sebbene sia reale.
E' contento di essere parte della giuria? E' la prima volta?
Tre anni fa a Tokyo ho fatto parte di una giuria... Sì, sono contento di essere qui... mi sento a mio agio.

Lei sembra aver avuto tutto dalla vita. C'è qualcosa che desidererebbe avere?
Tutto ciò che desidero è continuare a fare il mio lavoro e godere di ottima salute.

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