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Occorrono capacit e coraggio per scrivere un libro simile. Per la prima mi dilungher pi avanti, per il secondo invece preferisco parlarne subito. Premetto che, nella mia ignoranza, non avevo mai letto nulla di questo autore e se ho provveduto in parte a riparare questa negligenza lo devo soprattutto a Gian Paolo Serino, il cui articolo in proposito apparso su Satisfiction mi ha convinto della necessit di acquistare e leggere questo romanzo, ma non perch ha vinto il premio Viareggio, bens per lentusiastico consiglio di lettura del critico milanese, di cui condivido spesso i giudizi. Ho parlato prima di coraggio e in effetti ne occorre per proporre una storia, vera, di esplorazione, genere stranamente non tenuto in considerazione dai lettori italiani; inoltre unopera di elevato livello culturale che cozza contro il generale appiattimento dellattuale narrativa italiana, portata, nel migliore dei casi, a una lettura devasione adatta a un pubblico da tempo abituato a fiction e a reality che, di certo, non costringono a spremere le meningi. Di ci lautore ben consapevole perch altrimenti non avrebbe usato un linguaggio erudito, non avrebbe approfondito certi aspetti della vicenda, indifferente quindi alla ricerca di un eventuale successo commerciale. Filippo Tuena ha inteso scrivere un prodotto culturalmente molto valido, ben sapendo che ci da diverso tempo negletto e il risultato stato unopera che senza ombra di dubbio pu essere definita un capolavoro, alla stregua di quelle dei grandi classici. La vicenda trattata abbastanza conosciuta ed la tragica spedizione del 1911, condotta dal britannico Robert Falcon Scott nellAntartide, per la conquista del Polo Sud. Per, non solo non se ne era scritto mai in modo cos dettagliato ed esauriente, ma addirittura nessuno aveva pensato di ricavarne un romanzo. Che cos il Polo Sud, se non un punto ideale sulla calotta di ghiaccio che ricopre un continente dellemisfero australe? Battuto da venti impetuosi, gelido, completamente deserto una terra del tutto inospitale, ma per molti anni ha rappresentato una meta agognata, il desiderio intenso e ossessivo di tanti intrepidi esploratori. Raggiungere il polo non era solo una sfida fra uomini e una natura inclemente, ma era molto di pi, era la ricerca di se stessi, un tentativo di conoscere il proprio io misurandosi con forze impari. Sappiamo dalla storia che il primo a raggiungere il Polo Sud fu il grande esploratore norvegese Roald Amundsen, ma, bench il suo nome appaia in questo libro, non ci mai dato di vederlo, anzi lautore lo circonda di un alone da divinit vichinga, s che ci pare di vedere la sua slitta, trainata dai cani, correre sul ghiaccio veloce come un fulmine e dritta alla meta. Lui il vincitore, luomo che ha sconfitto la natura, ma lo scopo di Filippo Tuena non di parlare di eroi trionfanti, ma di ipotetici eroi ritornati nei ranghi della debolezza umana di fronte a fatti e a circostanze che, nonostante linsuccesso, hanno destinato i lori nomi alleternit. Ecco, allora, perch in questo libro si narra solo della infausta spedizione inglese guidata da Robert Falcon Scott, il cui esito a tutti noto, ma che nelle parole dello scrittore assurge a dimensioni titaniche, a una sorta di sacrificio umano, quasi il destino degli uomini che perdono la sfida con gli dei. E stata una lettura sofferta, perch Tuena ha la rara capacit di coinvolgere chi si sofferma sulle sue parole, e cos mi sono immerso in immense distese ghiacciate, ho visto uomini stremati che a braccia trainavano le slitte, ho avvertito il gelo entrarmi nelle ossa, mi sono amareggiato con la delusione di essere arrivato al polo non per primo, ho sofferto pene intense lungo la via di un ritorno che non ci sar, mi sono rinchiuso in una fragile tenda convinto di essere senza futuro, mi sono accorto della presenza ossessiva, giorno dopo giorno, di un uomo in pi. E questa sensazione delluomo in pi, che in effetti hanno provato diversi esploratori nei momenti in cui la fatica sembrava insormontabile, tale da esaurire ogni energia residua, ed espressa in una sorta di visione incerta di un altro incappucciato e avvolto in un mantello bruno, stata abilmente sfruttata da Tuena. Infatti, Scott non parla in prima persona, e nemmeno lautore, ma a rendere estremamente coinvolgente il testo ci pensa luomo in pi e cos attraverso i suoi occhi che seguiamo lintera vicenda. Al riguardo apro unideale parentesi, perch mi sono posto il problema di chi fosse mai questo essere che si crede di vedere, avvertendone la presenza. Inizialmente ho pensato alla morte, ma, per quanto non improbabile, non mi convinceva questa soluzione e allora ho interpellato lautore, al fine di confrontarmi e di avere uninterpretazione autentica. In merito, di seguito riporto le precisazioni dellautore: Non pensavo necessariamente alla morte, piuttosto a una divinit antartica che si desta con la presenza degli esploratori e si spegne con la loro partenza. Credo che non esistano divinit dove non vivono uomini che le possono vivificare. Pi precisamente, riguardo al libro, lo spirito che accompagna gli esploratori, di volta in volta lo scrittore che ne scrive e il lettore che ne legge perch che cosa siamo noi, quando scriviamo e leggiamo, se non coloro che accompagnano silenziosamente i personaggi di un libro nel loro andare?. Ecco, quindi, un ulteriore elemento che dimostra lintenzionalit dellautore di coinvolgere attivamente il lettore e posso dire che ci riesce benissimo. Chiudo lideale parentesi e ritorno alla trama. Demoralizzati per non essere arrivati primi, esausti, sfibrati da mesi di marcia, Scott e i suoi quattro compagni prendono la via per leternit, un calvario senza testimoni, ma in parte ritrovato in due diari e in una macchina fotografica, una sorta di epitaffio mancante solo dellevento finale, di quel trapasso, per stenti e freddo, ormai quasi desiderato come la soluzione migliore per chi ha fallito e sta soffrendo le pene dellinferno. Se nella fase preparatoria della spedizione e nellavvicinamento alla meta la mano felice di Tuena non solo ha evitato di annoiare il lettore, ma anzi lo ha progressivamente reso partecipe, proprio nel dramma finale che lo stile, la misurata pacatezza coinvolgono oltre ogni misura, in un lento, crescente, angoscioso stillicidio di eventi, di riflessioni, di tormenti interiori. Non scrivo altro, perch Ultimo parallelo, come tutti i capolavori, ha bisogno di essere meditato, assimilato a gradi, con il trascorrere del tempo, per scoprire ogni volta qualche nuova traccia preziosa. Renzo.Montagnoli
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