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Recensione Un gioiello di racconto “Il tramonto frattanto cambiava. Una tingitura di rosso tramò l’aria, stano zu’ Saru, gli mise in gola l’allarme: “U cielu è come focu! U cielu è come ‘a giubba dei mille!” Ha il sapore di una tragedia greca questo racconto di sole 52 pagine e, come tale, turba, addirittura riesce perfino a sconvolgere. Breve, quindi non lungo, ma estremamente concentrato, un susseguirsi di metafore che avvincono e inducono a meditare, righe su cui soffermarsi è d’obbligo, perché nulla è lasciato al caso, perché non c’è una parola di troppo, né una di meno. Eppure la prima impressione è di trovarsi di fronte una favola, bella, ma pur sempre favola, e invece in breve ci si accorge che questo racconto, sospeso, quasi galleggiante in quella realtà sfumata e impalpabile che è propria del sogno, discetta di tematiche corpose, materiali, che da sempre accompagnano la storia dell’umanità. La vicenda è caratterizzata da un perfetto amalgama di elementi reali e di visioni metafisiche, è una leggenda riscoperta e riadattata per parlare agli uomini di speranze e di desideri, di sconfitte non definitive, ma che lasciano aperta una porta per un mondo diverso, non fatto solo di classi dai confini invalicabili, di violenze per il possesso, ma soprattutto di amore, inteso non tanto nel suo aspetto materiale e più retrivo, bensì come aspirazione massima dello spirito, in un’unione più di anime che di corpi. C’è un richiamo forte, evidente, al senso della natura, alla comunione con essa, che, senza mai pervenire alla visione idilliaca di Teocrito, fonde, mirabilmente, il naturalismo con il misticismo proprio della trascendenza. In questo senso non è difficile pensare che esistano elementi comuni a quelli del grande narratore siciliano Giuseppe Bonaviri, in un mondo arcaico, sempre presente, riportato alla luce e in cui i grandi primordiali istinti si accompagnano a ideali e a speranze. Sono pagine dense di un’atmosfera inquieta, in cui si attende che qualche cosa di grande e di tragico possa accadere, una vita quasi immobile, ma sospesa, un’esistenza in cui ognuno recita a perfezione la sua parte. E come in una tragedia greca non può mancare il veggente, e infatti c’è quel “ u zu’ Saru che scorge gli eventi futuri nel moto del mare e nei cieli che sovrastano Porto Palo, una Cassandra inascoltata, se non addirittura derisa. Intorno a lui si muovono ombre anonime di tonnarioti e di nobili, ma anche figure emblematiche, come Turi, il frutto del peccato, e sua madre Laura, che sola ha avuto il coraggio di superare la barriera immobile della casta, scendendo fra i più umili, e proprio per questo condannata da questi e dai patrizi. La coda di pesce è un sogno, è una speranza di riscatto, è il desiderio di approdare a un mondo nuovo, senza più egoismi, senza più confini, di eguali, e non di dominatori e di sudditi. A suo modo è una rivoluzione e come tale sarà soffocata da un sistema, così diviso, ma per l’occasione unito, affinché tutto resti uguale. E’ naturale pensare alle parole del principe di Salina, a quella immutabilità che si conserva travestendosi secondo necessità, ma restando fermamente ancorati ai propri privilegi. E non è un caso se il racconto si svolge nel 1860, se “u zu” Saru ha la visione di camicie rosse, una vampata di rivoluzione che si spegnerà al primo soffio di libeccio, un’occasione perduta non solo per Tuttavia, pur in presenza di un finale che sembra una chiusura netta a qualsiasi cambiamento, Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri lasciano una speranza, un messaggio non certamente politico, ma ben oltre la soglia del quotidiano divenire. Non è niente che non si possa realizzare, ma che comunque è difficilmente concretizzabile, eppure l’amore che squarcia i cuori può anche cambiare il mondo. Scritto in modo pregevole, con descrizioni di paesaggi di livello poetico, con una rara capacità di ricreare un’atmosfera sospesa, La coda di pesce che inseguiva l’amore è uno di quei rari gioiellini che nobilitano la letteratura. Avvincente e coinvolgente dall’inizio alla fine è scritto per essere assaporato, ma soprattutto come fonte di meditazione, e questa giorno dopo giorno non mancherà, con l’opportunità di scoprire cose nuove, di rimodulare in sé concetti dell’esistenza che solo un capolavoro, come questo, può suscitare. Di Renzo.Montagnoli
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