"La sua scrittura si produce al crepuscolo in un appartamento della periferia di Oslo, nella stanza piena di carte in cui domina una vecchia Olivetti. Nessuno in casa parla l'italiano, n sua moglie Mary n i quattro figli, cos come nessuno immagina in fabbrica la sua attivit di scrittore, ma proprio questa doppia condizione di parzialit a garantire alla sua poesia il segno della totalit compiuta. Essere 'sotto' e nel frattempo essere 'fuori' significa per lui non poter essere che l, eternamente, sulla pagina. Egli non deve nemmeno liberarsi di zavorra eccessiva e, pure se in realt ha letto tutti i libri, proclama la propria ignoranza menzionando pochissimi riferimenti d'avvio come i sillabati di Ungaretti e Lavorare stanca di Pavese. Bench parli volentieri neanche in italiano ma in dialetto fermano, in realt conosce le lingue, traduce le liriche di Ibsen dal norvegese, legge di continuo i filosofi, ed dalle lezioni di estetica di Hegel che deduce una volta per tutte l'idea secondo cui la poesia corrisponde a una coscienza disgregata che nella sua inversione si esprime in un linguaggio scintillante capace di verit. Per questo in ogni poesia di Di Ruscio c' potenzialmente tutta la sua poesia e la sua intera produzione ha la circolarit di un autentico poema." (dall'introduzione di Massimo Raffaeli) |