 Che il Risorgimento possa essere una faccenda che appassiona e avvince, e persino diverte una scommessa che soltanto un anarchico come Luciano Bianciardi poteva tentare. Nella memoria collettiva, il Risorgimento era stato a lungo appannaggio dell?agiografia fascista o di quella cattolica e patriottarda, un esercizio di narrazioni retoriche, pedanti e nazionaliste che gli storici e gli specialisti avevano sempre faticato a contrastare, e con le quali quasi nessun letterato contemporaneo si era preso il rischio di fare i conti. Per Bianciardi, provare a scriverne una cronaca senza enfasi n disinganno equivalse a un?impresa garibaldina. All?et di otto anni aveva ricevuto in dono I mille di Giuseppe Bandi, e da allora il Risorgimento era rimasto per lui la pi entusiasmante scoperta dell?infanzia e la sua prima nostalgia. Ma, per restituirlo cos come lo sentiva, doveva conferire alla scrittura il piglio spumeggiante di un manuale di storia... sottosopra. Schierarsi apertamente dalla parte dell?epopea popolare e dell?eroe che pi di tutti l?aveva incarnata, Giuseppe Garibaldi, e adottare come punto di vista capovolto il suo stesso sguardo di bambino. Perch a Bianciardi del Risorgimento non interessava il giudizio critico, ma la follia donchisciottesca, lo slancio ideale e l?inadeguatezza dell?incantesimo. Nella nostra vita agra non ci poteva essere eresia pi grande e scandalosa. |