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Recensione Enzo Barnabà Gran bella collezione di racconti per un autore. Barnabà, che è probabilmente vicino alla mezza età ma che qui, dopo pubblicazioni nel campo della francesistica e della "storia delle classi subalterne", è all'esordio con la narrativa. Barnabà ha lavorato in Africa e dell'Africa ora racconta, battendo una strada percorsa da pochissimi altri italiani (dal solo Mauro Curradi?). Barnabà è narratore garbato, di buon gusto, sapiente e misurato, e con un debole — ma si tratta di debolezza tenuta sotto controllo — per il paesaggismo lirico. La location è l'Africa nera subsahariana, con storie ambientate in Costa D'Avorio e in Mali in particolare. I suoi racconti hanno in parte protagonisti tutti africani, e in parte hanno protagonisti mixté (bianchi e neri), che sembrano appartenere a un'epoca che non è esattamente quella dei giorni nostri, ma che è piuttosto situabile nel periodo 1970-1990. Quel che Barnabà cerca prima di tutto di fare, con successo, è di raccontare buone storie. Ma in più — e qui sta il vero punto forte del libro — queste buone storie smuovono. Non sono mai né paternalistiche né rancorose, non sono mai politicamente corrette e nemmeno pretendono di indicare buoni e cattivi. Sembrano (probabilmente sono) storie terribilmente vere, perfette nel mettere in moto i meccanismi dello svelamento della verità, con i suoi effetti non certo pacificanti su chi legge. Coś, riescono a irritare il lettore italiano con le intollerabili (perché cieche, demenziali, arroganti) “africanità” dei protagonisti neri, e allo stesso tempo a far provar disgusto a quel medesimo lettore di fronte alla superbia, alla supponenza, alla grandeur e alla stupidità mascherata da intellettualità dei suoi connazionali o degli altri europei sparsi per i racconti. Insomma un libro bello e sincero, di gradevole lettura e fastidioso. Un libro che. francamente, pụ far compiere un primo passo verso la conoscenza per tanti italiani (e per tanti africani in Italia) che la strada della vicendevole comprensione — per non parla rare di quella dell'integrazione — non solo non l'hanno ancora intrapresa, ma nemmeno sanno da dove parta.
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