Oggi come nel passato, il dibattito sulla mafia, tanto per l'origine, quanto per l'utilizzo funzionale dei contenuti di sistema, elimina da subito il metro di misura che fornisce i criteri necessari a cogliere le sfumature essenziali o le mura portanti del fenomeno. Il parlare di mafia, o di resistenza alla mafia, presuppone perci il disincanto, e cio l'eliminazione di una sovraccoperta che in altri modi ieri, e molto pi subdolamente adesso si voluto interporre tra il fatto e la sua lettura. Anche perch, e ci non banale, l'autorappresentazione della mafia mutando nel tempo, nel tempo si confonde, perde le aderenze e sfuma nel complesso, nelle affinit negate, in parte pure non coscientemente, complicando le analisi sulle sedimentazioni e sulle stratificazioni della stessa a livello di tessuto sociale e connettivo. Il problema non riguarda l'evoluzione storica della mafia armata, del braccio che esegue gli ordini, da anni sotto attenta osservazione, diligentemente marchiato come il corpo canceroso che intacca la superficie, il marcio che rende bene l'orrido che abbrutisce, il capro espiatorio della moralit sociale. Il nucleo sostanziale del discorso va a toccare l'articolazione superiore del sistema mafioso, e cio il luogo dove il progetto si realizza nel suo proponimento, nella sua organizzazione, si potrebbe dire nel suo farsi strategico. Laddove non vi il sangue del fatto compiuto ma il suo pensiero, laddove, rimosso il cadavere, rimane il grumo. |