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Chiedilo all'amore

“Chiedilo all’amore” è un libro di Giuseppe Bianco, edito da Albus edizioni, che inaugura insieme a “Filming Carmelo” la nuova collana “Narrando” della suddetta casa editrice. I racconti sono in tutto dieci per un totale di 132 pagine. Giuseppe Bianco ha già pubblicato, nel 2001, “Lungo la strada del tempo” con l’editore “Spartaco”; oltre a scrivere l’autore cura diversi siti e antologie e promuove, attraverso concorsi, autori esordienti.
La maggior parte dei protagonisti di questi racconti sono uomini di mezza età, molto spesso invischiati in relazioni extra-coniugali e insoddisfatti del loro passato. Tuttavia vi sono delle eccezioni: ad esempio “Flavia e l’altra” è una storia divisa in due diverse prospettive riguardanti le scelte di vita della protagonista, descritta ora come lavoratrice distrutta che assiste un marito handicappato, ora come escort lasciva che si gode le comodità della vita. “Storia d’amore e di grattate” è invece un resoconto d’un biglietto della lotteria, inchiodato alla parete d’un bar, che sa d’avere sotto lo strato superficiale del suo petto la combinazione vincente e cerca bene di studiare gli astanti per decidere a quale di loro spetterebbe di più la folata di speranze che il suo dono potrebbe portare, con una conclusione assai originale. Inoltre vi sono tre scritti con le caratteristiche un po’ del monologo un po’ della lettera, “Senza parlare”, “Stranamore” e “Un mondo di parole”.

Opinione:

Ogni recensione pone delle difficoltà per chi scrive e personalmente la difficoltà maggiore in questo caso è quella di trovare ancora una volta un criterio uniforme e obiettivo che possa penetrare tutti i campi che dobbiamo attraversare e che non resti una pura impressione del momento. Ecco allora che “Chiedilo all’amore” di Giuseppe Bianco ci si presenta come un puro caso di opera con una forte carenza formale e un’approssimazione dei termini che lo rende oltremodo superficiale per quanto riguarda il lavoro mentale impiegato per creare le situazioni che ci vengono presentare e lo sforzo consumato dal lettore per sentirsi parte di esse: ci si ritrova in delle situazioni talmente quotidiane, talmente convenzionali, con delle personalità così piatte e approssimative che raramente si sente nelle pagine il brivido di una scommessa gettata, la scommessa di un pensiero meditato e profondo espresso tramite una storia che in genere lo scrittore lancia come una rete speranzoso di raccogliere qualche interessato, qualche empatico o, perché no, qualche fanatico.
Sin dalla prima storia, dove ascoltando una canzone il protagonista, sposato con una donna severa che non gli dona ormai più passione né soddisfazioni d’animo, ricorda la sua focosa e fulminea relazione con l’amante, si evince una scarsità di spessore nel delineare i contorti delle figure entro le quali dovremmo calarci: un marito nullafacente al quale viene chiesto di pagare una bolletta, un ultimo atto sessuale in una macchina e l’amore ritrovato che viene abbandonato quasi subito per paura. Paura che ritornerà costante nelle trame ma molto immotivata, quasi fuori contesto, messa lì, sembra, con concertazione per concludere una vicenda e non per un reale sviluppo psicodinamico. <>. Tutto ciò che i personaggi pensano viene subito reso manifesto in parole, e quasi mai attraverso gesti, annotazioni o atmosfere più criptate; inoltre i discorsi diretti sono lunghi, spesso troppo lunghi per risultare realistici, soprattutto per dei personaggi così semplici e poco caratterizzati. La stessa struttura viene ripresa in “L’amore è una storia troppo grande”: fra un bicchiere e l’altro l’uomo ricorda la relazione con un’altra donna giunta al termine. Vi sono dei tentativi, in questi racconti che seguono lo schema dell’abbandono, di piazzare piccole mine d’ironia che dovrebbero rendere il lettore consapevole da una parte dell’amarezza e del tentativo dei protagonisti di affrontarla senza deteriorarsi di più, di sopravvivere ai colpi della vita, dall’altra, dal punto di vista narrativo, dovrebbero spezzare una tensione (difficile a dirsi, vista che la soglia minima di drammaticità non è neanche sfiorata) carica di dolore e rammarico. Tuttavia questi tentativi ogni volta risultano falliti semplicemente perché le battute sono così scontate e conosciute che dalle prime parole il lettore sa già perfettamente dove lo scrittore andrà a parare le prossime dieci righe. Ad esempio: il protagonista rivela alla sua donna la dolorosa realtà, c’è qualcun’altra nella sua vita. La donna non ribatte ma si allontana, lo fissa vitro. Il protagonista dopo qualche perifrasi arriva all’esito scherzoso della cosa: <<è … è … mia madre!>>. Quindi da una parte lo stile che viene usato, sia per quanto riguarda il tono estremamente basso, sia per la sintassi abbondantemente paratattica, il nodo lessicale che non tenta mai, neanche una volta, di inserire una sfumatura più difficile da cogliere, un arcaismo, un neologismo, una costruzione poetica, una coloritura particolare, una descrizione minuziosa di un ambiente in sintonia con lo stimmung della vicenda o con l’umore del soggetto trattato, un tecnicismo. Niente di tutto questo: più procederete nella lettura più vi accorgerete d’esservi battuti in una uniformità pressoché totale dal punto di vista formale della scrittura. Non incontrerete in questi racconti quel personaggio che supera le aspettative del livello medio, non troverete né un anticonformista né un polemico, solo semplici sagome appena abbozzate, piene del loro lavoro e della loro quotidianità. Di certo non è un reato non aspirare all’infinito né volere esprimere un intento polemico né lanciare una sfida innovativa, in delle novelle d’amore; ma è giusto avvisare per chi è interessato alle recensione che niente di tutto quel <> oltre al minimo indispensabile del diegetico e del mimetico ha luogo in questa raccolta.
L’estrema brevità dei periodi talvolta porta a supporre che alcune di queste frasi sarebbero perfette come sms, ma sms che nel caso di citazioni risulterebbero di sicuro poco originali, come: <>. Per quanto riguarda l’aspetto dei riferimenti meta letterari, in un luogo troviamo la parola “idee” con l’asterisco (pag. 55) con tanto di leggenda, <> al luogo di <>, insieme a una frase di Picasso subito segnalata in basso con un’altra nota. In alcune pagine del racconto “Carpe diem. Memorie di un pesciolino rosso” l’urlo prolungato della moglie del protagonista viene reso con moltissime lettere appiccicate una dopo l’altra, a mo’ di fumetto (<> ecc.) e in “L’inaspettata traiettoria di un pensiero erotico”, dopo una sequela di storie travolgenti impossibili con le varie amanti (tra l’altro viene spontaneo chiedersi se non sarebbe stato meglio per tutti questi protagonisti divorziare e iniziare una nuova vita o per tutte queste donne evitare le solite litanie del <>, visto e considerato che ai nostri tempi è così inattuale descrivere il matrimonio come un elemento permanente e sarebbe stato molto più realistico descrivere una, anche e soltanto una, storia d’amore che si consuma di sé, finisce per i problemi interni della coppia e non per il solito peregrinare da gatto in calore dell’uno o dell’altro partner) si ritrova da solo a masturbarsi ed esclama in conclusione: <>.
Vorremmo inoltre riportare le prime quattro righe del racconto più breve della raccolta, dal titolo “Stranamore”, uno di quei monologhi senza trama che riassumono forse meglio il pensiero dell’autore e la sua visione spontanea del sentimento:
<>
In un periodo di grave crisi dello sforzo letterario, che sposa sempre di più le esigenze di mercato, e di superficialità anche nelle storie d’amore degli adolescenti, (perché ci viene subito spontaneo pensare che questa complessità di pensieri al massimo possa addirsi ad un pubblico veramente giovane), che non hanno più sentore delle responsabilità dell’amore, del peso delle parole e dei loro significati, ove assistiamo ogni giorno a “Ti amo” sventolati nelle pubblicità dei detersivi e dei bucatini della prima marca di pasta che passa dinnanzi ai nostri occhi, una tale approssimazione e una carenza simile di contenuti nel campo delle piccole case editrici e di autori meno noti è un grave indice della nostra direzione futura. Una volta scrivere racconti era un modo per non scrivere romanzi, perché i romanzi erano troppo scontati e pieni di luoghi comuni. Una volta le piccole case editrici sostenevano gli autori più giovani o esordienti in quanto ribelli, in quanto profughi della lingua e dello sperimentalismo, in quanto estremi o in quanto conservatori così timidi dal risultare mitologici, accademici o arcadici. Ci ritroviamo di fronte invece a un nuovo fenomeno, libri che probabilmente non sono stati scritti con nessuna ambizione di innovare o modificare il percorso della letteratura italiana né hanno la pretesa di inserirsi nei ciottoli delle sue forme. In poche parole, racconti che parlano d’amori “usa e getta” e non di grandi sentimenti, che sono grandi proprio in quanto ogni sfumatura ne ha altre mille che ne contiene altre tremila.

Giorgio Astone

Di Zephyrous

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