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Recensione Julie Parsons

Julie Parsons

Intervista

di Alba Petrella

Apprezzata autrice di thriller psicologici, Julie Parsons (Nuova Zelanda, 1951) è laureata in scienze sociali con un master in sociologia. Prima di dedicarsi alla narrativa, con la pubblicazione del suo primo romanzo L’ultima vendetta, ha lavorato come produttrice televisiva per il network irlandese RTE. Al primo romanzo sono seguiti L’entomologa e Un piano perfetto, tutti pubblicati in Italia da Longanesi. L'ultimo thriller, Il peso della colpa, è nelle librerie italiane da qualche giorno ed è già un successo. L'inquietante storia narrata da Julie Parsons ruota intorno al mistero della scomparsa di Owen, un bambino di otto anni. Il punto di vista è quello del padre, Nick Cassidy, un brillante disegnatore di libri per bambini che da dieci anni vive oppresso dai sensi di colpa, cosciente del fatto che se non avesse trascorso quel pomeriggio con la sua amante, affidando il figlio a un'incauta baby-sitter, il bambino non sarebbe scomparso. Il mistero intorno alla sparizione di Owen non è mai stato chiarito e per Nick, a dieci anni di distanza dal doloroso evento, è giunto il momento di far luce sulla vicenda e di riprendere in mano i fili della sua vita.


Prima di tutto, Il Peso della colpa mi è piaciuto molto. Il mio primo pensiero, quando l'ho finito, è stato che questo romanzo è pieno di segreti non rivelati, colpa, vergogna. Emozioni che consumano. Il senso di precarietà è fortissimo e tutto è così effimero, fragile come cristallo. Potremmo sottotitolarlo "Non dare mai nulla per scontato!"...

Julie Parsons: La mia filosofia di vita è proprio questo: non dare mai nulla per scontato.

Mi è piaciuto il modo in cui ha tracciato la psicologia dei personaggi, affidando a loro la risoluzione del mistero e non agli "addetti" ai lavori, secondo le regole della crime fiction. Forse perché gli enigmi non sono del tutto risolti? Mi sto riferendo al romanzo, ma anche alla sua esperienza di vita, con suo padre [Nel 1955, il padre di Julie Parsons, un medico irlandese emigrato in Nuova Zelanda con la famiglia, scomparve senza lasciare alcuna traccia. Era stato inviato a Samoa, nel Pacifico, su una nave con altre venticinque persone a bordo. La nave non è mai arrivata a destinazione ed è stata trovata sei settimane dopo, senza nessuno a bordo]...

Julie Parsons: Anche questo si riallaccia alla mia filosofia di vita e il mistero del romanzo viene risolto ma il mistero della mia vita personale, cioè della scomparsa di mio padre, non è mai stato risolto, perciò penso che ci sia sempre qualcosa da scoprire e forse questo è uno dei motivi per cui scrivo gialli. Mio padre è scomparso quando avevo quattro anni e via via che il tempo passa mi rendo conto che questo mistero nella mia vita diventa sempre più importante e non meno. Nell’invecchiare, nel costruire relazioni importanti nella vita, nell’avere figli questo mistero ha assunto una rilevanza sempre maggiore e quindi quello che ho cercato di fare raccontando questa storia è stato cercare di risolvere quello che nella mia vita non si può risolvere.

Nel 1992 è stato pubblicato il suo primo libro, L'ultima vendetta. So che all'epoca lei era produttrice televisiva presso la RTE. Cosa l'ha portata alla scrittura?

Julie Parsons: Ho sempre voluto essere una scrittrice. Fin da ragazzina leggevo molto e fantasticavo sulla possibilità di scrivere io stessa delle storie ma poi non l’ho mai fatto. Ho tentato ma quando rileggevo quello che avevo scritto mi rendevo conto che non era buono. Al mio trentanovesimo compleanno durante il mio soggiorno all’isola di Sherkin mi sono ripromessa di scrivere un libro entro i quarantacinque anni. Poi ho cominciato il mestiere di produttrice televisiva e quindi ho abbandonato questa idea. Questo desiderio però c’è sempre stato in me, perciò, mi sono iscritta a un gruppo di scrittura composto da sei donne dove ci incontriamo ogni sei settimane e portiamo quello che abbiamo scritto. Queste altre persone avevano già pubblicato dei loro scritti e quindi quando ho cominciato erano più avanti di me, però, ho pensato che il fatto di andare regolarmente a questi incontri e portare qualcosa che avevo scritto mi avrebbe aiutato a pensarmi come una scrittrice. Ho cominciato a scrivere un libro che era autobiografico ma poi ho deciso che era troppo prevedibile e in più sapevo che mia madre non avrebbe apprezzato che fossero rivelati segreti di famiglia. Per questo motivo ho abbandonato questo proposito e mi è venuta l’idea per L’ultima vendetta (Mary Mary). Ho scritto la sinossi e i primi tre capitoli, li ho mandati a una casa editrice irlandese che mi ha telefonato il giorno dopo dicendomi che intendeva pubblicarlo. Ho preso perciò sei mesi di aspettativa non pagata e ho scritto questo libro L’ultima vendetta.
In quel primo romanzo, così come in L'Entomologa del 2001 e Un piano perfetto del 2002, i personaggi principali sono donne. Ne Il peso della colpa, ha scelto di raccontare la storia dalla prospettiva di Nick, il padre del bambino scomparso. Una scelta interessante, può parlarcene?

Julie Parsons: Ho deciso di scrivere un libro da un punto di vista di un uomo e quando mi è venuta l’idea di Il peso della colpa mi è sembrato ovvio che dovesse essere raccontato dal punto di vista del padre piuttosto che quello della madre. Il ruolo di Nick mi sembrava più interessante di quello di Susan. Mi sono chiesta se fossi in grado di scrivere dal punto di vista di un uomo ma in ogni caso si tratta sempre di lavorare con l’immaginazione.

L'incomprensione ne L'Ultima Vendetta, ha conseguenze fatali. Ne Il peso della colpa questo tema è evidente fin dal titolo. Forse, perché quando si parla di bambini il livello d'ascolto dovrebbe essere sempre al massimo. Dovremmo saper leggere i segni del loro disagio...

Julie Parsons: Spesso quando un bambino subisce violenze dà dei segnali ma è anche facile che vengano fraintesi. In molti casi quando alcuni cominciano a comportarsi male a scuola o a bagnare il letto o tentano di scappare di casa, tutti questi comportamenti vengono interpretati come fasi della crescita e i genitori non vanno al di là di questa interpretazione, non cercano di capire cosa stia succedendo ad un livello più profondo. Nel romanzo Susan ricorda alcuni segnali che aveva riscontrato ma a cui non aveva dato peso. A parte questo spesso i bambini per quanto piccoli hanno una propria vita che vogliono tenere nascosta dai genitori, hanno dei segreti, sono capaci di provare forti emozioni per esempio si innamorano di amici, insegnanti e gli adulti sottovalutano non capendo che questi sentimenti possono essere intensi e forti quanto quelli degli adulti. La relazione tra genitori e figli è difficile e complessa per le caratteristiche di entrambe le parti.

Di cosa tratterà il suo prossimo libro? Può anticiparci qualcosa?

Julie Parsons: Il prossimo libro al momento si intitola "La clessidra" e il tema è l’adozione. La protagonista è una donna che ha avuto un bambino all’età di sedici anni ed è stata costretta dalla madre a dare questo figlio in adozione e questo ha creato un grosso divario tra madre e figlia. Trent’anni dopo Grace, così si chiama la protagonista, conosce un giovane e presume che si tratti di suo figlio che è venuto a cercarla. Ma è veramente lui? E se invece non fosse suo figlio?

Nick Cassidy ritorna dopo dieci anni nella città in cui ha vissuto con suo figlio, determinato a investigare sulla sua scomparsa, o per lo meno a venire a patti con essa. Lei, è mai "tornata" a Samoa?

Julie Parsons: Non sono mai tornata a Samoa. Nel 1999 sono tornata in Nuova Zelanda per la prima volta da quando l’avevo lasciata nel 1963 e non c’ero mai più tornata temendo di poter rovinare i miei ricordi di infanzia. Dopo aver scritto il mio primo libro, però, sono stata invitata al Festival letterario in Nuova Zelanda e quindi ci sono andata. Sono tornata a vedere anche la casa dove ero cresciuta. All’epoca avevamo un bellissimo giardino, c’era un ampio terreno, un campo da tennis, oggi è molto differente. L’area è stata edificata ma sono comunque contenta di esserci tornata e i miei ricordi di bambina sono rimasti intatti. Ho rivisto allo stesso tempo la casa com’era allora e come è oggi e quindi ho una seconda serie di ricordi che non ha cancellato la prima, e prima o poi mi piacerebbe ritornare a Samoa.

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