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La vita eterna (Gli elefanti. Narrativa)


Ferdinando Camon Libri


"Scrivendo "La Vita eterna" volevo vendicare i partigiani contadini, il loro destino oscuro, senza gloria. Poiché il capo delle SS di questa zona dell'Italia di cui parlo nel libro fu scoperto quando "La vita eterna" fu tradotta in tedesco, e fu citato in processo, e morì la notte della prima udienza, mi piace pensare "La vita eterna" come un colpo di fucile sparato dall'Italia alla Germania per colpire un nemico della mia gente. La procura di Verona aveva incluso "La vita eterna" tra i documenti a suo carico". (Ferdinando Camon)
 
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: pagine
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Prezzo di copertina: EUR
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Ritengo opportuna una premessa, facendo ricorso alla memoria che di tanto in tanto fa riaffiorare accadimenti della mia prima infanzia, per spiegare il mio particolare interesse per questo bellissimo libro.


Molti oggi, tranne forse i pi anziani, non sanno comera, fino a non tanti anni fa, la vita nelle campagne. Io avevo degli zii che lavoravano la terra, non di loro propriet, anzi alle dipendenze di quello che noi oggi, nei rapporti sindacali, definiamo ancora padrone, un uomo che per discendenza era sempre stato un padrone.


Per i contadini era una vita misera, fatta di cibo scarso e non vario (ricordo che a mezzogiorno cera limmancabile minestra di verdure con il riso di Napoli e alla sera un uovo sodo con linsalata; il pane si vedeva solo la domenica e durante gli altri giorni della settimana era sempre presente la polenta). Il progresso, intervenuto con la fase industriale, non aveva scalfito questo modo di vivere, proprio di una civilt immobile nel tempo, con una vita avara di soddisfazioni, animata al di fuori del lavoro nei campi - quando il lavoro cera, perch spesso mancava - solo da racconti tramandati da secoli, frutto di un paganesimo cristiano impregnato di superstizione e di ignoranza. Questultima era un comune denominatore, perch quasi nessuno sapeva leggere o scrivere e quei pochi che vi riuscivano cercavano, a modo loro, di ribellarsi, di incidere, rivoltandolo, quel modo di vivere. Che fossero anarchici o socialisti, come allora venivano chiamati, in ogni caso erano malvisti, considerati teste calde, sovvertitori di un ordine immutabile nel tempo.


Poi, quasi allimprovviso, questo mondo stato stravolto e giustamente Ferdinando Camon, nel corso dellintervista che gli ho effettuato, ha citato al riguardo Charles Pguy, un poeta francese che ha scritto che la fine della civilt contadina il pi grande evento della storia, dopo la nascita di Cristo.


Cos, che quando un caro amico mi ha parlato a grandi linee di questo libro, ho provato immediato il desiderio di leggerlo, perch attendevo da tempo un romanzo che parlasse di questa civilt che non c pi, sostituita dallindustria anche nellattivit dei campi.


Una pagina dopo laltra, la prosa asciutta, non idilliaca, anzi lontana da certe visioni della vita agreste proprie dei grandi poeti latini e in particolare di Virgilio, mi ha avvinto e cos, mentre leggevo, ho cominciato a vedere dei campi riarsi dal sole o raggelati dal freddo dellinverno, della povera gente intenta a un lavoro duro e ben poco retribuito, ho sentito la puzza delle stalle, sono entrato in unatmosfera immobile di miseria senza barlumi di speranza.


Ferdinando Camon ha dedicato questo libro a questa povera gente, inserendosi nel solco di altri che lo hanno preceduto, magari con intenti diversi, come Verga, Faulkner, oppure Saramago.


La sua, per, non una narrazione asettica, ma nemmeno c labbandono alla retorica, semplicemente c il desiderio di portare la luce a una moltitudine di ombre, senza ricorrere allenfasi, bens permeando le parole di un grande senso di piet.


E la sua gente, anche lui nato in campagna e ha vissuto la giovinezza in quellambiente che poi il boom economico degli anni sessanta ha sconvolto, ha trasformato cos radicalmente al punto di poter affermare che oggi la civilt contadina solo un ricordo, anzi senza il suo libro non sarebbe nemmeno questo.


Provate a pensare a un modo di vivere rimasto sostanzialmente inalterato nei secoli e perci figurativamente eterno, considerate che era il ceto pi basso, in cui la solidariet e la superstizione erano gli aspetti salienti, se pur contrastanti, di unesistenza il cui ritmo era scandito dallavvicendarsi del giorno con la notte e delle stagioni, e dove tutto iniziava con la nascita, proseguendo quasi per inerzia fino alla morte, sovente prematura; avrete cos unidea, ma solo approssimativa, perch per capire veramente e per comprendere indispensabile la lettura di questo romanzo.


Pagina dopo pagina sembra di tornare indietro di secoli, bench questa realt, immobile, sia stata presente fino a una cinquantina di anni fa. E un mondo che si estinto e che volutamente stato cancellato dalla memoria come se fosse un qualche cosa di cui vergognarsi, come se quella miseria fosse un vizio capitale, da seppellire sotto coltri di reticenze.


La penna di Camon, che passa indifferentemente dallepoca attuale al medioevo, da questo alla disfatta di Caporetto, e poi a quel guizzo di vitalit che stata la resistenza, restituisce al lettore questa civilt. Le pagine sulla ribellione alla dura repressione tedesca non sono celebrative, ma tendono solo a onorare la memoria di quanti, e non furono pochi, si scossero da un lungo torpore, anche a prezzo della vita, per poi ritornare, ombre nella notte, nel loro lungo silenzio, fino agli anni sessanta, quando la luce elettrica e la televisione svel loro un altro mondo, meno di fatica, pi di soddisfazione materiale, a cui finirono per abbandonarsi, perdendo la loro identit.


Questa comunit di poveri, dove il povero, secondo Camon, luomo che non ha scampo ed tale perch pure i suoi antenati non hanno avuto scampo, non ha personaggi che si staccano sugli altri, ma c un solo protagonista: essa stessa.


Se c un libro che ha reso giustizia a una civilt, facendola conoscere alle generazioni attuali e a quelle future, proprio questo e credo di poter dire che lautore stato un cantore di ci che per tanto tempo fu e mai pi sar.


La vita eterna non solo un romanzo molto bello, molto di pi, un capolavoro.




Renzo.Montagnoli

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