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Recensione Enzo Bianchi

Enzo Bianchi

Il pane di ieri

Enzo Bianchi Il pane di ieri
Enzo Bianchi Il pane di ieri

Il mestiere di vivere
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"Oggi in cui tutto è a breve durata, tutto è <>, tutto senza memoria; oggi in cui ogni scelta è rimandata e, non appena presa, è revocabile alla prima difficoltà; oggi in cui non si ha nemmeno la percezione che esista un << dover essere e fare>> per ciascuno."


La vita di ognuno di noi è un dono, venire al mondo è un omaggio, il più grande che ci viene fatto, ma siamo sicuri che proprio per questo la nostra esistenza abbia un senso? Siamo veramente consapevoli che, perché regalata, la vita non si debba imparare? Per quanto possa sembrare strano il fatto che noi procediamo in questo mondo è un dovere, un mestiere non certo agevole e quasi sempre faticoso, il mestiere di vivere, come con grande acutezza definì l’esistenza Cesare Pavese.
Se dopo aver letto Ogni cosa alla sua stagione non mi stupisco più per le straordinarie qualità di Enzo Bianchi, con Il pane di ieri mi ritrovo in ogni pagina, in ogni riga, frutto com’è di una continua pacata riflessione.
E’ certo il libro di chi arrivato a una certa età, diciamo metaforicamente alla stagione autunnale della vita, si volge all’indietro, e non tanto per fare un bilancio, bensì per riannodare il presente al passato, nella prospettiva di un futuro che sarà gratificante quando si sarà verificato che la propria esistenza costituisce un unicum, un succedersi di fatti ed eventi di cui, per lo più, siamo stati artefici.
Emergono così i ricordi, l’unico patrimonio che ci può dare la certezza che abbiamo svolto e che stiamo praticando il nostro mestiere di vivere; fare uscire dalla nebbia del tempo la nostra infanzia e la nostra giovinezza implica però il rischio di un rimpianto, come se, nella nostra primavera, tutto sia stato idilliaco, perfetto, irripetibile. Enzo Bianchi non cade in questo errore, sfumando, ancora prima di scrivere, immagini e memorie che, se da un lato possono anche indurre a un garbato entusiasmo, dall’altro trovano onnipresenti le difficoltà inevitabili che si incontrano nell’esistenza, tanto più marcate in un periodo post bellico di grande miseria, in un ambiente, quale quello contadino del Monferrato, chiuso, a volte gretto, altre invece fecondo di umana solidarietà quale solo è possibile trovare tra la povera gente. Ed è così che ai comandamenti delle tavole consegnati a Mosè se ne aggiungono altri quattro, frutto di una coscienza sociale, tramandata di padre in figlio, ma che nella loro apparente semplicità sono i cardini dell’insegnamento del mestiere di vivere: “Fa il tuo dovere, crepa, ma va avanti!”, elogio quindi del dovere, obbligo a cui mai venir meno, temperato tuttavia da un “Non esageriamo!”, che richiama all’indispensabile senso della misura; “Si tratta di non prendersela” , un invito, a fronte delle disavventure, a non lasciarsi abbattere, e infine “Non mescoliamo le cose!”, una versione più pratica e adatta a molti usi del celebre detto di Gesù “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
Principi saldi, quindi, frutto di generazioni che si sono succedute in quelle colline di viticultori, sperimentati, applicati e appunto insegnati ai successori perché basilari per esercitare il mestiere di vivere.
Nel leggere questo libro, che potrei definire un saggio sul come vivere la vita, fatto di tanti capitoletti per lo più abbastanza brevi, si scoprono virtù antiche, presenti per tanti secoli e poi di colpo scomparse, con la fine di quella civiltà contadina di cui un altro scrittore che amo tanto, Ferdinando Camon, ha scritto così bene.
Tuttavia, Enzo Bianchi, in questo suo ripercorrere la propria esistenza, in questo estrarre ciò che conta e metterlo per iscritto con disarmante semplicità, ma con altrettanto notevole efficacia, ci trasmette una lezione di vita, senza imporcela, anzi suggerendocela, che non potrà non lasciare indifferente il lettore, sia che si tratti di un credente che di un ateo. Il suo è un immaginario dialogo con chi leggerà, una serie di riflessioni coinvolgenti, a cui lasciarsi andare, certi che alla fine ci sentiremo pervasi da quella grande serenità che è propria dell’autore.
Spesso è una parola abusata,ma credetemi se vi dico che Il pane di ieri è un autentico capolavoro.

Di Renzo.Montagnoli

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