Tra il 1920 e il 1922 Ulrich von Wilamowitz, tra i pi grandi filologici classici di tutti i tempi, tenne una serie di conferenze sul tramonto dell'antichit. Il tema era certo molto attuale. Intellettuali e studiosi europei, gi prima che iniziasse il primo conflitto mondiale, avevano indagato la fine del mondo antico (Otto Seeck, per esempio, ma anche Eduard Meyer e Eduard Schwartz): nel primo dopoguerra, in seguito all'uscita dell'opera di Spengler, la decadenza dell'antichit era ormai diventata il paradigma della fine della civilt occidentale. Wilamowitz ne consapevole, e non manca di alludere, con una certa ironia, al Tramonto dell'Occidente di Spengler. Per il filologo classico, il crollo cominci con Augusto; e a uccidere l'impero non furono gli assalti esterni, quelli dei barbari, bens l'esaurimento della vitalit interna, determinato dall'estinzione del tradizionale ceto senatorio, sostituito nella funzione di leadership da esponenti dei ceti bassi che riuscirono ad affermarsi negli apparati della burocrazia militare e amministrativa. innegabile che il prussiano Wilamowitz sappia cogliere, nella Sptantike, numerose analogie con la temperie presente, come altrettanto innegabile che, nelle sue analisi e nelle sue analogie, tradisca motivi ideologici di inizio Novecento: in primis il disprezzo per le masse e per la democrazia. Wilamowitz sfiduciato, pensa che l'Occidente (ovvero la Germania) sia entrato in una fase di decadenza, e che abbia tuttavia possibilit di risollevarsi in un lontano futuro, che a lui non dato di vedere; a lui non resta che accomiatarsi in pace con Marco Aurelio, sul quale tiene l'ultima conferenza (qui tradotta per la prima volta in italiano) della sua vita. |