Tra tetti di ardesia ricoperti di muschio, nei panorami silvestri della Garfagnana e della Media Valle del Serchio, sorgeva un tempo l?antica casata dei Longobardi, animalesca e irridente stirpe discesa forse da Liutprando e dagli di germanici dell?ebbrezza e della guerra, e scomparsa nel 1983, con la morte dell?ultima erede, Leonide Francesca Lusetti. Un piccolo borgo di case, capanne e sorgenti dove si potevano scorgere contadine e giovenche orinare sul ciglio della strada, spiriti di paesani trapassati vagare sulle alture innevate, al tramonto, accennando un saluto ai vivi col capo, e alterchi poetici inscenati nella pubblica piazza dai colpi in rima di un poeta nano. D?estate, nelle locande, uomini con barbe anacoretiche e braccia abrase dalla terra e dal sole sgranavano le ossa dei muli in cerca di midolla tenere o auspici; sempre pronti al coltello, all?agguato, al vino, alle reboanti prove d?amore. Segnate di sangue e sfortuna, le vicende di Leonide e della sua famiglia attraversano come una fantasmagoria tutto il Novecento. Generazione dopo generazione, sentono la terra tremare sotto le bombe e la voce di Hitler saettare, tremenda, nei cieli d?Europa. Dividono il pane nelle osterie con i partigiani e fuggono dai bastoni degli squadristi. Vedono nascere la Repubblica italiana, mentre nelle citt appaiono le prime automobili sportive e le televisioni, e il cemento si estende come una marea arrivando a minacciare i loro territori. Eppure, la Storia sembra solo un?eco che giunge di lontano mescolandosi ai muggiti che riempiono la Valle, mentre uno dopo l?altro i Longobardi abbandonano la casa: feriti a morte dagli spettri e dal gelo, fuggiti in Sudamerica o schiacciati da un treno, divorati dall?alcol o consumati dalle epidemie. In Grande secolo d?oro e di dolore Vincenzo Pardini narra l?epopea di una famiglia condotta all?estinzione, e la storia rapsodica di un?Italia aurea e dolente, celebrata, spesso ingiuriata, da chi l?ha vissuta nella penombra di terre remote. Una scrittura che coglie, nei suoi accenti e ritmi primitivi, nei suoi riverberi pascoliani e sonnambulismi onirici, la voce autentica degli ultimi discendenti di una stirpe mitica. Perch, come amava ripetere Leonide, soltanto chi sa raccontare storie non muore mai. |