Quando nel 1947 scrisse "Spaccanapoli", suo libro d'esordio, Domenico Rea avvert l'esigenza di cambiare il linguaggio tradizionale perch in quegli anni "avvenne una cosa: la guerra". Ed in quella particolare atmosfera creatasi a Napoli durante l'occupazione militare alleata che scrisse questo libro dirompente, uno schiaffo alla cultura letteraria del tempo e ai luoghi comuni associati non solo alla citt, ma all'intero meridione. Accolto con favore dalla critica ma confuso da alcuni con le varie operazioni neorealistiche di quegli anni, Spaccanapoli rivela gi per intero le doti di uno scrittore non catalogabile, che descrive un mondo - quello della plebe - in una lingua sonante, ellittica, nervosa. La novit di questi racconti risiedeva nella compresenza e alternanza di alto e basso, di vernacolare e letterario, di un dialetto "avviluppato e attaccato alle cose". Il titolo Spaccanapoli fece la fortuna storica del libro, anche se la citt non vi compare mai fisicamente: piuttosto uno spazio simbolico, lo specchio della mentalit dei suoi abitanti "attenta a rubare ogni attimo di godimento, con qualunque mezzo, per la fondamentale ragione che la vita un mare, ora buono ora cattivo, e l'uomo, ora naufrago, ora superstite". |